Biennale Arte: Il Padiglione del Vaticano è il migliore di tutti?

Con la mostra Con i miei occhi, il Padiglione della Santa Sede risulta essere uno dei migliori padiglioni in Laguna

Con i miei occhi è una realtà inedita e senza precedenti per La Biennale di Venezia, grazie all’installazione fisica e concettuale all’interno della Casa di reclusione femminile della Giudecca. Una mostra curata da Chiara Parisi e Bruno Racine, rispettivamente direttrice del Centre Pompidou-Metz e direttore di Palazzo Grassi dal 2020, che hanno chiamato a partecipare otto artisti: Maurizio Cattelan, Bintou Dembélé, Simone Fattal, Claire Fontaine, Sonia Gomes, Corita Kent, Marco Perego & Zoe Saldana, Claire Tabouret, per il Padiglione della Santa Sede.

E (sorpresa!) risulta essere uno dei migliori padiglioni in Laguna. Il posto scelto per l’occasione è niente meno che la prigione femminile in Giudecca. Le visite guidate sono lasciate alla guida delle detenute, elemento fondante di tutto il percorso di raccoglimento, catarsi e narrazione. Perno centrale dell’intero racconto è il tema dei diritti umani e alla figura degli ultimi.

La mostra dal titolo Con i miei occhi è stata annunciata a suo tempo dal cardinale José Tolentino de Mendonça, che oltre ad essere prefetto del dicastero per la Cultura e l’Educazione, è considerato un vero e proprio intellettuale della Chiesa e scrittore.

La location scelta è la novità assoluta: la Casa di reclusione femminile della Giudecca, che nella sua storia fu un convento dove la Repubblica di Venezia mandava le “donne perdute”, per utilizzare fedelmente l’espressione impiegata in sala stampa. Il carcere, tutt’ora attivo, è perciò un luogo dalle particolarissime e complesse dinamiche, avendo regole di ammissione completamente diverse da quelle degli spazi dedicati all’arte.

È del resto un luogo di detenzione e di rieducazione delle donne lì ospitate, che tra l’altro saranno parte attiva del processo di creazione di alcune delle opere che gli artisti stanno ultimando in queste settimane. Non sfugge però che la limitazione di telefoni e fotocamere (proprio com’è successo per la sfilata di The Row, il brand delle gemelle Olsen, durante l’ultima settimana della moda di Parigi) si tradurrà oggi in un’esperienza quasi rivoluzionaria , perché il cambiamento tecnologico e antropologico del pubblico dell’arte per quanto rappresenti una storia piuttosto recente, ha rappresentato un cambio radicale e transgenerazionale (a tutti sarà capitato di vedere un barrage di nonne intente a mappare fotograficamente interi musei con i loro iPad) di guardare all’arte. Se quella del 2013 fu la prima Biennale “di Instagram” oggi è pressoché impossibile pensare a kermesse artistiche e visite ai musei e monumenti senza vidimare il nostro sguardo nell’iconosfera dei social.

Come hanno spiegato Tolentino de Mendonça: «Questa scelta va nella direzione di uno sguardo meno distratto, che affiderà l’esperienza alla memoria, al raccoglimento al momento dell’incontro con le opere piuttosto che ai nostri tic digitali». Si parte dal collettivo Claire Fontaine, dal cui lavoro, Adriano Pedrosa direttore artistico della Biennale, ha preso spunto per il titolo di questa 60esima edizione: Stranieri Ovunque. C’è poi l’artista francese Claire Tabouret che realizzerà dipinti partendo dalle fotografie a lei inviate dalle detenute che le raffigurano da bambine o in compagnia delle loro madri. L’ottantenne artista libanese Simone Fattal che per la Giudecca ha realizzato imponenti sculture ispirate alle poesie delle carcerate che accoglieranno i visitatori nel viale interno della struttura. E ancora, c’è spazio per il pop e anche per il vagamente tamarro con l’artista e regista italiano Marco Perego che insieme alla moglie, l’attrice Zoe Saldana (I Guardiani della GalassiaAvatar) hanno girato un corto attorno al tema del desiderio che sarà proiettato nella sala per le visite alle detenute. L’artista brasiliana Sonia Gomes insieme al ballerino hip-hop francese Bintou Dembélé stanno invece preparando una coreografia che vedrà la partecipazione di alcune detenute.

C’è poi Maurizio Cattelan che dopo 25 anni dalla sua partecipazione alla XLVIII Biennale di Venezia con la performance Mother torna con una grande opera sulla facciata della cappella del penitenziario, questa volta dedicata al “paterno”.

Chiude la selezione l’unica artista non vivente scelta dai curatori è Sister Corita Kent(1918-1986), suora californiana che si impegnò in un’intensa produzione di opere grafiche contro la guerra in Vietnam e serigrafie che mischiavano pop e spiritualità, che ebbe una grande influenza su artisti e grafici degli anni Cinquanta, fu anche accusata di essere comunista e abbandonò il monastero per vivere con la sua amante.

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