Artwashing, musei e fondi neri. Ombre e fragilità di un sistema poco trasparente

I musei internazionali spesso finanziati da aziende poco virtuose rivendicano trasparenza senza interrogarsi sulla provenienza dei loro fondi

Prima sì, poi no, poi ni. Da 27 anni la British Petroleum, più pudicamente conosciuta come BP, finanzia il British Museum. Ma la dura protesta fatta dall’organizzazione inglese Art Not Oil Coalization sembrava aver vinto, avendo la meglio non solo sul più celebre museo britannico, ma anche con la Royal Shakespeare Company (RSC), la National Portrait Gallery, la Tate e la Scottish Ballett. Tutti decisi a tagliare i fondi della BP. 

Un successone, insomma, tanto che a giugno del 2023 il British Museum aveva annunciato la fine della sponsorizzazione. Ma poi ci ha ripensato, affermando che un finanziamento del genere è prezioso per la tenuta qualitativa dell’Istituzione e che sarebbe andato avanti fino alla fine del 2023. 

A protest at the British Museum calling on the institution not to renew its sponsorship deal with BP

La resa dei conti, quindi, è ora. Ma al momento la BP figura ancora come primo sponsor del museo. E se pensiamo al tira e molla ingaggiato dallo stesso museo verso il governo greco che da decenni chiede la restituzione dei marmi del Partenone, ipocritamente ribattezzati “Marmi Elgin” dal nome del diplomatico britannico, Thomas Bruce VII conte di Elgin, che li chiese, e li ottenne, dal sultano turco, che allora governava la Grecia, c’è poco da essere ottimisti. I marmi del Partenone fanno cassa al British Museum, così come la BP. E pecunia non olet, come si usa dire. 

Il punto però non sono solo i fondi e l’Artwashing che alcune aziende non propriamente virtuose intraprendono per rendersi più presentabili, il nodo sta anche nell’identità del museo.

… Aperti al pubblico, accessibili e inclusivi, i musei promuovono la diversità e la sostenibilità. Operano e comunicano in modo etico e professionale …. Queste due righe sono tra le principali novità che ICOM, l’Organizzazione Internazionale che riunisce i più importanti musei del mondo, ha introdotto nell’agosto 2022, aggiornando un’idea di museo che appariva datata e dando invece spazio a quei valori che si sono imposti nella cultura museale (e non solo), come, appunto, l’inclusività, la sostenibilità e l’approccio etico. 

Sp[oiled] landscapes, performance Van Gogh Museum, Fossil Free Culture NL

E allora? Allora il problema esiste se, oltre i musei inglesi citati, anche alcune prestigiose istituzioni olandesi, come il Museo Van Gogh Museum e il Museo della Scienza Nemo, entrambi ad Amsterdam, il Mauritshuis e il Museo dell’Aia, per anni hanno ricevuto finanziamenti dalla compagnia petrolifera olandese Shell, rompendo i contratti solo recentemente dopo la battaglia intrapresa dagli ambientalisti olandesi Fossil Free Culture. Stessa vittoria, in nome della sostenibilità ambientale, ottenuta nei confronti del Museo Canadese di Storia, il Museo Americano di Storia Naturale e il Field Museum di Chicago. Tutti finanziati da industrie che traggono profitti dalla produzione di combustibili fossili.

Fossil Free Culture NL in the Van Gogh Museum

Certo, il problema della sostenibilità economica esiste, specie in un Paese come gli Stati Uniti dove gli unici musei che ricevono cospicui finanziamenti pubblici sono quelli di Washington, che fanno capo alla Smithsonian Institution. Tutti gli altri vivono di donazioni e sostegni privati. Da qui l’ombra si allunga sui musei, oggi divenuti luoghi di loisir, di intrattenimento. I quali, nonostante rivendichino la trasparenza, a cominciare dalla veste architettonica spesso realizzata in vetro per rendere tutto visibile alla luce del sole, ricorrono a sponsor che, investendo in cultura, fanno Artwashing. 

La storia della Sackler, l’industria farmaceutica americana che nel 1995 ha immesso nel mercato degli antidolorifici un potente farmaco a base di oppio, l’Oxycontin, imponendolo con una campagna di marketing a tappeto e causando fino ad oggi 400mila morti, è abbastanza nota. Dopo la class action guidata dall’artista e attivista Nan Goldin la famiglia Sackler è stata costretta a risarcire migliaia di famiglie americane che hanno perso i loro cari a causa dell’Oxycontin. 

Nan Goldin, All the Beauty and the Bloodshed

Meno noto, forse, è che l’azione intrapresa da Nan Goldin, che a sua volta era stata dipendente del farmaco, comincia con le accese proteste contro il Metropolitan – avete presente la Sackler Wing con il tempio egiziano ricostruito? – il Solomon Guggenheim, il Brooklyn Museum, la Dia Art Foundation, gli Harvard Art Museums, il Museum of Fine Arts di Boston che ricevevano regolarmente finanziamenti dalla famiglia Sackler senza farsi troppe domande. Anche la Smithsonian Institution è stata sostenuta da Arthur Sackler, il fondatore della dinastia, ma negli anni Ottanta, prima quindi dell’avvento del Oxycontin.

L’intera storia è documentata dal film Tutta la bellezza e il dolore, che ha vinto il Leone d’Oro al Festival del Cinema di Venezia nel 2022, e da una recente serie prodotta da Netflix (in cui stranamente non si fa menzione di Nan Goldin) Painkiller.

Ma la Sackler ha allungato i suoi tentacoli anche in Europa, finanziando il Louvre e dando soldi non solo alla National Gallery di Londra, ma anche alla Serpentine Gallery, che anni fa ha inaugurato la sua nuova sede disegnata da Zaha Hadid, sempre a Kensington Park, intitolata senza nessun pudore Serpentine Sackler Gallery

Serpentine Sackler Gallery

Che ne esce fuori da questa storia? Non solo l’opacità dei musei, che tanto più si mostrano trasparenti quanto meno si interrogano sulla provenienza dei loro fondi, ma soprattutto la loro fragilità strutturale. Data dal fatto che la cultura, l’arte costano, particolare non sempre riconosciuto da chi governa. E che l’arte è particolarmente appetibile da chi si vuole rifare una verginità. Il fatto, quindi, che musei e altri istituti culturali sono esposti alla logica e all’azione del più forte. 

E com’è che in Italia Sackler, Bp, Shell e gli altri sponsor purulenti non sono arrivati? Perché qui lo Stato è forte? Vero, i musei sono per lo più finanziati dal pubblico, che però è poco generoso. O forse perché non siamo nel mainstream? Si direbbe di no, avendo comunque alcuni dei musei più prestigiosi del mondo, come gli Uffizi e la Galeria Borghese. E allora? La domanda resta aperta, e si accettano volentieri ipotesi e interventi. 

Consoliamoci intanto con il progetto, quasi interamente realizzato, dalla direttrice uscente della Galleria Nazionale, Cristiana Collu, di arrivare a un museo a emissioni zero.

Un esempio in controtendenza di cui essere fieri. 

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