Saverio Verini è il nuovo Direttore del Sistema Museale di Spoleto. Il 24 giugno, pochi mesi dopo l’inizio del suo incarico, sono state inaugurate le prime mostre in tutti i sei spazi espositivi della città umbra. «Il mio obiettivo è sicuramente quello di unire la memoria del luogo alla contemporaneità, anche grazie alla collaborazione di associazioni locali», ha dichiarato il curatore nell’intervista a Inside Art.
Il tuo lavoro come Direttore è iniziato da pochi mesi, come sei riuscito ad organizzare tutto così rapidamente? Che visione hai per questo mandato?
Subito dopo l’incarico, mi sono messo al lavoro per poter proporre un programma di mostre e iniziative che inaugurasse in concomitanza con il Festival dei Due Mondi, che è una grandissima vetrina per la città. Da parte dell’amministrazione ho fin da subito avuto grande fiducia, e anche questo mi ha permesso di pianificare tutto in tempi rapidi. L’idea, adesso come in futuro, è quella di creare un legame tra le sedi della rete dei musei comunali attraverso l’arte contemporanea, anche grazie alla collaborazione con realtà del territorio. Credo che questa visione possa essere rappresentata dalla fotografia che ritrae di fronte al museo delle Miniere il minatore 94enne Benigno Fabbi insieme al nipote Mattia, 6 anni. Si tratta di uno scatto realizzato da Serafino Amato per l’iniziativa Insieme Miniera, nata con l’intento di avvicinare il Museo, che si trova a qualche chilometro di distanza dal centro, alla città. Anche i progetti DreamHouse di Alice Paltrinieri alla Casa Romana, a cura di Spazio Taverna, e Il Soffio del Gatto di Giulia Mangoni, in collaborazione con il Museo delle Scienze e del Territorio, nascono dal desiderio di sottolineare i legami, anche inaspettati, tra storia e presente, tra il patrimonio storico e opere che possono nascere sul posto.
Tra collettive e personali ci sono davvero molte personalità che hanno partecipato alle mostre appena inaugurate, qual è stato il criterio di scelta di questi artisti?
Ho invitato artisti ai quali sono legato da un rapporto di collaborazione e stima reciproca (per esempio Paolo Icaro e Flavio Favelli), ma anche altri con cui non avevo mai lavorato in precedenza. L’aspetto fondamentale, in ogni caso, era quello di coinvolgere artisti che potessero interpretare e dare una lettura personale dei diversi luoghi. Penso ad Adelaide Cioni, che ha concepito un’installazione per il Museo del Tessuto e del Costume basata su costumi da lei realizzati. Oltretutto Adelaide si è da poco trasferita a Spoleto, scegliendola come luogo dove vivere e lavorare: ne è nato un intervento artistico particolarmente accurato, che ha visto anche il coinvolgimento di un artigiano del posto, Leonardo Scaramucci.
Per quanto riguarda lo spazio, com’è riuscito a valorizzare sia opere contemporanee, sia luoghi con grande storia alle spalle?
Con La sostanza agitata, collettiva allestita al piano terra di Palazzo Collicola che vede la partecipazione di undici artisti sotti i 35 anni d’età, mi piaceva proporre una selezione di opere di natura installativa e plastica, dunque di derivazione scultorea. Spoleto ha un forte legame con la scultura, come dimostra l’esperienza di Sculture nella città, mostra memorabile curata da Giovanni Carandente nel 1962. Credo fosse stimolante osservare, dopo più di sessant’anni, alcune direzioni prese dalla ricerca in ambito plastico, attraverso lo sguardo di artisti emergenti attivi in Italia oggi. Tutti gli artisti hanno avuto a disposizione una stanza, scelta in base all’opera e alla sua capacità di dialogare con la conformazione dello spazio, le decorazioni presenti nelle sale e altre preesistenze (penso, tra le altre, all’opera di Lucia Cantò, vincitrice del Talent Prize di Inside Art 2021). Anche le opere di Flavio Favelli, la maggior parte delle quali create proprio in occasione della mostra a Palazzo Collicola, dialogano con gli spazi del Piano Nobile di Palazzo Collicola; così come l’intervento poetico e incisivo di Paolo Icaro, Anacronismo, ospitato nella chiesa dei Santi Giovanni e Paolo.
Intervallo, al piano nobile di Palazzo Collicola, è infatti una mostra che si lega molto anche al passato, poiché tutte le sue opere sono di riutilizzo e rimandano a un immaginario collettivo molto presente nel nostro Paese.
Sì, infatti. Favelli ha rielaborato per l’occasione oggetti dismessi, assemblati tra loro con l’idea creare immagini che rimandano al contesto domestico e a un passato recente, proponendo una sfasatura temporale. Ciò che è consumato e deteriorato riprende vita sotto altra forma, ciò che aveva una funzione ne ottiene un’altra, attraverso “inganni” visivi che si rivelano magari soltanto a un secondo sguardo.