L’immaginario classico e la forza della materia nell’indagine artistica di Caterina Morigi

Lavorare sulle soglie, ricercare le tracce del tempo incastrate nella materia, i vuoti che lasciano, i segni che restano

DA INSIDE ART #122
Lavorare sulle soglie, ricercare le tracce del tempo incastrate nella materia, i vuoti che lasciano, i segni che restano

L’elitropia è una forma di calcedonio, solitamente di colore verde scuro con macchie rosso-arancio, ras- somiglianti a gocce di sangue, o gialle, che danno al minerale l’antico nome di plasma. Plinio il Vecchio ne descrisse i molteplici modi di riflettere la luce, mentre leggende del passato attribuivano a questa pietra il potere di rendere invisibile chi l’aveva indosso. In un qualche modo la ricerca dell’artista Caterina Morigi si intreccia all’eliotropio in molti punti: la curiosità per le tracce, visibili o invisibili; i mutamenti della materia; la sovrapposizione di organico e inorganico.

Il suo lavoro, Elitropia (Melusine) del 2020, racchiude queste e altre riflessioni e costringe a uno zoom continuo della visione dell’opera dal macro al micro, quasi a non voler osservare più la forma, ma la materia stessa. E se in 1/1 del 2018 il modo in cui l’artista aveva tratta- to la superficie serviva per stessa ammissione dell’artista a «raccontare come, anche nel piccolo dettaglio, qualcosa che abbiamo sempre sotto gli occhi si può leggere molto di più di quanto immaginiamo inizialmente», nel caso di Elitropia è la ricerca delle varie reazioni chimiche dei disinfettanti utilizzati nei loro passaggi di stato a catturare l’attenzione.

Per farlo è andata sempre più vicino alla materia, esattamente come in Sectilia del 2019, nel quale le varie sezioni scultoree sono state realizzate dall’artista seguendo una tecnica settecentesca, «un impastare – spiega – in modo attento, quasi da chimico, creando una connessione attiva con la materia: più muovi l’impasto, più il gesso fa presa e il pigmento di- venta colorato». Per compiere tali capovolgimenti Morigi si affianca a diverse professionalità. Per Elitropia fondamentale è stato il contributo di alcuni ricercatori nell’ambito dell’ingegneria dell’architettura e della biomedica. «Ciò che mi ha attratto del loro lavoro – confessa l’artista – è che hanno operato un ribaltamento del classico paradigma tra uomo e natura. L’uomo ha sempre utilizzato la natura come forma da imitare, ma anche come materiale con cui realizzare le opere che tutt’oggi abbiamo. Loro hanno fatto l’opposto: per curare e conservare un elemento naturale, come il marmo, hanno osservato le ossa umane che, in determinate condi- zioni, si conservavano meglio rispetto agli involucri lapidei che le contengono».


Sectilia (Braccio di menade),installation view Mucho Mas!, Torino, 2019, photo Silvia Mangosio

La stessa relazione uomo natura si può leggere, in Morigi, nella scelta di utilizzare il marmo: «Il marmo rappresenta la natura, ma è composto da carbonato di calcio, come le ossa e gli esoscheletri di piccoli esseri marini che si stanno studiando in campo biomedico». Gli arabeschi del pensiero progettuale dell’artista sono frutto di una profonda dedizione allo studio e alla ricerca. L’interesse è volto principalmente all’archeologia della produzione intesa anche, come spiega lei stessa: «agli errori fortunati che hanno fatto progredire la tecnica; è una passione immensa e personale di andare a fondo su ogni piccolo dettaglio di ogni singola tecnica. Non ricerco una tecnica da utilizzare in modo lineare, ma, come in paesaggi carsici, preferisco andare avanti e indietro nel tempo».

E proprio come in un flusso carsico, si trovano nel suo percorso assonanze visive e tematiche: potremmo collegare la ricerca del 2020 ai primi lavori del 2010 come i Quaderni o l’epidermide di Trama con Sectilia e osservare come il tempo tratti la materia e il suo significato sempre in modo diverso e inaspettato. «Se a volte sono io – confessa Morigi – che ritorno sui temi, senza pensarci troppo, è anche bello quando i temi emergono dai limiti spaziali, culturali, biologici. E anche se sembrano op- posti o lontani visivamente tra loro, poi alla fine diventano riconoscibili, come qualcosa di famigliare».

La vocazione alla materialità deriva dalla tradizione antichissima della città di nascita dell’artista, Ravenna, ma un ruolo fondamentale nella formazione del suo sguardo e del suo pensiero è ricoperto anche da Venezia, dove Morigi ha studiato. «Questa sorta di sfida con la natura – racconta – è percepibile dal primo passo che si fa entrando in laguna, e viverci in maniera prolungata fa assorbire un certo tipo di luce. Forse sono stata influenzata anche dai miei studi di fotografia con Guido Guidi: lo sguardo, le cose che osserviamo, i luoghi che viviamo condizionano la nostra percezione e costituiscono una sorta di struttura trasparente che si ritroverà in ogni immagine successiva, come una traccia. E così la città di Venezia, con tutte le sue texture: l’acqua, i muri scrostati, il marmo, è andata a formare il mio sguardo».

Le tracce, però, non sono sempre visibili, ma possono essere anche delle assenze, dei vuoti. Difficile raccontarle a parole, ma facili da intuire nei lavori dell’artista: «Nella mia ultima ricerca – conclude – i disinfettanti che sto usando spesso creano come delle piccole esplosioni sulla carta, delle piccole nuove forme di vita; ma delle volte tolgono tutto. Ed ecco il vuoto. Nella bidimensionalità è facile vedere questo processo, ma sono curiosa di vedere nelle sculture come si realizzerà il vuoto».


1/1, Installation view, MAMbo, Bologna, 2018

Info: https://caterinamorigi.com/