Arte e moda, incontro fertile o l’arte rischia di essere cannibalizzata? 

Dalla crisi dei mercati allo spettro del fast fashion, molta arte slitta verso il lusso, ma la vera sfida è sperimentare pratiche innovative

Riprendiamo una riflessione iniziata poco tempo fa. Parliamo di quella sorta di tempesta perfetta: la (presunta) crisi che sembra investire il mercato della moda e quello dell’arte. I dati sono noti, ma è bene riepilogarli brevemente: recente crollo dei profitti dell’88% e calo del 25% nelle vendite d’asta per Sotheby’s ma, d’altra parte segnaliamo il recente sold out a New York della stessa casa d’asta per la collezione Sydell Miller o la cifra capogiro assegnata alla discussa banana di Cattelan, una serie di fiere che hanno faticato quanto a risultati di vendita e, dall’altra parte, quella della moda, una crisi seria che vede una delle ragioni, l’origine della (possibile) tempesta perfetta nella stagnazione della Cina. Dove, peraltro, se si vendono meno prodotti di LVHM, meno borse e meno gioielli Bvlgari, c’è il rischio che un gigante della telefonia locale come Xiaomi entri a gamba tesa nel fashion e allora, sì, che potrebbero essere guai seri. 

La Cina già sta sparigliando le carte con i suoi siti di vendita online di moda, Shein e Temu, dove si comprano a prezzi stralciati vestiti, accessori e quant’altro faccia moda superaccessibile. Senza dimenticare che queste due aziende hanno annullato le sedi fisiche per la vendita e la comunicazione, ma hanno un alto “tasso materico”, poiché contribuiscono fortemente all’inquinamento del pianeta essendo tra i protagonisti del fast fashion le cui mefitiche ricadute si abbattono soprattutto sui Paesi poveri, africani e sudamericani. Questo è un problema enorme che, prima o poi, andrà affrontato seriamente. Ma limitiamoci ora a cercare di capire se c’è una strada percorribile oltre la strettoia critica. 

«Stavamo preparando una mostra su Gianni Pettena nel mio atelier. Lui arriva e mi regala una foto con il mare che cancella una scritta. Io esclamo: Che bello! Avevo anche un altro suo lavoro e, insomma, mi viene l’idea di farci un vestito. Glielo chiedo e lui … semplicemente entusiasta!». A raccontare l’inizio di una fertile collaborazione con gli artisti è Maria Calderara, nota stilista milanese, collezionista, appassionata d’arte e dotata di un occhio fuori dal comune che le fa intravedere nel lavoro dell’artista possibilità espressive per una sua creazione di moda. Così, da quella volta che sembra quasi un azzardo, nascono una serie di collezioni ispirate dalle opere degli artisti. Dopo l’ “anarchitetto”, al secolo Gianni Pettena, è la volta di Luca Maria Patella, poi Antonio Scaccabarozzi, Eugenio Tibaldi, legato a Caldarara da una lunga frequentazione e, da ultimo, Piero Manzoni. Il top, insomma, concretizzatosi anche per via dei brillanti precedenti. Ma, oltre il piacere di lavorare con gli artisti – «mi diverto tantissimo», afferma Maria Calderara – ci sono anche risultati interessanti in termini di vendite. «Gli abiti piacciono molto. Ho venduto e sto vendendo queste collezioni anche all’estero», aggiunge l’artista.   

Si tratta di esperimenti, pratiche che escono dall’orizzonte consueto e si avventurano su strade che forse non saranno del tutto nuove, ma non sono nemmeno quelle più convenzionali, in una parola scontate, e che dimostrano che, almeno, qualcuno ci prova ad invertire il mood. E, a volte, è questo che fa la differenza.

Chi ci ha provato, forte dell’appoggio alle spalle di un marchio più che solido, ma che poteva anche mettere a rischio dato il carattere sperimentale del progetto, è stata, ed è, Maria Grazia Chiuri, acclamata stilista di Dior. Chiuri ha sposato la causa femminista, invitando tante artiste, giovani e non giovani, a progettare il set delle sfilate. Silvia Giambrone, Claire Fontaine, Marinella Bettineschi, Elena Bellantoni, Marinella Senatore, Anna Paparatti, Marta Roberti sono alcune delle artiste che hanno lasciato il loro segno nella maison Dior. «La collaborazione funziona perché entrambi i settori ne beneficiano. Le artiste coinvolte da Maria Grazia Chiuri in realtà ispirano anche la stilista nelle sue creazioni e le artiste ne guadagnano non solo in termini di visibilità, ma anche perché spesso, per la prima volta, hanno a disposizione mezzi e spazio per realizzare vere e proprie installazioni di arte pubblica», spiega Paola Ugolini, curatrice del progetto voluto da Chiuri. «Non si può essere sempre in crescita e se i mercati sono entrambi in crisi dipende anche da fattori geopolitici che giocano contro il desiderio di acquistare beni di lusso», conclude Ugolini. 

Già, questo del lusso è un altro tema centrale, non nuovo, ma sempre più dominante. Perché è sotto gli occhi di tutti il fatto che molta arte è slittata verso il mondo del lusso e quindi per certi versi è naturale che arte e moda dialoghino sempre più strettamente. Cosa che magari può non piacere, ma è una realtà che va osservata con occhio il più possibile “laico”, sapendo che anche qui la differenza la fa la ricerca. Lavorare sì nel lusso, ma sperimentare pratiche innovative, cambiare paradigma forse può spostare il baricentro dal lusso tout-court a qualcosa d’altro senza correre il rischio di essere cannibalizzati. Almeno provarci, con la consapevolezza che le sfide sono continue. Vedi, a proposito di aste, la recente vendita di un’opera “creata” dell’Intelligenza Artificiale per circa un milione di dollari. E qui il lusso non c’entra. C’entra il nostro presente dispotico.

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