HyperParasite, l’architettura nomadica di Hypermaremma sulle Dune di Ansedonia

Lo Studio Parasite 2.0 racconta Rune, l’architettura effimera che abita le spiagge della Tagliata di Ansedonia nella V edizione di Hypermaremma

Pochi semplici – solo all’apparenza – gesti che hanno originato l’idea di abitare. Da Vitruvio a Filarete, da Marc-Antoine Laugier a Adolf Loos fino a Le Corbusier ci si è costantemente interrogati sull’importanza di definire l’unità minima abitativa in grado di soddisfare uno dei bisogni primari dell’uomo: rifugiarsi. La capanna è stata la risposta a questo interrogativo non solo come momento estetico, progettuale e realizzativo ma anche come messa in forma delle capacità evolutive dell’uomo. In una storia invasa da forme e dimensioni architettoniche sterminate la capanna non ha ceduto un centimetro alla modernità tornando a modello della più rapida possibilità di mettersi al riparo, fosse anche dal Sole. Per questo motivo, attraversando il lungomare maremmano si incontrano spesso architetture d’occasione costruite con i tronchi di legno recuperati nei paraggi; tante se ne incontrano che è diventata negli anni una vera e propria tradizione.

Hypermaremma, associazione per l’arte contemporanea sul territorio fondata e promossa dai galleristi Carlo Pratis, Giorgio Galotti e del collezionista e manager Matteo d’Aloja, ha scelto lo studio Parasite 2.0 (Milano, Londra) per rendere omaggio a questa tradizione e integrarla con l’esperienza reale del costruire, una pratica che la spiaggia ci stimola sin dall’infanzia. Nasce così Rune, un’architettura effimera, installazione site-specific, workshop, esperienza contemporanea in dialogo con la tradizione e, in fondo, una capanna.

Dal 2010, Parasite 2.0 (Stefano Colombo, Eugenio Cosentino e Luca Marullo NdR.) si muove nelle pieghe della ricerca architettonica per sfondare la barriera disciplinare fra architettura, design e scenografia. Per paradosso la capanna attraversa tutti e tre questi ambiti nella maniera più semplice possibile, come affronta Rune la sfida di questa semplicità?
Rune è semplicità nel senso che è un lavoro spontaneo e istintivo. Questa semplicità non va letta in maniera negativa, anzi. Spesso oggi la produzione artistico-culturale è poco comprensibile; per questo motivo Rune nasce di getto, da semplici gesti: non c’è un disegno, non un progetto, ma un rapido atto collettivo. Il primo momento del lavoro è passeggiare per la spiaggia: l’occhio si muove alla ricerca dei giusti materiali, dei tronchi dalle forme più disparate. La selezione avviene senza un progetto in testa ma ancora una volta per istinto poiché tronchi dalle infinite forme posso essere utilizzati in infiniti modi; se noi li scegliamo è perché qualcosa ci ha attirato. Noi non ne conosciamo la funzionalità ma la loro forma, il colore, la texture al tatto, il modo con cui sole, sabbia e mare li hanno modellati. In questo senso Rune è “semplice”, lo è come ci appaiono, da adulti, le riflessioni di un bambino.

La vostra esperienza muove da una riconsiderazione dell’architettura nomadica, dalla possibilità di costruire qualcosa che sia temporaneo, eppure considerabile al pari di un’architettura stanziale, tornando al valore del rapporto fra umano e naturale: dai materiali di recupero, alla condivisione del costruire fino all’inserimento in una gamma di valori estetici e simbolici appartenenti a una tradizione preesistente. Qual è l’aspetto più importante per proseguire questa strada? Come attiva, Rune, questa sinergia fra abitante e spazio abitato?
Risponderemmo con una domanda: Perché crediamo che il temporaneo, o nomadico che sia, non possa essere considerato al pari di un’architettura stanziale? Le piramidi hanno, forse, più valore di un’architettura temporanea perché sono ancora lì in piedi? Noi crediamo che la staticità dell’architettura stanziale, che ambisce a perdurare all’infinito, sia un chiaro simbolo della voglia umana di dominare il nostro pianeta e le creature viventi che lo abitano. Come dici, queste considerazioni intorno all’architettura ci aiutano a riflettere sul rapporto uomo-natura; è importante che tutto questo avvenga attraverso la condivisione del costruire e una considerazione collettiva sui valori estetici e simbolici. Rune prova ad essere parte di questo processo in vari modi: in primis durante il workshop attraverso la condivisione del processo e l’interazione di tutte le figure coinvolte; una volta ultimata, l’architettura-workshop si apre al visitatore, provocando domande, riflessioni e curiosità attraverso l’uso di simboli, estetiche e materialità insolite, che sembrano provenire da mondi a noi sconosciuti. 

Come si inserisce Rune nella vostra storia recente?
Possiamo dire che ne è, senza dubbio, parte integrante. È l’ennesima perla in una collana che continuiamo a costruire. I processi estemporanei, la costruzione collettiva, una sorta di neo-primitivismo, la visualizzazione di possibili realtà immaginarie attraverso architetture e oggetti. Sono tutti temi cari alla nostra ricerca e Rune li abbraccia in pieno.

Il vostro lavoro ha preso parte a importantissime occasioni nazionali e internazionali: Biennale di Architettura di Shenzhen (Cina, 2016), La Biennale di Architettura (Venezia, 2012, 2014 e 2023), Triennale di Milano, Copenaghen International Fashion Fair, Museo d’Arte Moderna di Bologna (MAMBO), OGR Officine Grandi Riparazioni (Torino). Come è stato inserirsi nella programmazione di Hypermaremma, un festival che mette la lente dell’arte e non solo sull’interazione con l’uomo e con il territorio?
Da non grandi conoscitori di questi territori, è stato molto interessante immergersi nella realtà locale. Questo processo di inserimento passa attraverso una serie di piccole cose tutte parimenti importanti: da mangiare una mozzarella enorme in un locale-caseificio, ad andare al ferramenta locale, fino chiedere al vicino stabilimento balneare un carrello con cui trasportare enormi tronchi, oppure bere una birra al tramonto in spiaggia. Hypermaremma, e la Maremma in generale, ci accolti benissimo: non ha messo alcun tipo di “paletto” al progetto, consentendoci letteralmente di fare ciò che volessimo con l’atteggiamento un filo punk e sprezzante che spesso caratterizza il nostro modo di lavorare durante workshop e lavori di gruppo.

Abbiamo parlato dell’importanza dell’effimero, di perdere la fissità, come vedete Rune da qui a un anno?
Beh, è tutto da vedere. Rune siede sulla spiaggia mentre, come sappiamo, il mare attraversa le sue fasi. Immaginiamo che sarà sottoposta a venti, mareggiate, salsedine; sarà tutto da vedere. Probabilmente il mare la ingoierà nuovamente e chissà dove la risputerà. È bello pensare un lavoro la cui fine è incerta e gli scenari sono aperti. Non è in fondo il destino dell’architettura stessa, sottoposta all’azione del tempo che passa?

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