Le Ultramoderne di Straperetana, 18 artiste per la rassegna abruzzese

Come ogni anno nel borgo abruzzese di Pereto si svolge fino al 10 settembre Straperetana. Ultramoderne è il titolo dell'edizione 2023

Straperetana occupa Pereto, un borgo abruzzese in provincia dell’Aquila con più di seicento abitanti. Un borgo tutto in salita in cui Google Maps ti consiglia percorsi impervi e faticosi forse solo per costringerti a cercare le opere d’arte diffuse sul territorio dal 2017.

Tutto quello che è stato Straperetana nel corso degli anni ha lasciato il segno sulle stradine impervie e faticose che si percorrono per arrivare nelle due sedi ufficiali della manifestazione aperta al pubblico fino al 10 settembre 2023. Palazzo Maccafani e Palazzo Iannucci sono luoghi privati che ogni estate diventano pubblici e con accesso gratuito per centinaia di visitatori che superano di gran lunga il numero dei residenti.

Come inquadrare il pubblico di questo progetto espositivo diffuso che quest’anno guarda a sé con l’oltre, presentandosi quindi con qualità e quantità superiori a quella che è la norma?

Le Ultramoderne, introdotte nella locandina da Ipàzia, immaginata da Veronica Leffe, sono donne che difficilmente possono parlare agli abitanti di Pereto, comunicano con un pubblico specializzato che conosce i musei e le gallerie di tutto il mondo che Paola Capata ha invitato a collaborare per realizzare un’esposizione che coinvolge 18 artiste. Infatti per visitare gli spazi si ha bisogno di una guida che apra i due luoghi centrali della mostra, le chiavi le ha l’ideatrice di Straperetana, anche gallerista di Monitor, con sede a Roma e Lisbona. L’approccio curatoriale è colto e raffinato, ideale per un pubblico che segue i suoi discorsi nel tour che lei stessa fa fare per il minuscolo pesino marsicano alla scoperta di quello che è rimasto in loco nelle passate edizioni della manifestazione. La gente del posto la conosce, la saluta, c’è gentilezza anche nei confronti dei visitatori che si perdono per le strade e che cercano indicazioni su un’App nemica che si rifiuta di mappare logicamente quelle pietre marsicane.

Installation view, Palazzo Maccafani

Il paese medievale sembra contento di accogliere chi viene a vedere opere delicatissime come quella di Maria Lai, una pagina-oggetto senza titolo del 1978 che fa parte della collezione romana Gianni Gallera, ospite di palazzo Maccafani, per poi bloccarsi davanti all’imperiosità materica di Lulù Nuti che, con l’opera inedita Egli danza, si presenta al di là dei confini della galleria che la rappresenta, Renata Fabbri di Milano, e trasforma la freccia nello stesso drago ucciso da San Giorgio, a cui è dedicata una chiesa del paese che risale al XII sec. Un’opera potente e imponente che occupa l’intero magazzino di palazzo Iannucci, in paese conosciuto come la casa del prete. Il punto è che i fili dell’artista sarda come il ferro forgiato da quella romana nata nel 1988 devono essere spiegati, anche il pubblico che va apposta a vedere la mostra non è libero di visitarla e di capire e inquadrare, è supportato anche nell’interpretazione, se mai questa fosse necessaria realmente per un’opera d’arte contemporanea.

Egli danza, prima posizione, 2023, photo Giorgio Benni

Se l’allestimento è pulito e minimale, come tutta la selezione delle opere che non sono accompagnate da didascalie ma da una mappa concettuale, è perché questa mostra è per chi può riconoscere le citazioni critiche di Lea Vergine per l’opera Mater di Tomaso Binga, artista che ha fatto del suo corpo lo strumento della sua poesia. L’artista nata a Salerno nel 1931 con il nome di Bianca Pucciarelli Menna, è una tra le più politiche in Italia negli anni Settanta, la sua potenza comunicativa è stata anche riconosciuta nella Biennale del 1978. Oggi il suo lavoro è maggiormente diffuso perché è stata una delle prime artiste in Italia a parlare di corpo e di linguaggio, tematiche quanto mai contemporanee nelle discussioni non solo semantiche ma sociologiche. Binga ha strutturato il suo corpo come segno stesso di una scrittura a cui ha tolto il significato. Mater, innanzi a tutto il resto, prima di procedere verso l’oltre e l’ultra, è la scrittura che vive, è il corpo dell’artista che si costituisce come insieme di regole oggettivizzate dalla fotografia di Verita Monselles.

Francesca Chiola, Dopo tanto è stato scritto, 2023, installation view at Straperetana 2023, photo Anton Giulio Onofri

Tutto questo dire è tolto dal contesto della galleria Tiziana di Caro e raccontato nel punto più alto del borgo: palazzo Maccafani. La decontestualizzazione è poetica ma non esplicativa, è suggestiva ma non è narrativa. Senza un rimando, un contesto, un simbolo il visitatore si trova di fronte a quattordici elementi che non hanno alcun richiamo logistico nel suo pensiero. Avendo come solo supporto le parole di chi accompagna nel percorso, si perde la suggestione perché si corre inseguendo un iter mentale che è ripetuto ma non vissuto dallo spettatore che cammina tra opere che significano molto nel contesto sociale da cui sono venute e poco in quello che le sta accogliendo o esattamente il contrario come per Se non il vento di Satya Forte che in loco ha raccolto la polvere accumulata per più di quarant’anni per trasformarla in un momento diverso visto e inquadrato solo da lei, uno spazio temporale chiuso in un’ampolla che non segna più il tempo ma lo ferma in un suo preciso momento: la fine di un attraversamento artistico che per lei è la conclusione di una residenza nel paese. Ma che quei depositi siano il contrassegno statico di un’età che è ormai ferma nella valle del Turano lo percepisce chi su quella polvere ci cammina tutti i giorni?

Straperetana V edizione

Ultramoderne con Sonia Andresano, Ruth Beraha, Tomaso Binga, Beatrice Celli, Anouk Chambaz, Francesca Chiola, Maria Adele del Vecchio, Sara Dias, Rä di Martino, Satya Forte, Maria Lai, Veronica Leffe, Giulia Mangoni, Eva Marisaldi, Elisa Montessori, Lulù Nuti, Cloti Ricciardi e Maddalena Tesser.


palazzo Maccafani, palazzo Iannucci e strade del borgo, Pereto (AQ)
8 luglio – 10 settembre 2023