From South To North, alla Biennale di Malta l’Ucraina rovescia i paradigmi

Intervista con le curatrici del Padiglione Ucraina che raccontano il progetto e dell'artista Alevtina Kakhidze per la Biennale di Malta

Agli inizi del millennio, Peregrine Horden e Nicholas Purcell scrivevano del Mediterraneo, definendolo The Corrupting Sea. Fulcro di movimenti e politiche coloniali sviluppate nel corso di tremila anni, ha avuto tra i suoi protagonisti l’isola di Malta, che con la sua nuova Biennale ha invitato i paesi partecipanti a esplorare le dinamiche migratorie, la memoria culturale, la storia coloniale. Così negli spazi di Villa Portelli, che ospitano il Padiglione Ucraina. Qui, una storia raccontata da Alevtina Kakhidze, artista ucraina originaria di Odessa, città indagata nelle sue implicazioni coloniali e ripensata in un’ottica mediterranea. A illustrarci il progetto dell’Ucraina per la Biennale di Malta, che ha incluso anche una performance dell’artista dal titolo From Malta To Yalta, sono state Kateryna Semenyuk and Oksana Dovgopolova, le curatrici del padiglione.

Nuova Biennale, nuove storie. Qual è il senso, in questa particolare occasione della prima Biennale di Malta, del creare nuove mappature geografiche?
La nuova Biennale di Malta invita i visitatori a scoprire l’Europa vista dall’estremo Oriente della regione. Potrebbe a prima vista potrebbe sembrare un piccolo cambiamento di ottica. Tuttavia, Malta si trova in quella parte dell’Europa che è molto più vicina, ad esempio, all’Africa che a Stoccolma, Londra o Berlino. Mentre la visione tradizionale dell’Europa si concentra sulle “città globali” e sui “centri di civiltà”, guardarla da Malta offre una prospettiva completamente diversa e l’opportunità di ascoltare altre voci. In questo contesto, uno dei temi chiave della nuova Biennale – la decolonizzazione – risuona a prescindere dalla prospettiva.

From South To North è un’azione pratica che inaugura una nuova prospettiva su Odessa, non più a sud dell’impero russo ma a nord del Mediterraneo. Come si configura lo spazio del Mediterraneo nella visione che propone il lavoro di Alevtina Kakhidze?
Odessa è una città dell’attuale Ucraina che ha dato rifugio a migliaia di persone in fuga dalla Crimea e dal Donbas occupati nel 2014 e che attualmente subisce gli attacchi aerei russi. È importante notare che il nome della città deve essere traslitterato come è attualmente scritto in ucraino: Odesa. Per molti anni, la Russia ha avuto un grande successo nel trasmettere l’immagine di Odesa come città russa fondata dall’imperatrice Caterina la Grande in una steppa desolata. Tuttavia, non è stata fondata alla fine del XVIII secolo. La gente viveva su queste terre fin dal I secolo a.C., costruendo rotte commerciali che collegavano varie civiltà. La presenza della Russia in quella regione è durata meno di due secoli. Eppure, la Russia preferisce ignorare i duemila anni di esistenza della città come ponte tra le civiltà. From South To North è un progetto che invita a guardare Odessa da una prospettiva più naturale, collocando il punto di riferimento nel Mediterraneo invece che a San Pietroburgo o a Mosca. Da questa prospettiva, Odesa è una città del nord, non del sud. Per secoli è stata il punto di contatto tra il Mar Mediterraneo e il territorio dell’attuale Ucraina. Questo punto all’estremo nord della mappa era il luogo di contatto con altre civiltà che si estendevano per migliaia di chilometri. È stata suggerita questa visione dall’alto come punto di partenza, e Alevtina Kakhidze ha creato un racconto toccante e grottesco della storia della sua famiglia come riflesso di come gli imperi violino le vite degli individui. Anche se forzata, la prospettiva di Odesa come città del sud vista da nord sembra buona come tutte le altre. L’artista accompagna lo spettatore attraverso la storia della sua famiglia, per la quale Odesa era sia la presunta fonte di opportunità sia un luogo di sogni irrealizzabili. L’errata identificazione degli ucraini come russi ha lasciato un segno nella famiglia dell’artista: la nonna georgiana (anche la Georgia ha subito la violenza coloniale russa) si rifiutava di vedere Alevtina e suo fratello, credendoli russi. In realtà erano ucraini, anche se di lingua russa. Alevtina offre uno sguardo che ci permette di capire qualcosa sull’oppressione imperialista che nessun libro di storia può offrire. Cosa fa un impero alle persone. Quanto sottilmente spezza le vite.

Il titolo del Padiglione suggerisce ancora un altro ordine di lettura. Tra i contributi video e le installazioni ospitate a Villa Portelli, l’ambizione sta anche nel mostrare pragmaticamente come le nuove mappature geografiche rendano evidente l’intercambiabilità dei poli nord/sud del mondo e la loro incompletezza come paradigmi interpretativi?
Il progetto intende dimostrare l’importanza semantica di guardare a un contesto storico più ampio e i danni dell’imposizione della prospettiva imperialista. Naturalmente, il Nord e Sud non si scambieranno di posto e la Biennale di Malta difficilmente potrà rompere i paradigmi interpretativi europeocentrici. Tuttavia, sta a noi essere pronti a guardare parti specifiche di questo mondo da un’angolazione diversa e adottare un’altra prospettiva. È certamente possibile.

Gli studi postcoloniali hanno ormai una lunga storia. Rispetto ai tempi di Orientalism di Edward Said, quali sono, secondo voi, i nuovi orizzonti da indagare in quest’ottica?
L’esame della nozione di impero piuttosto che di colonia è forse uno dei punti essenziali dell’analisi delle relazioni tra ex colonie e metropoli. Esistono diverse scuole di pensiero quando si tratta di comprendere gli imperi, tutte con punti ciechi che potrebbero sorprendere. La concezione classica del dominio di un impero sulle sue colonie d’oltremare non comprende la cosiddetta “colonizzazione interna”, nemmeno al livello di considerare l’Irlanda una colonia britannica. L’attuale critica della politica imperialista vede solo un impero attuale: gli Stati Uniti. È improbabile che entrambi i paradigmi possano tenere conto dell’esistenza della politica imperiale cinese. A volte è impossibile evidenziare la natura imperialista delle rivendicazioni russe sull’Ucraina: le argomentazioni a favore di tale politica saranno immediatamente sminuite dalla narrativa dell’unico popolo e della coesistenza naturale. Per molte persone nel mondo è così naturale vedere l’Ucraina come appartenente alla sfera d’influenza russa che incolpano gli ucraini per aver resistito all’aggressione e insistono sul fatto che è meglio deporre le armi per salvare vite umane. Nemmeno i fatti accertati sugli atti genocidi della Russia nei territori ucraini occupati riescono a scalfire la loro fiducia nei vantaggi della capitolazione. Solo gli ucraini capiscono che deporre le armi vuol dire morire: i soldati russi commettono atrocità perché non vedono i non russi come persone. I punti ciechi nella concettualizzazione teorica degli imperi attuali si scontrano con l’evidente fallimento del sistema di sicurezza globale costruito sullo statuto “sacrosanto” delle “potenze internazionali”. La teoria di Edward Said è tuttora attuale. Tuttavia, egli si concentrava sull’analisi della pertinenza della presenza imperiale nelle ex colonie, mentre ora riteniamo che sia importante evidenziare come gli imperi palesemente rinati rimangano nascosti e le ragioni per cui gran parte del mondo non è in grado di ammettere l’aggressione imperialista evidente, scaricando la colpa di crimini palesi su alcune terze parti.

Il Padiglione presenta un plexiglass con una timeline su cui scorrono gli avvenimenti di vite reali, provenienti dalla vicenda familiare dell’artista, il cui punto di convergenza è la città di Odessa. Opponendo più storie alla Storia, che vede la città ucraina a sud dell’impero russo, il racconto visivo di Alevtina Kakhidze assume le caratteristiche di una contro-narrazione?
Non una contro-narrazione classica, ovvero la storia raccontata da una persona privata della propria voce a causa della coercizione del proprio Paese o della propria comunità. Alevtina Kakhidze è un’artista con un modo di pensare complesso e responsabile. La sua storia è quella di riconquistare la propria voce, anche se attraverso l’analisi di ciò che una nazione colonizzata accetta mentre vive in un impero, nonché di come i popoli colonizzati possano non riconoscersi l’un l’altro. Nel nostro progetto, non siamo solo testimoni del funzionamento della contro-memoria, come definita da Michel Foucault. Vediamo anche come funziona la memoria a posteriori: una riflessione sul consenso delle nazioni colonizzate a cambiare la propria identità e la consapevolezza di quanto sia tragica una scelta di questo tipo per le vite degli individui che prendono le proprie decisioni. Il lavoro di Alevtina non riguarda il ressentiment. È piuttosto una riflessione responsabile nella forma grottesca di una conversazione con il padre scomparso da tempo. Non c’è una memoria “parallela” che possa produrre contro-narrazioni.

Quanto è stato importante per voi il sostegno dell’Unione Europea al progetto per la Biennale di Malta?
Questo progetto è stato reso possibile grazie al sostegno dell’UE e di una rete di partner ucraini e internazionali. Il Padiglione è stato realizzato con il sostegno della Fondazione IZOLYATSIA dell’Ucraina, della rete internazionale Trans Europe Halles e dell’organizzazione culturale Malý Berlín della Slovacchia, ed è stato cofinanziato dal programma ZMINA: Rebuilding, creato con il supporto dell’Unione Europea. Inoltre, ci saremmo mai riusciti senza i nostri partner primari: Museo Nazionale delle Belle Arti di Odesa, NOS Visual Arts Production, Istituto Ucraino e Fondazione per la Comunità Ucraina di Malta. Siamo grati di essere sostenuti da organizzazioni pronte a comprendere e condividere le sfide che l’Ucraina deve affrontare.

L’indagine sui temi proseguirà anche in un talk che verrà ospitato a Villa Portelli. Inserito nel public program del padiglione, Imperial Heritage, Imperial Violence—Past or Present? condurrà alla Biennale di Malta esperti internazionali, con cui si discuteranno le modalità di elaborazione del passato imperialista. Tra gli ospiti, Sofia Baldi Pighi, direttrice artistica di maltabiennale.art 2024, George Juma Ondeng’, curatore principale del Museo di Kitale, un museo regionale del Kenya occidentale, e Anastasiia Manuliak, responsabile del settore Cultura visiva dell’Istituto ucraino, che interverrà a distanza. A moderare l’incontro, che si terrà il 23 aprile alle ore 17.00, sarà la curatrice Oksana Dovgopolova.

info: maltabiennale.art