Volevo vedermi negli occhi. Gli scatti di Lina Pallotta al Centro Pecci

Il Centro Pecci presenta una selezione di foto del progetto Porpora, scattate a Porpora Marcasciano, attivista trans, dalla fotografa romana

Non è facile vedere una mostra fotografica allestita in modo originale e poco noioso: cornici nere, passe-partout bianchi e foto delle stesse dimensioni e allineate in fila. La maggior parte dei fotografi ti spiegano che così il pubblico si concentra meglio sugli scatti, su come sono stati costruiti, pensati e rielaborati, sulla stampa raffinata realizzata sull’ultima risma di carta che aveva solo il tipografo del paesino di Vattelapesca nel Nord della Francia che loro hanno trovato perché erano in viaggio per un reportage di un progetto naturalistico nelle valli dove ancora si possono osservare le stelle. 
Tutto bello. Nessuno nega il fascino della pulizia e l’odore meraviglioso della carta, ma quello che ho visto al Centro Pecci fa parte di un’altra storia. Volevo vedermi negli occhi di Lina Pallotta, non guarda le stelle brillanti ma la terra fremente che ha percorso. Quindi questa storia doveva essere raccontata in modo diverso, ecco perché l’allestimento è stato fondamentale per riferire momenti assoluti e incredibilmente grandi accomunati a piccole scoperte che vanno ricercate. 

È la storia di Porpora Marcasciano, le sue parole le conosciamo dai suoi libri che ci hanno spiegato come il pensiero più banale doveva evolversi nelle questioni più grandi: il lavoro, la famiglia, il carcere, come le persone trans siano qui e non solo nelle feste che Susan Sontang avrebbe definito camp. Questo progetto fotografico, esposto al Centro Pecci di Prato fino al 15 ottobre 2023, è una storia, una parte di questa, quella più intima sfocata e imperfetta. In mostra non sono esposte foto impeccabili, costruite, ci sono scatti di prossimità che indicano una reale intimità con quegli occhi; alcuni erano già affianco alle parole dell’attivista nata nella provincia di Benevento, li introducevano. 
L’aurora delle trans cattive, storie sguardi e vissuti della mia generazione transgender di Alegre (Roma) ha in copertina uno scatto presente in quest’ultima esposizione di Lina Pallotta che è una dichiarazione di intenti: una t-shirt con la scritta Piss Off e lo sguardo rivolto verso il basso di chi non sta pensando ad apparire, ma sta facendo della sua vita la sua attività politica, solo chi è più vicino a lei la può rivelare eliminando il resto della cornice, sottolineando la fatica e quanto sia bello dimenticarsene. 

Per vedere questa mostra bisogna muoversi, si deve abbassare lo sguardo, le stampe sono grandi, ma sono anche a terra. Le gambe si muovono in molteplici dribbling perché lo spazio, tutto lo spazio della sala del primo piano del Pecci, è occupato e le impalcature metalliche calamitano la carta mentre si sorreggono l’un l’altra, come due amiche. Ci si avvicina per gli scatti minimi, perché non tutto è palese e dichiarato, alcune cose richiedono uno sforzo maggiore, che si può fare mentre ci si muove dimenticando la linearità. L’idea espositiva dei due curatori Michele Bertolino ed Elena Magini è il tono di voce giusto per questa storia che parte dagli anni Novanta, un percorso in fieri tra due amiche: la fotografa e la scrittrice. Due descrizioni del fare che non identificano l’essenza ma spezzano un periodo e tolgono fuori tanto altro. Nate entrambe nella provincia beneventana si sono trovate per scegliere di poter essere altrove scrivendo un’identità molteplice e poliedrica composta non di una sola definizione e non di un solo aggettivo. 

Michele Bertolino ha trasformato questa mostra in un libro per Nero edizioni, un progetto che ha vinto il bando Italian Council 10 in cui c’è tutta l’eleganza della casa editrice romana, non nuova alle collaborazioni editoriali con il Centro Pecci (alcuni titoli da ricordare sono Cambio curata dal duo Formafantasma, Hagoromo per la mostra monografica di Massimo Bartolini, e l’imponente Poems I Will Never Release: Chiara Fumai 2007–2017), con una selezione di immagini che in altre mostre raccontavano altre storie: la quarta di copertina è la nuca della consigliera del comune di Bologna premiata da Amnesty International come attivista per i diritti ed è sulla copertina del libro di Alegre, Tra le rose e le viole, la storia e le storie di transessuali e travestiti del 2020. Quella foto aveva già spiegato altro interagendo con altri momenti nella mostra risalente al 2014 per Divergenti, il Festival Internazionale di Cinema Trans di Bologna, ospite di Spazio Labò, Porpora e Valerie, e che non raccontava solo Porpora ma anche una sua storia d’amore lunga trentacinque anni.

Quella tra Lina e Porpora è uno sguardo che si basa su un’esposizione continua e nasce da prima che Lina partisse per New York e diventasse insegnante per la scuola romana di Fotografia e per Officine Fotografiche di Roma, prima che Porpora fosse inserita dall’Onu nell’elenco delle sette persone trans più influenti al mondo e diventasse presidente della commissione Parità e Pari Opportunità del comune di Bologna. Prima della prima mostra museale della fotografa, nata nel ’55, ci sono stati altri due progetti espositivi dedicati alla loro interazione in cui si sono scelti altri momenti che sono stati spiegati in modo diverso perché le storie di queste due donne sono troppo piene di dettagli da poter essere sviluppate in un solo titolo e questa mostra disegna bene gli appunti sparsi di un cammino comune. 

Lina Pallotta, Volevo vedermi negli occhi 
fino al 15 ottobre 2023 
Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci 
viale della Repubblica, 277 – Prato