Addio a Claes Oldenburg, che con le sue sculture giganti ha criticato la società dei consumi

A 93 anni è morto l'artista di origine svedese. Un genio che con la sua impronta pop inconfondibile ha modificato il panorama dell'arte contemporanea

Scomparso il 18 luglio a New York a 93 anni Claes Oldenburg, artista di origine svedese noto a tutti per le sue sculture giganti che raffigurano oggetti di uso comune. La notizia, come scrive il New York Times, è stata confermata da una delle gallerie d’Arte con cui Oldenburg ha collaborato maggiormente, la Pace di New York. 

Figlio di un diplomatico e di una pittrice svedese nasce a Stoccolma il 28 gennaio 1929, con la sua famiglia è sempre in viaggio e a sei mesi è già negli Stati Uniti. Studia storia dell’arte alla Yale University e completa poi la sua formazione all’Art Institute of Chicago all’inizio degli anni Cinquanta. Nel 1956 approda a New York dove entra in contatto con la scena contemporanea delle performance. Qui avviene l’incontro con Allan Kaprow, padre degli happening, per lui un confronto fondamentale, perché è grazie a Kaprow che Oldenburg capisce che l’arte del secondo Novecento deve necessariamente avere un coinvolgimento attivo del pubblico, deve essere un’esperienza da attraversare. La prima mostra importante è del 1959, alla Judson Gallery, dove viene invitato dall’amico Tom Wesselmann ed espone figure umane e mostruose e oggetti d’uso quotidiano. La prima delle sue sculture presentata in uno spazio pubblico è Lipstick (Ascending) on Caterpillar Tracks, un rossetto montato su una specie di cingolato. L’opera viene esposta nel 1969 al campus di Yale durante una protesta studentesca contro la guerra in Vietnam. 

Le sue enormi sculture pop dall’apparenza soffice hanno da sempre simboleggiato i più comuni prodotti di consumo: gelati, hot-dog, patatine. La ricerca artistica di Oldenburg è infatti stata improntata sulla critica del consumismo della società americana focalizzata soprattutto sull’alimentazione.

Una critica culminata nel 1961 con la decisione di aprire un negozio, all’interno dello studio in cui lavorava sul Lower East Side di Manhattan, battezzato The Store in cui l’artista esponeva le sue opere come vera e propria merce da acquistare. Esposti sugli scaffali come merci uova fritte, hamburger, fette di torta ma anche vestiti, giacche da uomo e lingerie femminile, oggetti accatastati o appesi alle pareti e al soffitto. L’artista realizzava queste sculture in gesso dipinto e su scale diverse, traendo ispirazione da oggetti che vedeva intorno a sé, soprattutto nelle vetrine dei negozi dei suoi vicini. L’iniziativa venne presentata alla galleria Martha Jackson di New York ma si svolse poi interamente nello studio/negozio di Oldenburg. Il paradosso fu che gli oggetti vennero quasi tutti venduti, anche a un prezzo molto alto e l’artista riuscì così a eludere la tradizionale vendita all’interno di uno spazio deputato, come una galleria. Per pubblicizzare questa azione, Oldenburg creò biglietti da visita ad hoc, volantini e una serie di manifesti, realizzati sulla base di alcuni poster visti nel quartiere portoricano di New York e conservati oggi nella collezione Claes Oldenburg e Coosje van Bruggen di New York. Un’operazione di marketing in piena regola che può anche essere considerata uno dei primi esempi di auto-promozione artistica. Dopo questo progetto, l’artista continuò a realizzare queste sculture fino al 1963: «Per tutti gli oggetti commerciali visti nei negozi – spiegava l’artista – ho sviluppato un profondo affetto, tanto che deciso di imitarli».

Nel 2000 ha realizzato a Milano quella che è diventata una scultura simbolo per l’Italia, L’ago e il filo di Cadorna. La ideò con la moglie olandese Coosje van Bruggen, su chiamata di Gae Aulenti. Divisa in due parti ricongiunte idealmente nel sottosuolo, la scultura è un richiamo alla metropolitana meneghina anche nei colori: il filo, infatti, ha gli stessi colori identificativi delle tre linee milanesi presenti al tempo (ovvero pre linee M4 blu e M5 lilla). L’opera è anche un omaggio alla laboriosità milanese, con un occhio particolare verso il mondo della moda, che vede in Milano uno dei principali centri mondiali.