
Una rubrica (p)artecipattiva che racconta di arte, artisti e sostenibilità

Un’antica leggenda narra le vicende di un piccolo borgo medievale della provincia di Sassari chiamato Rebeccu, che si erge su un costone roccioso sovrastante la piana di Santa Lucia.
Questa la storia: la Principessa Donoria, figlia del Re Beccu, trascorreva le sue giornate tra i boschi, oltre la fonte nuragica di “Su Lumarzu”, e passava le notti sugli alberi. Nel borgo le voci su questo strano comportamento della Principessa si rincorrevano, e si diceva che frequentasse le Janas, una delle più famose figure mitologiche tradizionali della Sardegna; donne forti, libere e con poteri magici, che passavano le loro giornate a tessere con telai magici artefatti composti da preziosi fili d’oro.
I sudditi del villaggio, ritenendo una strega questa donna così libera da passare le sue notti da sola nel bosco, costrinsero il sovrano a cacciarla.
Costretta all’esilio dal padre, Donoria partì, ma tradita, lanciò (lasciò) dietro di sé la sua maledizione. Per tre volte pronunciò. «Rebeccu, Rebecchei, da’e trinta domos non movei» (Rebeccu, Rebecchesi, dalle trenta case non vi muovete).
Il borgo cadde così in disgrazia, quelli che poterono fuggirono, ma Rebeccu ancora oggi rimane un borgo disabitato e non conta più di trenta case.
Questo luogo incantato lo scorso agosto ha ospitato la seconda edizione del progetto “Ischeliu” (Richiamo), ideato e diretto da Valeria Orani all’interno del festival Musa Madre.
Un progetto che per una settimana ha richiamato dieci partecipanti emigrati o sardo-discendenti di tutto il mondo che desideravano scrivere il loro “diario delle radici”, un diario non convenzionale realizzato collettivamente sotto la guida della tutor Francesca Lixi, a sua volta assistita dal filmmaker cagliaritano Francesco Pupillo.
Parallelamente all’attività di scrittura e produzione del corto documentario del diario delle radici, si svolgerà un lavoro di produzione podcast, affidato a Maria Genovese ideatrice di RadioFrammenti e del format Audio-Ritratti.

L’artista di origini sarde Consuelo Mura ha preso parte alla residenza, proseguendo la sua ricerca dedicata all’osservazione delle condizioni sociali e alla relazione tra Uomo e Natura. In particolare, le opere di Consuelo realizzate a Rebeccu fanno parte del ciclo RESILIENTIA NATURAE: terra, acqua e luce costituiscono il corpo delle tele, elementi essenziali e interdipendenti nell’equilibrio e disequilibrio della vita stessa, nel suo continuo ciclo di perdita e rinascita.
Con una precisa casualità, gli elementi naturali si uniscono e si separano formando geografie immaginarie e immaginifiche. L’artista usa pittura, sabbia, oro e pietre; queste ultime riportano alla memoria il grande artista sardo Pinuccio Sciola, che faceva suonare le pietre e diceva “quando è nata la luce, la pietra già esisteva. (…) La mia attività non è nient’altro che la continuità della cultura della pietra che c’è stata in Sardegna”.

Altra parte integrante dell’opera è un telaio rudimentale fatto di chiodi applicati direttamente sulla struttura della tela dipinta. La trama, che l’artista tesse successivamente, è rappresentazione di quel gesto lento, ripetitivo e antico che le donne con sapienza e pazienza riuscivano a trasformare in un vero e proprio atto meditativo, raggiungendo un livello di maggior consapevolezza e di calma interiore.
Il telaio con la sua trama è sempre stato nella tradizione della Sardegna luogo di parole, racconti e intimità tra madri, figlie e nipoti, lì, si tramandava il sapere antico e si imparava a tessere la vita stessa.
Quelle parole sono le radici e il corpo stesso della tela. Consuelo si rifà alla tradizione del telaio e nello stesso tempo alla mitologia sarda che racconta delle donne tessitrici, peraltro già rappresentata nel 2022 con la sua opera su tela “Sa Filonzana” (Colei che fila), antica maschera sarda che con il suo fuso in un ciclo continuo fila e taglia la vita al pari delle parche greche.
“Mia nonna mi portava con sé negli ovili per la tosatura e la cardatura della lana delle pecore, poi con i fusi si tesseva il filo a mano”, ricorda Consuelo.

Sembra di leggere un “libro cucito” di Maria Lai, la grande artista sarda che nel 1978 Mirella Bentivoglio, artista, curatrice ed esponente della poesia concreta degli Anni 60, porta alla Biennale di Venezia nell’ambito della mostra “Materializzazione del Linguaggio”, vero e proprio documento dell’allora stadio di una indagine sul rapporto tra la donna e il linguaggio. Alla mostra partecipano infatti solo artiste, tra cui Maria Lai che “(…) dalla pittura è presto passata alla destrutturazione e ristrutturazione plastica di telai domestici e all’uso già implicitamente “linguistico” di altri segni femminili. (…). Maria traccia fili di scrittura su diari – telaio. Da questo tipo di “libri illeggibili” è approdata recentemente a una esplicita scrittura asemantica di fili su carta e su stoffa; la macchina per cucire sostituisce la penna e il colore del filo oggettualizza l’inchiostro”.
In queste parole della Bentivoglio è riflessa gran parte della ricerca artistica di Maria Lai, ispirata alla storia della sua Sardegna, del lavoro femminile e dell’arte millenaria della tessitura, tutti elementi ripresi dai dieci artisti durante la residenza di Rebeccu dove hanno rivissuto ricordi personali, per poi raccoglierli nel loro “diario delle radici”. Saranno così riusciti a sfatare la maledizione della Principessa Donoria «Rebeccu, Rebecchei, da’e trinta domos non movei»?
* Edoardo Marcenaro lavora da venticinque anni come giurista di impresa in società multinazionali e ha come hobby l’arte moderna, contemporanea e post-contemporanea. È collezionista e curatore di mostre, essendosi negli ultimi anni concentrato su opere realizzate su banconote americane rigorosamente originali, dai dollari che Andy Warhol firmava alla fine delle sue feste alla Factory, fino ad arrivare ai dollari distribuiti da Edoardo a tutti i suoi amici artisti per trasformarli in opere d’arte