Nella mattina del 24 gennaio è comparso sulla facciata del Museo Reina Sofia di Madrid un enorme striscione. Realizzato dallo street artist statunitense Shepard Fairey, lo striscione riporta un’immagine scattata dal fotoreporter di Gaza Belal Khaled che ritrae il volto di un bambino palestinese mentre piange, ferito. Accanto all’opera, un altro striscione che richiama al cessate il fuoco in Medio Oriente.
L’operazione, a cui il museo non ha preso parte, è stata condotta dagli attivisti di Greenpeace, organizzazione no-profit ambientalista, che insieme a UnMute Gaza, che sostiene i fotoreporter nella Striscia, ha poi ampliato la visibilità con un post su Instagram. “Le nostre due organizzazioni denunciano la situazione a Gaza, come la stragrande maggioranza della società civile, e chiedono un cessate il fuoco immediato”, hanno scritto.
La scelta del museo appare ovvia, come ha anche specificato UnMute Gaza nel post. Il Reina Sofia è infatti un’istituzione nota “a livello internazionale per ospitare Guernica di Picasso, simbolo della sofferenza dei civili nelle guerre”. Richiamandosi al celebre dipinto di Picasso, esempio assoluto di opera contro la guerra – in quel caso nel contesto della guerra civile spagnola -, così gli attivisti hanno scelto la facciata del museo che lo ospita per fare appello contro una guerra dei nostri giorni.
“Credo nelle soluzioni ai disaccordi che evitino la violenza”, scriveva su Instagram a dicembre Fairey, condannando gli attacchi sia di Hamas che di Israele e dichiarandosi sostenitore di UnMute Gaza. “Una cosa che mi è emersa molto rapidamente è che i media occidentali sono in gran parte disinteressati a dare uguale copertura alle sofferenze di Gaza che hanno tolto la vita a circa 18.000 civili palestinesi, molti dei quali sono donne e bambini”, ha continuato, “ci sono molti fotoreporter che lavorano coraggiosamente a Gaza per far luce sulle reali conseguenze umane dell’offensiva israeliana”.
Secondo quanto dichiarato dal comitato no-profit per la protezione dei giornalisti, dall’inizio della guerra, infatti, sono almeno 83 i reporter uccisi (76 palestinesi, quattro israeliani e tre libanesi).