Mostra del Cinema di Venezia: il Leone d’Oro va al documentario dedicato a Nan Goldin

Alla 79esima Mostra del cinema di Venezia trionfa All the Beauty and the Bloodshed, il film di Laura Poitras sulla celebre fotografa

Il Leone d’Oro della 79esima edizione della Mostra del cinema di Venezia è stato assegnato a All the Beauty and the Bloodshed di Laura Poitras, unico documentario tra i 23 titoli in corsa. Il film, dedicato all’artista e attivista Nan Goldin racconta, attraverso diapositive, dialoghi intimi, fotografie rivoluzionarie e rari filmati, la sua lotta per ottenere il riconoscimento della responsabilità della famiglia Sackler per le morti di overdose da farmaco. Goldin ha condotto infatti una dura campagna contro la Purdue Pharma, l’azienda farmaceutica di proprietà dei Sackler, produttori dell’antidolorifico Oxycontin, responsabile della crisi di oppiodi che ha sconvolto gli Stati Uniti e ucciso almeno 500.000 persone. Nel mentre, la famiglia ha riciclato la propria immagine pubblica vendendosi come mecenati d’arte tanto che ai Sackler sono state addirittura intitolate sette sale del Metropolitan Museum di New York e altre nel Museo del Louvre di Parigi.

Nan one month after being battered 1984 Nan Goldin born 1953 Purchased 1997 http://www.tate.org.uk/art/work/P78045

In All the Beauty and the Bloodshed, Goldin, fotografa della New York disinibita e queer degli anni ‘80, ripercorre le proprie vicissitudini familiari e professionali e il tortuoso viaggio che hanno condotto anche lei alla dipendenza da questi antidolorifici oppioidi. Nel corso di quasi due anni, Poitras ha visitato la Goldin nella sua casa di Brooklyn, per una serie di interviste audio che, insieme alle diapositive e alle fotografie della stessa Goldin, costituiscono il nucleo centrale del film. Dopo essere sopravvissuta a un’overdose di fentanil quasi fatale, nel 2017 Goldin ha fondato il gruppo di difesa Pain (Prescription Addiction Intervention Now) per fare pressione su musei e altre istituzioni artistiche affinché interrompano le collaborazioni con la famiglia Sackler, che da tempo sostiene finanziariamente le arti. “Il mio più grande orgoglio è quello di aver messo in ginocchio una famiglia di miliardari in un mondo in cui i miliardari possono contare su una giustizia diversa da quella di persone come noi e la loro impunità è totale negli Stati Uniti. E, per ora, ne abbiamo abbattuto uno” ha dichiarato la fotografa a Venezia.

Nonostante non ami definirsi una fotografa, Nan Goldin è dagli anni ’70 che racconta al mondo momenti di vita vissuta attraverso i suoi scatti. Immagini che tentano di dare una forma compiuta alla sua vita complessa, fatta di eccessi, di amcizie e relazioni tumultuose. Nata a Washington nel 1953, la sua vita è segnata profondamente da una serie di tragiche vicende che si susseguono, dal suicidio della sorella diciottene, alla morte dei suoi amici per Aids. Il suo stile è quindi improntato sulla scelta di ritrarre cari e conoscenti, ma anche se stessa come nel celebre Autoritratto un mese dopo essere stata picchiata, diventando negli anni un’icona di riferimento sociale e politica. Il suo lavoro più celebre, The Ballad of Sexual Dependency del 1985, è composto da circa 700 immagini scattate tra il 1979 e il 1985, nelle quali Goldin ha ripreso le sue esperienze personali e amorose all’interno della comunità queer in cui ha vissuto nel quartiere di Bowery a New York in quegli anni, la sottocultura gay e dell’eroina, trasformando l’istantanea familiare intima in un genere artistico e in un’arte fotografica.

Dal 1995 il lavoro di Goldin si è allargato ad altri temi e collaborazioni: progetti di libri con il fotografo giapponese Nobuyoshi Araki, skyline di New York, paesaggi, foto del suo compagno Siobhan, bambini, famiglie biologiche, genitorialità, di cui si trova ampia traccia nel libro The Devil’s Playground, pubblicato nel 2003, una collezione di fotografie che percorrono 35 anni della sua carriera.