Da cosa proviene il naturale stato di salute di un individuo? Da questo interrogativo parte l’esposizione collettiva The Kingdom of the ill, presentata da Museion e disponibile per il pubblico da sabato 1 ottobre. La mostra rappresenta il naturale proseguimento della prima tappa del ciclo TECHNO HUMANITIES, un progetto di ricerca multidisciplinare articolato in mostre, pubblicazioni e programmi di mediazione, ideato dal direttore dello spazio Bart van der Heide.
L’interazione tra l’essere umano e le nuove tecnologie fa da fondale in questa inedita ricerca che si esprime attraverso ventaglio di sguardi differenti: le esperienze personali degli artisti convocati per l’occasione danno corpo ad un’esposizione pronta ad attivare riflessioni riguardo i vari sistemi di welfare e incentivi commerciali che possono essere determinanti dall’ambito sanitario. La mostra presenta inoltre differenti modalità di contestazione delle definizioni consuete di buona salute. In quest’epoca di pandemia, di ansia sociale in continuo aumento e incremento dei costi sanitari, di intensificazione del controllo sulle informazioni mediche e di una sempre più diffusa precarietà nel settore creativo, possiamo ancora dire di essere veramente sani?
Lo stravolgimento di ogni settore del mondo contemporaneo a seguito della recente epidemia ha alzato il livello di attenzione su temi ancora troppo poco dibattuti: risulta evidente ormai come salute mentale e fisica siano due parametri profondamente intersecati in una dimensione sociale sempre più schiacciata da ansie prodotte dalla necessità di performare ad altissimi livelli, diventando macchine produttive poco interessate della propria interiorità. È sotto gli occhi di ogni o di noi il forte disequilibrio economico che si manifesta nelle modalità in cui il singolo individuo ha la possibilità di provvedere alle proprie cure. Da questi presupposti quindi si muove un ragionamento che si espande verso la salute degli ecosistemi in cui trascorriamo le nostre esistenze: un’ambiente insalubre è fonte di malessere, l’inquinamento rende irrespirabile l’aria che respiriamo e l’acqua che beviamo, determinando un continuativo degradamento delle condizioni di vita della collettività.
L’esposizione si apre con l’installazione dei Brother Sick, i fratelli newyorkesi Ezra e Noah Benus, che mettono sotto gli occhi degli spettatori le disuguaglianze emerse nel momento dell’esigenza della somministrazione del Vaccino contro il virus Covid 19. Elementi provenienti da strutture ospedaliere, frammenti di scritture ebraiche e storie di persecuzione si mescolano in un grido di disperazione e d’aiuto, mostrando che nell’assistenza sanitaria si incrociano classe, razza e genere e spesso sono profondamente penalizzati coloro che provengono da ambienti a basso reddito.
Alzando lo sguardo ci si scontra con la serie di arazzi realizzati dall’artista americana Erin M. Riley che da forma alla sua ossessione per le dipendenze da medicinali mescolando immagini reperite sul web e fotografie personali. Questa segue l’installazione di Ingrid Hora che consiste in una collezione di un considerevole numero di impronte di argilla rossa. Queste impronte sono il ritratto simbolico dell’impegno collettivo che caratterizza il mondo del volontariato, dei professionisti e delle professioniste (medici, personale infermieristico, ricercatori e ricercatrici, personale amministrativo) che costituiscono il mondo della cura, della ricerca e della prevenzione nel territorio.
L’esposizione continua con Lynn Hershman Leeson che apre il primo squarcio sulla dicotomia salute-ambiente: il lavoro presentato da Museion viene stato sviluppato in collaborazione con il Wyss Institute for Biologically Inspired Engineering dell’Università Harvard per indagare il problema dell’inquinamento idrico. Basato sulle immagini della serie Water Women, iniziata dall’artista nel 1975 per studiare i concetti di evaporazione e trascendenza, l’installazione fa uso di due tecnologie nuove: l’AquaPulse, un filtro per l’acqua che uccide i batteri e degrada la plastica con l’elettricità, e il sistema Evolution, che utilizza batteri intelligenti per dissolvere e digerire la plastica. La luminosità dei pannelli riflette i livelli di degradazione della plastica e di eliminazione degli agenti patogeni.
La ricchezza di The Kingdom of the ill sta nella diversità di linguaggi che sono stati messi in dialogo ed ecco infatti che non manca l’occasione di osservare come sullo stesso tema si inizino ad attivare anche artisti operativi con gli strumenti multimediali. Enrico Boccioletti presenta un’installazione stratificata sui temi della stanchezza cronica e della depressione. A sottendere l’installazione c’è la sensazione di burnout, un’esperienza che molti e molte hanno affrontato durante la pandemia, momento di immensa precarietà acuito dalle divisioni radicate nell’implacabile logica capitalistica della produttività.
La distopia è ormai uno dei temi più saldamente legati al nostro immaginario recente. Su di essa riflette Shu Lea Cheang: la sua installazione racconta la storia della GENOM Co., futuristica azienda del porno su Internet che invia codificatori IKU (“orgasmo” in giapponese) a New Tokyo per raccogliere dati sugli orgasmi attraverso i rapporti sessuali, poi trasformati in chip IKU da vendere per essere utilizzati come plug-in nei cellulari. Nell’UKI post net-crash, i codificatori IKU privi di dati vengono scaricati, ormai rifiuti elettronici, a E-trashville, dove si svolge UKI Virus Rising, la rivolta dei virus. È qui che i codificatori IKU riemergono sotto forma di virus Kl, per infiltrarsi e sabotare un pericoloso complotto biologico ideato dalla GENOM Co. Al virus UKl si uniscono umanoidi defunti, trans-mutanti, corpi tecno-dati e una città infetta.
Dopo il primo italiano in mostra arriva anche il bresciano Mattia Martoriati: protagonista del suo lavoro è la città di Brescia che l’artista documenta dal 2019. La città lombarda è considerata oggi una tra le più inquinate della Penisola. Il titolo della serie – The Land of Holes – fa riferimento all’A2A: un’azienda di produzione energetica che riempie di rifiuti le cave createsi con l’estrazione di sabbia e ghiaia, e poi le maschera con delle colline erbose. Oltre all’A2A, la locale Caffaro Industrie, azienda di produzione chimica, è responsabile dell’aumento della contaminazione da diossina e PCB (policlorobifenili), che causano problemi di salute tra cui disturbi ormonali, alterazioni riproduttive e dello sviluppo, danni al sistema immunitario e una serie di tumori.
Joana Hedva, presenta un video in cui p protagonista la sua anziana nonna di 93 anni affetta da Alzheimer. Il video in tre canali vede la donna leggere voce alta i testi di ricette mediche a lei prescritte dal 1998 al 2009. L’intersecazione delle tracce audio provoca un impossibilità di comprensione che si trasforma però in controllo mentale sull’anziana, ormai schiava dei medicinali.
I temi di classe genere e appartenenza sono ancora una volta presenti nell’installazione dell’italiana Adelita Husni-Bey. La serie di disegni che compongono il suo lavoro vengono realizzati tracciando su fogli di carte le sagome di alcuni individui. Accanto ai disegni vengono dall’artista appuntanti riferimenti a conversazioni avute con ognuno dei partecipanti all’azione performativa che ha preceduto l’esposizione, in cui si rilevano i profili psicologici profondamente segnati dal contesto socio-economico in cui questi trascorrono la loro vita. L’estrazione sociale e la zona geografica di provenienza mettono in rilievo le differenze tra i sistemi di welfare europei e americani.
Torna la riflessione sull’ambiente con il lavoro presentato da P.Staff, artista americano che interviene nello spazio di Museion con una rete di fili metallici sospesi dai quali fuoriescono gocce di acido. Questa cadono in barili di alluminio che vengono progressivamente corrosi, riferendosi idealmente agli effetti delle piogge acide provocate dall’inquinamento. Il lavoro fa riferimento alla psicosi collettiva che negli anni ’90 vede il nascere di ansie e incertezze nell’uscire all’aperto per paura di essere feriti dagli effetti corrosivi della pioggia.
La preziosità della mostra aumenta sempre di più: prende parte al coro di interventi anche Nan Goldin, di recente celebrata a Venezia con il documentario vincitrice dl Leone d’oro del Festival del Cinema. Nan Goldin è una delle fotografe più significative del secolo appena concluso e il suo lavoro ha permesso di comprendere l’esperienza autentica delle sottoculture LGBTQ, la crisi dell’HIV/AIDS e la diffusione epidemica degli oppioidi. L’installazione riflette su un periodo recente della vita di Goldin, caratterizzato dalla sua dipendenza dagli oppioidi. Si tratta di un’opera estremamente personale che assembla istantanee intime e private ma anche immagini d’archivio recentemente scoperte, che insieme ci interrogano su come la memoria sia vissuta, si alteri e vada perduta con l’esperienza della tossicodipendenza.
Alla riflessione di Goldin si lega anche l’installazione del collettivo P.A.I.N. che mette in scena proteste improvvisate per contra- stare l’epidemia di overdose in corso, perpetrata dall’industria farmaceutica globale. Il primo bersaglio di P.A.I.N. è stato la filantropia tossica della famiglia miliardaria Sackler, la cui azienda Purdue Pharma ha commercializzato in modo aggressivo l’OxyContin, oppioide che crea forte dipendenza, a milioni di pazienti affetti da disturbi secondari.
L’artista britannico lan Law interviene con un’installazione costituita dalle imbottiture degli schienali di sedie che in genere arredano le sale d’attesa: uno spazio spesso carico di sentimenti di paura, consapevolezza o sollievo. I cuscini recano impresse immagini spettrali: silhouette di fiori, forse regalati ai pazienti da qualche visitatore. A queste fanno coro Le opere di Julia Frank: queste indagano e dissezionano gli eventi social che si svolgono in luoghi pubblici o privati. Il dittico in mostra realizzato in seguito a una recente operazione e al successivo periodo di convalescenza, è dipinto a partire da autoritratti scattati da lei stessa mentre era in ospedale. Le opere sono di dimensioni modeste, per incoraggiare un rapporto fisico con la carta su cui sono dipinte. Le angolazioni estreme dei ritratti alludono alla destabilizzazione o alla sensazione di perdere il terreno sotto i piedi che spesso caratterizza la malattia. Carolyn Lazard affronta la politica e la socialità implicite nelle reti di assistenza costituite da e per disabili e le loro comunità.Utilizzando materiali già pronti, in questo caso depuratori d’aria, Lazard richiama la nostra attenzione sugli oggetti che arredano gli spazi di cura e recupero.
La tensione accumulata in tutto il percorso si tenta di sciogliere nell’ultima fese del percorso: l’ultimo piano di Museion, ampio e vuoto presenta le ultime installazioni in un’atmosfera fredda, asettica ma scaldata dalle luci delle pareti vetrate dell’edificio. Ma non tutto è come sembra.
L’opera collaborativa di Heather Dewey-Hagborg e Phillip Andrew Lewis, che immagina un futuro di lutto e dolore bio-tecnologizzati. In precedenti allestimenti dell’opera, il DNA di famigliari deceduti veniva inserito in piante psicoattive che potevano essere consumate in un ultimo, intimo viaggio. L’installazione in mostra offre una suggestione speculativa di questo processo, raccontata dal video che l’accompagna. La sua installazione ha la forma di una serra aperta quasi piramidale, in cui sono collocate delle piante dalle proprietà psicoattivo ottenibili legalmente.
Lauryn Youden presenta due altari fissati alla parete che ospitano oltre 180 elementi individuali, come erbe, medicine, portapillole, oggetti sacri, candele, fiori secchi Tutti gli elementi degli altari si combinano per creare un ritratto di Youden, che sottolinea la natura comunitaria della cura e incoraggia la condivisione delle risorse.
La riflessione sulle malattie croniche torna con l’installazione dell’artista disabile Sharona Franklyn che consiste in una serie di oggetti come fiori, pesci, prodotti alimentari e farmaci su ricetta medica racchiusi in gelatina: una selezione che allude alla vita e alle cure di Franklin, ma che strizza l’occhio anche ai sistemi di classificazione e studio botanico e biologico.
Si procede verso la fine dell’esposizione con le ultime tre installazioni: l’opera di Mary Maggic prende la forma di un ambulatorio e di un video su uno studio eseguito su una popolazione queer-femminista, basato sull’identità di genere di che partecipa contrapposta all’assegnazione del genere avvenuta alla nascita. Lo studio si fonda sul principio della distanza tra ano e genitali (o AGD) che gli scienziati utilizzano come parametro per valutare la tossicità riproduttiva. Mentre il nostro mondo, governato dal capitalismo patriarcale, diventa sempre più inquinato, l’AGD diminuisce costantemente, diventando così un parametro scientifico inaffidabile per accertare l’identità di genere.
Servendosi del suono e del movimento guidato, l’artista italiana Barbara Gamper fa emergere tramite le esplorazioni somatiche le esperienze non verbali e le nostre relazioni con altri esseri umani, specie animali e altre ecologie. L’artista propone una forma di cura alternativa: le istruzioni audio di Gamper ci guidano attraverso una serie di esercizi di respirazione, sfioramenti leggeri e piccoli movimenti che mirano ad alleviare i nostri stress e traumi, e di liberarcene.
The kingdom of ill si esaurisce con Juliana Cerqueira Leite e Zoë Claire Miller che ragionano ancora sul concetto di cura alternativa: la loro installazione ci parla dei modi in cui le donne hanno utilizzato le erbe medicinali per regolare i cicli ormonali, alleviare i dolori mestruali, la sindrome premestruale e i sintomi della menopausa, e la scelta delle piante incluse nell’installazione riflette queste tradizioni antiche.
Info: www.museion.it
The kingdom of the ill, a cura di Sara Cluggish e Pavel S. Pyś
1 ottobre 2022 — 5 marzo 2023
Artisti in mostra: Enrico Boccioletti, Brothers Sick (Ezra e Noah Benus), Shu Lea Cheang, Heather Dewey-Hagborg & Phillip Andrew Lewis, Julia Frank, Sharona Franklin, Barbara Gamper, Nan Goldin e Prescription Addiction Intervention Now (P.A.I.N.), Johanna Hedva, Ingrid Hora, Adelita Husni- Bey, Ian Law, Carolyn Lazard, Lynn Hershman Leeson, Juliana Cerqueira Leite & Zoë Claire Miller, Mary Maggic, Mattia Marzorati, Erin M. Riley, P. Staff e Lauryn Youden
Museion
Piazza Piero Siena 1, Bolzano, Italia