‘L’oro del Tebro’. Il nuovo libro tra saggistica e narrativa sui segreti del Ponte del Soldino

Il Ponte del Soldino è stato un simbolo delle vicende misteriose della Capitale. Il nuovo libro ne racconta la storia e gioca sui suoi enigmi

“Il Ponte del Soldino era sempre stato un luogo ‘precario’ […]. Così la sua natura effimera prese il sopravvento e lo trasformò nel non-luogo per eccellenza”. Così Stefano Lucchini spiega le premesse del libro edito da Palombi Editori, L’oro del Tebro: Alla ricerca del Ponte del Soldino, che ripercorre le vicende di questo spazio romano attraverso linguaggi diversi. Il volume si compone infatti di un saggio introduttivo di Stefano Lucchini e di Giovanna Pimpinella e di un romanzo di Andrea Carlo Cappi.

Il punto di partenza è un quadro di Annibale Angelini del 1869, che raffigura il Ponte del Soldino visto dalla sponda di via della Longara, con la chiesa di San Giovanni de’ Fiorentini sullo sfondo. La centralità del dipinto nell’elaborazione del testo sta nel rappresentare un’opera ingegneristica progettata per durare un secolo o più, ma che venne demolita ottant’anni dopo l’inizio della sua costruzione.

Da qui, il saggio di Lucchini e Pimpinella, che costituisce la prima parte del libro. Lo scritto racconta la storia del Ponte del Soldino, dalle sue origini fino al suo ruolo nella vita quotidiana di Roma, ma con un focus sulle tracce della sua memoria nella contemporaneità. La ricostruzione storica fornisce una solida base per la narrativa avventurosa che segue.

“Questo non-luogo aveva il suo custode, colui che richiedeva il ‘soldino’ per attraversarlo, diventando un po’ come il mitico Caronte, sempre più povero man mano che il denaro perdeva valore e altri ponti venivano costruiti nelle vicinanze. Ma il nostro Ponte aveva una vitalità intrinseca, come testimonia il vibrante ritratto dipinto da Annibale Angelini, un’ispirazione per questo studio. Nel quadro, il ponte sembra dialogare attivamente con il popolo di Roma che lo circonda. In una giornata di cielo terso, popolani, cittadini, barche e animali che si abbeverano alla scomparsa fonte Lancisiana sono tutti occupati intorno al tranquillo fiume e al ponte che consente di attraversarlo”, scrive Lucchini, fornendo una ricostruzione storica utile al passaggio alla narrativa di Cappi.

“Questa ricerca – continua – non solo rivela la bellezza di Roma, ma anche le emozioni che la animano e l’immaginazione che la caratterizza. Se prendiamo per mano questa immaginazione, sarà lei a guidarci senza esitazione nel dare nuova forma ai ricordi, alle testimonianze e alle vecchie immagini, riportando in vita non solo il Ponte che non c’è più, ma anche tutto ciò che lo circondava, rappresentando una Roma che non vogliamo mai dimenticare”.

Ad ispirare il testo, anche una cartolina risalente agli anni Trenta del XX secolo che ritrae il ponte, il fiume Tevere e la chiesa. Oltre alla sua rilevanza storica, questa cartolina, mai spedita né affrancata, presenta un ritaglio della riproduzione di un quadro di Sofia Chiostri incollato e frasi enigmatiche battute a macchina. Tra queste, un riferimento al Ponte del Soldino “che or non c’è più”, ma soprattutto ‘L’oro del Tebro’. Gli autori si chiedono così se si tratta di un’allusione alla sponda dorata del Tevere e ai reperti preziosi che erano emersi durante il dragaggio del fiume già nell’Ottocento, o se il riferimento riguardi un reale tesoro perduto.

Un elemento che innesca il romanzesco. Il testo narrativo di Cappi parte dall’enigma, tracciando un intreccio complesso di drammi, intrighi e segreti legati a un secolo di storia romana. La ricerca di questo tesoro perduto diventa il fulcro della trama, mentre i personaggi devono decifrare la misteriosa cartolina. La storia mescola realtà e finzione, ma anche eventi presumibilmente accaduti.

Un mescolamento di linguaggi, quello de L’oro del Tebro, che conduce i lettori nel cuore di un segreto sepolto nella Capitale e nella sua storia.

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