Il Louvre è al collasso. Non parliamo di una metafora, ma di una realtà materiale, visibile, ormai difficile da nascondere dietro le vetrate della celebre piramide. Mentre il museo continua ad accogliere milioni di visitatori, il suo stato strutturale, la condizione del personale e l’esperienza offerta stanno sprofondando. È l’emblema di una crisi culturale che travolge non solo un museo, ma un intero modo di pensare la cultura in Europa, troppo spesso vessata da tagli, e troppo spesso ancora considerata come un lusso superfluo, e non una risorsa strategica.

Louvre, un tempio in rovina sotto l’assedio del turismo
Cosa succede quando un museo smette di essere un luogo di ricerca, studio, contemplazione e sana interazione con il pubblico e si trasforma in un punto obbligato di passaggio per il turismo di massa? La risposta sta tutta nel Louvre: 8 milioni di visitatori l’anno, oltre due terzi dei quali stranieri, attratti quasi esclusivamente dal culto della Gioconda, ridotta a sfondo per selfie, osservata da una distanza di sicurezza, senza contesto né didascalia.
Nel frattempo, i dipendenti sono allo stremo. Lo sciopero del 16 giugno, che ha costretto alla chiusura del museo, è solo l’ultima manifestazione di una rabbia repressa. Negli ultimi quindici anni sono stati tagliati più di 200 posti di lavoro a tempo pieno. I pochi rimasti devono affrontare giornate di caos e sovraffollamento, in un edificio che cade a pezzi. Letteralmente.
Un degrado ignorato da troppo tempo
La direttrice del Louvre, Laurence des Cars, ha lanciato un allarme che dovrebbe far tremare le istituzioni. Parla di “obsolescenza preoccupante”, di “avaria moltiplicata”, di un museo “strutturalmente superato”. Allagamenti, pareti scrostate, impianti di climatizzazione inadeguati, ascensori fuori uso. Alcune sale sono state chiuse per infiltrazioni, altre mettono a rischio la conservazione delle opere.
E la celebre piramide di vetro? Un tempo simbolo di modernità, oggi si rivela un fallimento tecnico: progettata per 4 milioni di visitatori, soffoca sotto il doppio dei flussi. In estate diventa una serra rovente, rumorosa come una stazione ferroviaria. Un errore di calcolo, e di visione.

Il grande bluff del restauro
A fronte di questa situazione drammatica, la risposta dello Stato è stata goffa, se non cinica. Emmanuel Macron ha annunciato un piano da 800 milioni di euro per due grandi interventi: una nuova sala per la “Gioconda” e un secondo accesso al museo. Ma la realizzazione è prevista per il 2031. Una data che suona come una presa in giro, mentre le pareti del Louvre si sfaldano e i dipendenti chiedono dignità oggi, non tra sei anni.
Nel frattempo, si cercano tagli nel Ministero della Cultura per risanare il bilancio pubblico. Secondo la Legge di Bilancio 2025, il Ministero della Cultura subirà riduzioni di 147 milioni di euro nel 2025, 178 milioni nel 2026 e 204 milioni nel 2027, per un totale di circa 529 milioni di euro. Il Louvre, monumento della République, è trattato alla stregua di un parco tematico. E non è solo una questione di fondi, ma di priorità politiche: la cultura, come spesso accade, viene celebrata nei discorsi ufficiali, ma sacrificata nella pratica amministrativa.
Un modello al capolinea
La crisi del Louvre non è un caso isolato, ma un sintomo. Ci racconta molto di come l’Europa ha scelto di gestire i suoi patrimoni culturali: piegandoli all’intrattenimento, assecondando logiche di profitto, ignorando i bisogni di chi quei luoghi li vive e li fa vivere ogni giorno.
In nome del turismo, si è svuotata la cultura del suo significato profondo: quello di formare coscienze, educare alla bellezza, creare uno spazio per la riflessione. Lo sciopero dei lavoratori del Louvre è un atto di resistenza civile, prima ancora che sindacale. È il tentativo di riaffermare che la cultura non può essere compressa tra flussi, algoritmi e biglietti venduti.

Se l’Europa mette da parte il suo patrimonio
La crisi del Louvre è solo la punta dell’iceberg di una miopia culturale europea. In Italia, dove il patrimonio UNESCO è il più ricco al mondo, il settore culturale rappresenta il 5,6% del PIL e cresce il doppio della media nazionale. Come ha sottolineato Fabio Pompei, CEO di Deloitte Italia, «l’Italia è una superpotenza culturale e siti come il Colosseo generano un impatto economico di oltre 1,4 miliardi, con un valore sociale stimato in 70 miliardi». Numeri che dovrebbero spingere a politiche ambiziose, e invece lasciano spazio a tagli, incuria e precarietà. Un paradosso che mette a rischio non solo la conservazione dei beni, ma l’identità stessa dell’Europa.
Il Louvre, risulta a questo punto chiaro, non è solo un museo: è un indicatore concreto di come l’Europa gestisce il proprio patrimonio culturale. Ignorare il suo degrado significa accettare che la cultura venga ridotta a consumo rapido, mentre l’eredità storica si logora nell’indifferenza.