Giulio Bensasson, intervista con il vincitore del Talent Prize 2023

L’agire del tempo sulla materia e il tentativo vano di cristallizzare ogni processo della natura: dal magazine l'intervista con Bensasson

WINNER WORK – Come funghi, 2022, detail, courtesy Galleria Divario, Rome, photo Studio Daido

Dalle prime tecniche di imbalsamazione fino ai più complessi processi di tassidermia, l’uomo nei secoli ha cercato di preservare il corpo dalla decomposizione: come forma rituale per garantire una dignità alla morte, come metodo per restituire bellezza anche di fronte all’inevitabile disfacimento di un organismo. Così pure l’artista, mosso in parte dall’interesse scientifico e in parte dalla sensibilità estetica, ha sempre provato con i propri mezzi a congelare quell’istante sospeso tra la vita e la morte. «Facciamo di tutto – spiega Giulio Bensasson che con la sua ricerca opera proprio in questo campo d’azione – come esseri umani, come società e come individui per azzerare la nostra fine, sia sulla nostra pelle che nelle nostre abitazioni. Siamo ossessionati dalla pulizia, dalla gioventù, dal mantenere le cose come sono invece di accettare la nostra fine. E questo è assurdo detto da un artista che, come tale, tende all’eternità». Per i suoi lavori, Bensasson trae ispirazione proprio dai processi naturali di deperimento della materia, in alcuni casi enfatizzandoli, in altri ostacolando il loro verificarsi per sottrarli alla loro alterazione. «La mia idea è quella di riuscire a rendere pulito un processo che pulito non è. Ecco perché mi capita spesso di sentirmi dire che imbelletto la morte».


Slow Motion, 2017, photo Carlo Romano


Come in Slow motion, in cui metti sotto resina delle pere per evitare che marciscano. Un’immagine così immobile che non sembra lontana dalle nature morte.

In questa serie di sculture stabilizzo un processo, faccio in modo che le pere siano intoccabili, sia da noi sia dall’atmosfera, e quindi non decomponibili. C’è un gioco ironico dietro tutto questo, una metafora di come siamo noi. Ma ci sono opere in cui faccio invece l’esatto contrario.

D’altronde è difficile tenere in vita una natura già morta.

In Rallégrati ci ho provato, ho presentato per Palazzo Ducale a Tagliacozzo dei gigli in un freezer. Questi fiori sono simbolo della vita, della castità, della vita pura e in quel caso richiamavano gli affreschi dell’annunciazione della cappelletta. Congelandoli volevo trasmettere il tentativo vano di mantenere vivi quegli ideali ma a fine mostra i fiori erano secchi e rattrappiti.


Rallégrati, 2022

Quindi è un tentativo votato al fallimento.

Sono sceso a compromessi con la deperibilità del materiale e, in generale, scendere a compromessi è sempre fastidioso, quindi ho deciso di estremizzare questo concetto. Per esempio THE FUTURE IS BRIGHT, Qui sorgeva e Unique sono opere sin dall’inizio pensate per diventare rovina. I fiori messi lì appassiscono con il passare del tempo.

Negli anni Sessanta, Giovanni Anselmo in una delle più celebri sculture poveriste prevedeva un cambio della lattuga prima che marcisse.

Al contrario, io, quando utilizzo un materiale deperibile voglio che sia visibile l’intero processo dall’inizio alla fine. Mi piace pensare che il mio pubblico ideale sia quello che va a vedere la mostra tutti i giorni e ogni giorno si rende conto del passare del tempo sulla materia.


Unique, 2021, photo SpazioSERRA

In questo modo avere un controllo sulla materia è difficile.

Nelle fotografie del progetto Non so dove non so quando il risultato è del tutto casuale, è la muffa che decide e la gelatina con cui è stampata la pellicola. Un po’ per il discorso del presentare la morte in una maniera accettabile, un po’ anche per autoterapia, da artista devo mantenere un certo controllo tecnico sui materiali ma in alcuni casi intervengono ad alterare la stabilità agenti esterni, imprevisti o momenti di errore. L’idea è quella di seguire l’errore, perché è un elemento euristico che ci aiuta a scoprire qualcosa di nuovo, che sia un limite o il superamento del limite stesso. Mi dedico all’errore con costanza, a volte addirittura cerco di ottenerlo, spingendo il materiale a un punto di rottura per vedere fin dove posso arrivare. 

È così che sei arrivato a usare il lattice in Come funghi?
L’idea è venuta poi un po’ per caso un po’ per feticismo. Quando voglio provare un nuovo materiale cerco di fare la cosa più difficile e qui la sfida era fare un calco fedele di un elemento così complesso come il fungo che ha lamelle, escrescenze. Ho usato una gomma siliconica con cui si fanno i sex toys per creare un’empatia, una relazione più stretta tra noi e l’opera. Il materiale dei sex toys è in questo caso usato non come elemento anatomico ma come escrescenza respingente. Volevo creare questo controsenso: c’è una fase di attrazione in cui viene voglia di toccare la scultura e una fase di repulsione, di disgusto. Se Non so dove non so quando è la forma pittorica della decomposizione, Come funghi è nata come la forma scultorea di questo processo: quando un albero si decompone, cominciano a spuntare i funghi lignicoli che si nutrono di tutto ciò che la pianta ha assorbito e ha prodotto nella sua vita e lo restituiscono in un’altra forma.

In occasione della tua vittoria al Talent Prize, hai detto che Come funghi è un augurio mosso dalla speranza di poter imparare dai funghi a generare bellezza dal marciume.

Ho iniziato a ragionare sui funghi come elemento da cui trarre ispirazione per il nostro comportamento sociale. Sono degli organismi affascinanti che attraverso la decomposizione di ciò che a loro intorno è marcio restituiscono vita all’habitat in cui si formano. È in fondo quello che fa una società, riconoscere un comportamento errato, mantenerne la memoria ma restituirlo in una maniera più sana. 


Crescere in mancanza, 2023
photo Ilaria Lagioia

Potremmo definirlo un lavoro politico, così come Crescere in mancanza, una colonna che hai realizzato per Imagina, la Biennale di Gubbio.

Non specificamente, per. in fondo credo che ogni lavoro sia politico. Crescere in mancanza nasce da una convinzione sbagliata sui calchi del periodo neoclassico. Si pensava che le sculture antiche fossero bianche e invece in origine non lo erano. Più progrediamo più ci rendiamo conto che non sappiamo niente. Ho realizzato una colonna bianca con dei calchi di frutti che ricordano i motivi delle grottesche rinascimentali, l’abbondanza delle cornucopie ma anche l’opulenza barocca, tutto mostrato in negativo, in mancanza per l’appunto. I frutti che ho rappresentato sono un dono della nostra società globalizzata che a breve non conosceremo più perché le risorse con cui vengono prodotti e trasportati si stanno esaurendo. La colonna però è anche un simbolo di stabilità, indica la grandezza di un impero, oltre ad essere un elemento architettonico strutturale. Le mie colonne sono l’opposto, non sorreggono nulla e anzi, il più delle volte sono destinate a sgretolarsi e a diventare rovine di se stesse.

Come funghi 
L’installazione è composta da un numero variabile di sculture, create attraverso la tecnica del calco, che si rifanno alle forme dei funghi lignicoli ma con la consistenza, il colore e il materiale stesso dei sex toys. Il fungo si nutre della materia organica decomponendola, trasformandola, e infine generando corpi fruttiferi dalle forme sorprendenti. Queste strutture sembrano essere rappresentazioni scultoree della decomposizione ma, invece di richiamare la morte e il deperimento da cui sono generati, restituiscono allo sguardo stupore e meraviglia, dando forma al potere rigenerativo della natura. 


photo Ilaria Lagioia

BIO

1990 – Nasce a Roma il 20 ottobre
2015 – Consegue il diploma specialistico di II livello in scultura e nuove tecnologie applicate allo spazio presso l’accademia di Belle arti di Roma
2021 – Presenta la sua prima personale LOSING CONTROL alla Fondazione Pastificio Cerere e nello stesso anno altre due personali una a Milano allo spazio Serra e una a Cluj alla Centrul de Interes

2022 – Vince il primo premio CONAI e partecipa a diverse mostre collettive 

2023 – Inizia la sua collaborazione con la galleria romana Divario con la personale Sediamoci qui in cui è esposta l’opera Come funghi, vincitrice del Talent Prize dello stesso anno

giuliobensasson.com