L’arte contemporanea arriva al Papa ma non al sindaco di Venezia

Il paradosso va in scena in Biennale, tra gli scivoloni del sindaco Brugnaro e la passione di Papa Francesco per l'arte contemporanea

È un dato di fatto che la Chiesa abbia da sempre guardato con lungimiranza all’arte, nella realizzazione di opere grandiose e nel desiderio di celebrare con la pittura e con la scultura i momenti sacri più significativi e la gloria dei Papi che nel corso dei secoli si sono succeduti. Certo, è piuttosto ovvio che l’interesse della religione si sia sempre rivolto a un canone di bellezza tradizionale, sia che questo fosse incarnato dall’eleganza rinascimentale sia che esso fosse rappresentato dall’opulenza barocca.

Negli ultimi tempi stupisce positivamente l’apertura nell’approccio della Chiesa all’arte che, grazie anche alla figura di Papa Francesco, ha mostrato una volontà di avvicinamento all’arte contemporanea. “Non dobbiamo avere paura di trovare e utilizzare nuovi simboli, nuove forme d’arte, nuovi linguaggi”, aveva scritto nel 2015: un messaggio che trova continuità nelle parole pronunciate nei giorni scorsi durante la sua visita alla Biennale di Venezia: «mi auguro con tutto il cuore che l’arte contemporanea possa aprire il nostro sguardo», ha affermato, e si riassume nell’eccellente risultato allestitivo del Padiglione Vaticano, che, a detta di molti, è tra i migliori della Biennale 2024.

Di fronte a questa apertura, fa riflettere ancora di più il discorso del Sindaco di Venezia Luigi Brugnaro, che all’inaugurazione del Padiglione Italia ha comunicato non solo di non apprezzare le forme contemporanee dell’arte ma ha anche dimostrato di fronte allo sgomento del pubblico (con tanto di fischi) e all’indignazione degli artisti presenti, di non portare rispetto alla ricerca artistica, prendendosi gioco del progetto presentato da Massimo Bartolini.

«A me il Padiglione Italia non è piaciuto. E lo dico: l’arte più è discussa, meglio è. Ma io sono per il figurativo. A Ca’ Pesaro noi abbiamo un Klimt che era alla Biennale e mi auguro che possa tornare anche qui il figurativo, la pittura, la fotografia. Questa è una città libera, ed è bello che ci sia anche qualcuno, come me, che accetti i fischi. Perché non tutto quello che si fa è condivisibile», ha detto nel discorso di apertura delle Tese, in un preciso contesto in cui non si richiedeva a una figura istituzionale come la sua di esprimere un’opinione in merito al progetto. Ora, com’è evidente, non è questo che gli viene contestato. Il progetto di Massimo Bartolini Due qui/To hear è stato piuttosto divisivo sin da quando è stato annunciato e non sono mancati gli attacchi neanche dopo l’apertura della Biennale (ad esempio Vittorio Sgarbi l’ha definito «un orrore contro l’umanità»). Ci sono però contesti e contesti, e quello che ha scelto il Sindaco Brugnaro non era di certo quello giusto.

Ma mettiamo pure che abbia sbagliato tempismo, mettiamo che in preda a un desiderio irrefrenabile di condividere il suo parere sul Padiglione abbia detto troppo in quel preciso momento, quello avvenuto poco prima all’interno del Padiglione, di fronte alla vasca-fontana che fa parte dell’allestimento scarno del progetto di Bartolini non ammette giustificazioni.

Il sindaco Brugnaro, rinfreschiamo la memoria, seduto vicino al ministro Sangiuliano e aI curatore Cerizza, ha messo le mani nell’acqua della fontana, parte del lavoro di Bartolini, e ha iniziato a far partire degli schizzi a mo’ di scherzo di fronte alla stampa e a tutti i presenti. Il gesto ha provocato una reazione immediata da parte di Bartolini, che ha richiesto maggior rispetto per l’opera d’arte e per coloro che l’hanno realizzata, mentre invece è stato elevato addirittura a intervento performativo dal Presidente della Biennale, Pierangelo Buttafuoco:  «Caro sindaco – ha affermato in un disperato tentativo di salvargli la faccia – hai fatto i baffi alla Gioconda. Ed è l’atto performativo per eccellenza, che è quello di avere innestato in un fatto d’arte la viva carne della polemica».

C’è chi in questi giorni ha giustamente ricordato gli episodi tragicomici de Le vacanze intelligenti di Alberto Sordi ma, in questo caso, di performativo e di divertente questo gesto ha ben poco, e di artistico tantomeno. Ancora una volta è la riprova che le istituzioni riassumano il tutto guardando agli artisti come a giullari che ci fanno tanto divertire, di “contiana” memoria. Mentre le difese a Brugnaro hanno un sapore ancora più amaro. Sono la manifestazione di una minimizzazione subdola e infida che trova la sua massima espressione in azioni come la pubblicazione del monologo di Antonio Scurati sul profilo twitter di Giorgia Meloni dopo la censura della Rai.

Last but not least, l’augurio di Brugnaro che possa tornare al Padiglione Italia il figurativo. In una Biennale che inneggia alla diversità, che mette in valore espressioni così eterogenee, in cui confluiscono già tradizione, artigianato e tanto altro, questa affermazione suona ancora di più come un ritorno all’ordine. Tanto più che oggi (anzi, da diversi decenni), va detto al sindaco Brugnaro, che i confini tra i generi e le discipline sono caduti e non esistono le classificazioni “d’artri tempi”. In una società in cui si fatica a dare all’arte il giusto spazio e a valorizzare i nostri artisti contemporanei proiettandoli in una dimensione internazionale, come possono dichiarazioni come la sua fare del bene alla cultura italiana?

Tornando quindi al Papa il grande paradosso della Biennale si può risolvere con un risultato ben chiaro Chiesa 1 / Istituzioni 0, non c’è partita che tenga ma non c’è davvero niente per cui esultare.