Fuori concorso al Torino Film Festival, esce il 25 maggio in tutte le sale Dalìland, il biopic che racconta gli ultimi anni della vita del leggendario pittore spagnolo Salvador Dalì, accompagnati dal suo giovane assistente, James, che nel 1973 aiutò l’ormai settantenne pittore spagnolo ad allestire la mostra in una galleria di New York. Con la regia di Mary Harron (American Psyco, I Shot Andy Warhol), il film non solo racconta gli ultimi anni della vita di Dalì, ma anche il suo tempestoso legame con Gala, moglie e musa, mescolando realtà e immaginazione, arte e vita, la purezza dell’ispirazione e la corruzione dell’universo che ruotava intorno a un artista fragile ed egocentrico. Nei panni del protagonista un istrionico Ben Kingsley insieme a Barbara Sukowa (Gala), Christopher Briney (James) ed Ezra Miller (Dalì da giovane).
A 40 anni da Gandhi, per il quale vinse l’Oscar, l’attore inglese si cala nuovamente nei panni di un’icona che, anche fisicamente, tutto il mondo conosce. Sulla preparazione per interpretare questo ruolo, ha dichiarato: «Mi sono ispirato ai suoi scritti, alle interviste che ha rilasciato e al suo straordinario lavoro. Con la sua arte si è preso dei rischi enormi, e io dovevo fare la stessa cosa, non potendo certo permettermi una semplice e cauta performance. Lui osava, oltrepassava i limiti, spostava i confini. È stata un’esperienza esilarante e spossante al tempo stesso».
Dopo aver scavato nell’oscurità della mente umana con il cult American Psycho, Harron torna dietro la macchina da presa con questo biopic che si pone la sfida di raccontare un artista vita che ha vissuto nell’impegno costante di scardinare tutte le convenzioni della borghesia. La regista delinea così il ritratto di una delle figure più iconiche del XX secolo, la cui esistenza è stata caratterizzata fino alla fine da un irresistibile mix di genio e miseria umana.
New York 1974, James lavora presso la galleria d’arte che ospiterà la prossima esibizione di Salvador Dalí. Quando l’artista in persona gli propone di diventare suo assistente, il ragazzo pensa di coronare il sogno della sua vita, ma presto scopre che non è tutto oro quel che luccica. Dietro allo stile di vita sregolato e ai party sontuosi, un grande vuoto consuma l’ormai anziano pittore, divorato dalla paura di invecchiare e dal dolore per il rapporto logoro con la dispotica moglie Gala, un tempo sua musa e ora circondata da giovani amanti e ossessionata dal denaro. Nel film, infatti, Dalì fa costantemente i conti con il senso di mortalità, convinto di essere la reincarnazione del fratello morto, il suo fantasma. Il film esamina come un genio dice addio alla vita, introdurre lo spettro della mortalità nella vita di Dalì, creare il ritratto di un uomo ossessionato dalla propria fine, è stata una scelta molto interessante da parte dello sceneggiatore, John C. Walsh, e della regista Mary Harron.
Fondamentali, poi, i baffi. «Ne abbiamo provati molti prima di trovare quelli che lo rappresentassero nel modo giusto – racconta l’attore – qualcuno potrà pensare che un paio di baffi non sia così importante, invece sono il segno della sua eccentricità, la sua firma».