LODI BASÉLL, prima edizione di un progetto che guarda in alto

Cronaca di un fine settimana di arte, performance, ironia: quello che dalla provincia non ti aspetti

In certi periodi dell’anno, in pianura, il sole sembra sorgere da un calderone fumoso. Di un arancio potentissimo, invade la foschia che si alza dai campi: bianco tutto attorno, giallo arancio rosa viola sopra. La luce radente sulle gocce di rugiada fa fluttuare il mondo. Ma quegli stessi luoghi, altre mattine, sembrano non avere un orizzonte: la terra, il cielo, lo spazio attorno sono un tutt’uno. Non ci sono confini, solo grigio e nebbia. Le strade sembrano partire dal nulla per poi rituffarcisi dentro. Possiamo collocare Lodi e il suo territorio in questo immaginario, dove la maggior parte degli artisti chiamati ad animare LODI BASÉLL, manifestazione di arte contemporanea che si è tenuta dal 29 settembre al 1° ottobre, sono cresciuti, si sono formati, per poi restituire alla città le loro visioni.

La manifestazione è stata promossa da Platea | Palazzo Galeano coinvolgendo varie realtà attive sul territorio – Platea, Associazione 21, Associazione Argine, gli artisti Alberonero e Tonino Negri, lo spazio La Cornice – e Gian Marco Casini Gallery di Livorno, per dare forma a un calendario di tre giornate che invitano il pubblico a scoprire Lodi attraverso un itinerario in più tappe. L’intento segue la mission dell’associazione, ovvero «sostenere le più giovani generazioni di artisti, mettere in condivisione conoscenze ed entusiasmi legati all’arte contemporanea, e dare seguito in una dimensione corale al “risveglio civico” di cui Platea si è fatta portavoce nei suoi primi tre anni di progetto».

Non un anniversario, ma una inaugurazione, la prima pietra di un sentiero che si spera possa portare lontano. Il nome stesso scelto per la manifestazione viaggia in quella direzione: baséll, in dialetto lodigiano, significa gradino, il luogo dove sostano i ragazzi per passare le serate, ma anche elemento architettonico caratteristico delle case del centro ed elemento che “porta in alto”, che innalza.

IL TOUR – IRONIA E SOGNO

Lodi è una cittadina alla “portata di bicicletta”, per gli urbanisti moderni potrebbe benissimo rappresentare il prototipo delle “città 15 minuti”; a piedi si raggiunge tutto con molta facilità: la piazza centrale, la stazione, l’ospedale, il fiume. Sorniona, come ogni cittadina di provincia vicina ai grandi centri, ma estranea al trambusto e al caos metropolitano, grazie alle parole appassionate dei protagonisti di LODI BASÉLL, Claudia Ferrari e Carlo Orsini in primis, si è mostrata ironica e acuta. 
Il primo segnale di questo spirito critico risiede, come accennato poco sopra, nel nome scelto per la manifestazione che, nel rifarsi alla tradizione linguistica del luogo, fa il verso alla fiera di Basilea.

E ancora, le opere del ceramista Tonino Negri, allestiste nel suo studio bottega nella mostra Ironici, ieratici, ceramici, usano la pratica dell’ironia come “materia che unifica questi oggetti, intesa nel suo etimo di dissimulare un pensiero attraverso un’espressione che ne capovolge apparentemente il senso”. È lo stesso artista a raccontare divertito di come, prima della Apple, sia stato lui a creare il primo cellulare assemblando la cornetta di un telefono al manico di un ombrello, oppure a concretizzare l’espressione “il tempo vola” ponendo al posto delle lancette di un orologio da parete delle pale da elicottero. Anche i santi non sono risparmiati: su due mensole si trovano “Reliquiarium. Patatina di San Carlo” e “Gesurassico”. Tra uno “scherzo” e l’altro, però, risiede la vera poesia del Maestro, nelle sue ceramiche dalla forma antropomorfa e arcaica, nelle luci fatti di quinte sceniche che si aprono per accogliere e abbracciare, nei sassi raccolti lungo l’Adda in un simbolo di memoria. 

«Proprio per questo spessore di riferimento e di intenzione, non possiamo considerare questi lavori semplici divertissement, ma effettivi condensatori di senso che spostano il nostro sguardo quotidiano disattento e sovraccarico, esigono la nostra attenzione, generando un tempo di riflessione: esattamente quello che la funzione dell’arte reclama».

La gioia di Tonino nell’accogliere i visitatori incuriositi è la stessa che ha spinto Carlo Orsini a prestare la sua casa-studio per allestire la mostra PEBBLE IN THE SKY, organizzata dalla Gian Marco Casini Gallery. Gli artisti coinvolti, Clarissa Baldassarri, Juan Pablo Macías, Margherita Moscardini, Stefano Serretta, Renato Spagnoli e Alessandro Manfrin, sono stati invitati dal gallerista a “un esercizio di condensazione” scegliendo un’opera o un oggetto, una frase, una qualunque cosa che sapesse rispondere a due domande: in quanto artista, cosa porteresti con te in un’isola deserta? Qual è l’opera, l’oggetto, la scritta, la traccia che vuoi che sopravviva insieme a te?

Il modo in cui gli artisti hanno reagito è stato vario e intimo. C’è chi ha riflettuto sulla frenesia contemporanea, chi ha attinto dalla sua storia personale e formativa, chi ancora ha trasformato una parola nel “dire”. Particolare è infatti l’intervento di Clarissa Baldassarri che tanto ricorda l’interpretazione delle culture di Geertz: l’artista, usando un programma di traduzione automatico, ha osservato il mutare di una parola attraverso le lingue proposte dal programma. Il risultato finale, in tutti e tre i suoi interventi si compone di una frase, perfetta sintesi della complessità di un termine e di ciò che lo rende tale per una precisa cultura in un preciso momento. 

IL MOVIMENTO

Precisamente di fronte alla casa di Orsini si colloca il nuovo spazio Platea Project, custode della proiezione del film “Ragazzi saltellano non qui non ora tra cadaveri di pioppi nel campo immaginario” della regista Antonietta Elia e di Luca Boffi, che nella serata di apertura è stata accompagnata dall’azione performativa corale dal titolo “Campo Mantra” (di Caro Campo ne parlammo qui) di Alberonero. 

Il film occupa la parete dello spazio che guarda alla porta di ingresso: il pavimento di legno scricchiola ad ogni movimento e sembra quasi fare da contrappunto agli alberi della proiezione. C’è tanto del ritmo lento dei campi in quel film, c’è il respiro della terra umida, dei passi sonnecchiati tra un quartiere e l’altro della cittadina.

Il disseminare le opere e le azioni performative in vari luoghi della città ha permesso di sentire, anche con il movimento, questo evento. Di renderlo quasi una processione, o un canto a più voci.

La saga performativa “Borda” andata in scena all’imbrunire di sabato 30 settembre nella Chiesa di Santa Chiara Nuova, prodotta dall’associazione Argine e curata da Roberto Alfano, Luca Boffi, Edoardo Caimi e Piergiorgio Caserini, si è aperta con una nenia che dalle voci di Sauzer si è allargata a tutti gli astanti nella navata, fino a traghettare tutti verso la sera e i racconti successivi. “La Borda è una figura delle pianure che appartiene alle storie della buonanotte, ai terrori dell’infanzia e alle avvisaglie degli adulti. Abita le nebbie, quelle tanto fitte da bagnare le barbe, e ha lineamenti femminili. Alle volte è una vecchia gobba, rugosa e bitorzoluta e altre una giovane attraente coperta da un velo opaco. Abitando il vuoto lattiginoso la Borda non si vede mai, e la s’incontra quando non c’è più nulla da incontrare, quando la nebbia ovatta lo spazio, l’udito e il corpo e qualcuno o qualcosa scompare, come inghiottito da banchi di bambagia”.  

Che l’Adda, la nebbia, le pietre e i silenzi di quei luoghi possano dare voce negli anni a venire a nuovi animatori di sogni. 

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