Intervista a Gianluca Brando

DA INSIDEART #123

Ricontestualizzare le forme per comprenderne l’origine

Origine e destino di una forma sono centrali nella ricerca artistica di Gianluca Brando e ritornano costantemente in tutta la sua pratica. Nella maggior parte dei casi si tratta di una forma in trasformazione. In Postum (tutte in ogni senso), una forma che potrebbe rimandare a una colonna dorica è seminascosta al centro di involucro opaco. È alzando lo sguardo che questa forma si rivela chiaramente allo spettatore: una serie di specchietti retrovisori installati sul soffitto riflette l’interno dello spazio. «Mi piace – racconta – definire questo lavoro una macchina del tempo. La ricerca che lo spettatore deve compiere è sul contenuto interno che rimane sempre celato nel cuore della colonna-spirale semitrasparente. Ma – continua Brando – se il suo sguardo si rivolge verso l’alto, allora avviene qualcosa di misterioso perché i suoi occhi, pur guardano avanti, in realtà stanno guardando indietro. La forma originale, le origini, a ogni modo rimangono frammentarie e imprendibili, nonostante qualsiasi tentativo di ricostruzione».

Brando
FINALIST WORK – Qo, 2019-2020

Qui e là, presentato quest’anno allo Spazio Taverna di Roma, indaga un ambiente in metamorfosi. I saloni rinascimentali di SpazioTaverna ospitano ogni due lunedì una serie di serate uniche, concepite come esperienze temporanee attraverso narrazioni in grado di trasformare lo spazio in opera. Il progetto, concepito insieme a Victoria Carli (Interprete), ha forma rituale.

«Si tratta – spiega Brando – di un’esperienza concessa a due persone alla volta in uno spazio carico di attese. Una serie di coppie ripetono gli stessi gesti in un frammento di tempo limitato e indipendente. Due singole entità e due spazi complementari si fanno uno». Nel primo ambiente, la visione offuscata da un manto di nebbia espansa, genera una situazione introspettiva, che riduce la visione dello spettatore al suo stato negativo. Lo spazio è così trasformato fino a divenire ignoto. Le strade dei due partecipanti prendono direzioni differenti varcando la soglia del secondo ambiente, diviso in due da una rete metallica: «percorrendo lo spazio – continua l’artista – chi da un lato, chi dall’altro della cortina metallica, si è attratti da riflessi mutevoli. È soltanto allineandosi nelle due postazioni in luce, che è possibile assistere alla scomposizione e moltiplicazione dei riflessi dell’altro. Lo schermo della visione si apre come una finestra prospettica che sfonda la griglia percettiva di uno sguardo abituato alla sua sola dimensionalità e univocità. Vengono generate immagini variabili e al contempo somiglianti dell’altro».

In Viaggio (ritorno) il cestello di una lavatrice rinvenuto su una spiaggia di Maratea, dopo una forte mareggiata, viene dorato con un bagno galvanico e disposto su un trespolo da scultore. Nel girargli intorno, lo spettatore compie una traiettoria che disegna una spirale invisibile: «un movimento effimero – spiega – che si rinnova ogni volta nello spazio. Fuoriuscita dal suo originario centro, questa forma defunzionalizzata viene ricollocata nuovamente al centro tentando di ristabilire un diverso equilibrio nel contrasto continuo tra forze centrifughe e centripete che non trovano ancora punti di svolta e nuove orbite gravitazionali».

Brando
Soffio (passaruota), 2021

Il relitto industriale è di nuovo protagonista in Soffio (passaruota). Nella maggior parte dei casi si tratta di incontri fortuiti con oggetti marginali. Come il relitto industriale, anche il ghirigoro senza paternità. «Non è un lavoro da collezionista il mio – racconta Brando – non scelgo qualcosa per il suo valore estetico, tanto meno per una ricercatezza di gusto esotico». Infatti si tratta di oggetti collegati esclusivamente alle esperienze di vita quotidiana, frutto di società sempre più somiglianti tra loro. Gli oggetti e gli strumenti utilizzati da Brando sedimentano a lungo prima di essere ricontestualizzati, dotati di una nuova identità. «È come un ritorno – dice l’artista – a qualcosa che però non può essere mai come tornare indietro perché nel frattempo è avvenuto dell’altro, magari il naufragio non previsto come avviene in Viaggio (ritorno), oppure l’uscita da un percorso preordinato come avviene in Soffio (passaruota), dove frammenti di carrozzeria interna di un’automobi- le (quindi l’emblema della serialità) fungono da matrici per forme uniche».

La scultura è il mezzo attraverso cui Brando compie la sua indagine. «Identità, omologazione e marginalità – conclude – sono “fatti” del mondo contemporaneo che inevitabilmente entrano nella mia pratica; contatto vuol dire vicinanza, aderenza».

Info: http://www.gianlucabrando.com/

Brando
Postum (tutte in ogni senso), 2020