Teorie dei climi: il nuovo libro di Alessandro Castiglioni racconta le geografie dell’arte

Vicedirettore del Museo MA*GA di Gallarate, Alessandro Castiglioni esplora nel suo nuovo libro i processi di trasformazione degli spazi attraverso le pratiche artistiche

Dal cronotopo di Michail Bachtin in teoria della letteratura al celebre gesto di Lucio Fontana sulla tela, lo spazio ha assunto nella contemporaneità uno statuto analogo al fattore temporale. Da qui, attraversato ed esplorato da una congerie di pratiche artistiche, lo spazio si trasforma, si simbolizza, e diviene luogo. Un processo multidirezionale, indagato nel nuovo volume di Alessandro Castiglioni, vicedirettore del Museo MA*GA di Gallarate.

«Questo libro parla di geografie dell’arte, di pratiche di ricerca e culture visuali, prestando attenzione a come i contesti geografici contemporanei influenzino i modi di fare e pensare arte». Così Alessandro Castiglioni introduce Teorie dei climi. Culture visuali, perlustrazioni geografiche, marginalia, edito nel 2023 da Postmedia Books.

«Il libro si intitola Teorie dei climi – continua Castiglioni – perché rielabora criticamente quel rapporto tra clima e carattere individuale che, da Ippocrate e Aristotele alla celebre teoria di Montesquieu, mette in relazione fasce climatiche e comportamenti umani. Oggi una differente consapevolezza climatica ribalta queste posizioni inattuali e problematiche, e ci mette di fronte a un mutato rapporto tra clima e comportamenti. Nel nostro presente storico l’uomo, superando una dinamica passiva di sudditanza fatale, è diventato artefice del clima, sia nel bene sia, soprattutto, nel male». Una condizione, questa, che implica una diversa funzione delle pratiche geografiche, che per l’autore coincidono con «una pratica di consapevolezza del mondo».

Da questa premessa, il volume esplora le modalità e le implicazioni di quelle pratiche artistiche capaci di trasformare lo spazio in luogo, dunque investendo il primo di elementi simbolici. Il libro racconta così «una serie di storie delle arti visive dal bordo, lontano dalle egemonie della comunicazione artistica e delle architetture mediatiche del nostro tempo. Una geografia dell’arte sviluppata attraverso molteplici centri interdipendenti non gerarchici, capaci di scardinare quella logica, ormai inattuale e vuota, di tensione centro-periferia». Introdotti dalle illustrazioni di Mattia Fontanella, i capitoli indagano questo processo muovendosi dalle pratiche artistiche, performative e letterarie per arrivare anche al cinema, alla moda e al design.

Il primo vettore di indagine di questa metamorfosi è rappresentato dal corpo, per la sua capacità di attraversare lo spazio e di significarlo. Citando – tra le altre – Exercises for a Polluted Mind di Martina Corti come opera che tematizza l’interazione tra corpo e spazio, Alessandro Castiglioni individua in questo connubio una possibilità di dare forma a un luogo. Una saturazione dello spazio tramite l’esperienza che allontana dalla fluttuazione infinita rappresentata in Gravity di Alfonso Cuarón.

Riferendosi alle opere di Binta Diaw e Stefano Cagol, ma anche di Hekla Dögg Jónsdóttir, Castiglioni affronta poi l’intersezione di geografie fisiche e politiche attraverso l’elemento dell’acqua e dei suoi flussi, anche emblemi del cambiamento climatico, per poi concentrarsi sulle politiche dei piccoli stati e dei micro-territori. Un’occasione, questa, per mettere a fuoco la questione dipendenza-indipendenza e le modalità in cui comunità di estensione territoriale poco rilevante affrontano i problemi identitari a partire dalla definizione di Territori ad Alta Definizione Simbolica (TADS) coniata da Pier Paolo Coro.

Rivolgendo poi l’attenzione alle geografie culturali, Castiglioni esamina le caratteristiche di quelle umane e immaginarie. Nel primo caso a costituire il veicolo di accesso sono gli oggetti, la loro rilevanza nella vita domestica e il rapporto di continuità con le persone. Indiscussi interpreti di questa relazione, i grandi nomi del readymade, ma Castiglioni cita anche un allestimento di Alessandro Mendini presso il Museo del Design della Triennale di Milano, dal titolo Quali cose siamo.

Se le geografie immaginarie si raccolgono attorno a uno dei luoghi letterari per eccellenza, lo stretto di Gibilterra, per cui l’autore richiama non solo il precedente dell’Ulysses di James Joyce ma anche il cinema sperimentale novecentesco, altro è l’approccio alle geografie del potere e del sapere, che spinge l’autore a indagare le pratiche educative che interessano l’arte.

Nel testo trova spazio anche il dialogo tra arti visive e letteratura, esplorato con la prosa scientifica di Franco Buffoni e quella poetica di Antonella Anedda.

info: postmediabooks.it

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