Secondo un immaginario largamente condiviso, Roma rappresenta la città-strato per eccellenza. Tra intersezioni e sovrapposizioni generate da una cultura millenaria, anche le vie del contemporaneo hanno da tempo individuato le loro strategie per emergere, spesso raccogliendone e rielaborandone l’eredità. Pare essere questa la direzione intrapresa da Tim Van Laere, che ha eletto la Capitale come seconda casa per la propria galleria. Fondata nel 1997 ad Anversa, la Tim Van Laere Gallery ha visto transitare negli spazi espositivi di Verlatstraat e di Nieuw Zuid generazioni di artisti, da figure emergenti a nomi affermati sul panorama internazionale.
Un percorso che Van Laere ha deciso di proseguire a Roma, una città che, spiega il gallerista, «ho sentito come il posto giusto, con la sua atmosfera unica e la sua storia ricca, per un nuovo capitolo». La vicenda romana della Tim Van Laere Gallery è cominciata alla fine del 2023, con una personale dell’artista Ben Sledsens a Palazzo Donarelli Ricci, la nuova sede capitolina della galleria. Edificio nobiliare cinquecentesco, il palazzo si trova nel cuore del centro storico, in via Giulia, dove l’arte è di casa. Una scelta sensibilmente diversa rispetto alle consuetudini che si sono affermate nella storia dell’istituzione, sia sul piano architettonico che, di conseguenza, nel modo di proporsi al pubblico. «Ho fondato la galleria ad Anversa nel 1997. All’inizio si trovava in un edificio a Verlatstraat», racconta Tim Van Laere.
«Nel corso di questi anni ho sempre sognato di costruire un ambiente solo per me, che fosse progettato esclusivamente in funzione dell’arte. Dopo numerose mostre straordinarie – continua il gallerista – quella sede non soddisfaceva più i bisogni degli artisti, perciò ho preso la decisione di fare un salto e ho collaborato con lo studio di architettura OFFICE Kersten Geers David Van Severen per costruire un nuovo spazio, che è stato inaugurato nel 2019. È un edificio di 1100 metri quadrati, diviso in tre aree espositive: il cubo bianco, la cappella e il cortile». Con una superficie cinque volte superiore a quella degli inizi, la sede belga rappresenta un esempio di architettura all’avanguardia che, inserendosi in un progetto urbanistico sostenibile pensato per il quartiere Nieuw Zuid della città, implica un rapporto più diretto con i visitatori, oltre a costituire un luogo interamente votato all’arte.
«Per Roma – spiega Tim Van Laere – volevo uno spazio più intimo, che riflettesse la ricca eredità della città. La sede sfiderà gli artisti in un modo completamente diverso rispetto a quella di Anversa». In relazione con l’atmosfera urbana, la vita contemporanea di Palazzo Donarelli Ricci sta approntando una strategia con cui sviluppare le proprie strade all’interno della stratificazione romana, per posizionarsi in quello che il gallerista stesso ha definito un «campo di battaglia per l’arte». Un’affermazione, questa, che Tim Van Laere chiarisce ricordando a sua volta le parole di un artista, da tempo tra le file dell’istituzione belga: «Adrian Ghenie mi ha descritto Anversa come un campo di battaglia per la pittura. È una città che ha ispirato generazioni di artisti e in cui il dialogo sull’arte è ancora molto vivace. Lo stesso discorso – spiega – può essere applicato alla realtà di Roma, ma è un ragionamento che di certo non può essere limitato alla pittura». Pure se agli inizi, il capitolo romano della Tim Van Laere Gallery conta già due personali alle spalle e una mostra in corso.
colored pencil on
oil pastel on paper
Dopo l’esordio con Ben Sledsens e l’esposizione dedicata a Jonathan Meese, che con le sue opere dà vita a un gioco umoristico sulla storia, la galleria prosegue il suo viaggio proponendo al pubblico della Capitale i lavori di Rinus Van de Velde, alla sua ottava esposizione con Tim Van Laere, con cui collabora dal 2011, ma per la prima volta a Roma. «Rinus Van de Velde è decisamente un artista da seguire», afferma il gallerista. «Nelle sue opere mette in discussione il concetto di verità, e lo fa attraverso la creazione di un multiverso in cui vari suoi alter ego abitano altri mondi plasmati dai suoi sogni ad occhi aperti e dalla sua immaginazione. È incredibile – conclude – quali verità si possano trovare nella sua rete di bugie e trame orchestrate con cura». Nella mostra romana, dal titolo I am done singing about the past, l’artista presenta una nuova serie di disegni a carboncino, matita colorata e pastello a olio in cui, in linea con la sua poetica consueta, esplora il mondo attraverso il racconto di un’autobiografia fittizia.
Parlando della sua esperienza quasi trentennale, Tim Van Laere racconta di aver sempre avuto fiducia nei propri istinti e di aver assecondato le proprie intuizioni. Un discorso che può valere tanto per le collaborazioni con gli artisti, la cui diversità consente alla galleria di offrire al pubblico un panorama creativo altrettanto eterogeneo, quanto sul piano degli spazi toccati nel corso degli anni, i cui tratti architettonici paiono rivelare una lettura delle città d’elezione. Data la vocazione internazionale della galleria, il percorso, pure se ai suoi albori espansivi al di fuori del Belgio, lascia presagire ulteriori sviluppi, che porteranno la Tim Van Gallery anche oltre la Capitale.
*L’articolo è stato pubblicato sul numero #131 di Inside Art.