In studio con Stefano Canto, la sintesi tra arte e architettura

Roma

L’eterno confronto tra uomo e natura, il loro dialogo, il loro spettro di interesse e l’influenza che hanno l’una sull’altro sono le grandi questioni che da sempre fanno parte di quel ventaglio di interrogativi che affliggono la figura umana durante la sua permanenza nel mondo.

La forza e la resilienza dell’universo naturale si scontrano con la volontà umana, quella stessa volontà che ha reso l’uomo l’unico essere vivente in grado di dimostrare la capacita di maneggiare la materia, manipolandola a seconda del fine da raggiungere. Questo contrasto però può anche trasformarsi in una complessa convivenza che progressivamente porta al rimescolamento dei ruoli delle due fazioni. Stefano Canto opera in questa zona di incontro, un territorio capace di rendere la brutalità dell’artificio degna di essere messa al pari del mondo naturale. 

Una formazione ibrida

Stefano Canto nasce a Roma e si dedica alla sua formazione di architetto. Un percorso di studi che porta a termine nel 2003, avviando dal 2005 la sua attività creativa con le prime mostre personali e collettive. Il suo percorso di maturazione si focalizza sull’obiettivo della ricerca da cui mai si distanzia: il dialogo tra uomo e natura. 

I suoi modelli di riferimento sono progettisti e architetti. Come Canto stesso afferma, «la mia attività creativa altro non è che una diversa prospettiva da cui poter osservare e maneggiare la materia architettonica». Tra i grandi maestri da cui trae ispirazione e che pone come modello dei suoi lavori, si individua, primo fra tutti, Ludwig Van Der Rohe, esponente di spicco dell’architettura della Germania degli anni ’30 ma attivissimo anche in America durante gli anni del regime nazionalsocialista Hitleriano. La straordinaria esperienza di questo progettista, simbolo della modernità architettonica europea tramanda molte delle sue peculiarità a Stefano Canto, in particolare quella relativa all’apprezzamento dei materiali più poveri ed essenziali.

Stefano Canto, photo Luisa Galdo. © Roma Città aperta

La selezione della materia 

Lo studio dei materiali è per Stefano Canto una delle fasi fondamentali del suo operato che lo conduce nel tempo alla scelta del cemento. Questo materiale, utilizzato e manipolato ossessivamente nelle sue opere come testimonianza dell’attività antropizzante compiuta dall’uomo sulla terra, è il protagonista di una ricerca che si dirige verso un unico obbiettivo, raggiungibile attraverso differenti metodi espressivi, pur mantenendo la coerenza verso lo stesso linguaggio.

Lavorare con il cemento è una scelta ponderata che testimonia la volontà dell’artista verso la ricerca di un dialogo con un mondo naturale che non rimane inalterato e che il tempo modella a suo piacimento. Quest’ultimo è un fattore determinante nell’azione creativa dell’artista. L’agente atmosferico che scava la materia e determina la mutazione della forma, durante lo scorrere dei mesi e degli anni, è parte integrante dello stesso processo creativo. In tal modo Canto coinvolgere la natura nella creazione, facendosi allo stesso tempo suo accompagnatore e guida.

Nella sua ultima mostra personale alla galleria romana Materia, in via dei Latini 27, la ricerca dell’architetto/artista propone al visitatore una serie di opere che incarnano il concetto di Carie, che dà il titolo all’esposizione. In questa occasione tra alcuni dei tronchi che si imbattono in maniera totalmente casuale nel quotidiano di Canto, vengono selezionati i più adatti alla manipolazione, e lavorati tramite l’aggiunta di masse ortogonali di cemento. Il materiale industriale per eccellenza è in questo caso investito di un ruolo centrale, ovvero quello di restituire all’elemento naturale nuova forma, nuova linfa, nuova «vita». Le parti dei tronchi d’albero scelti sono corrosi dagli agenti patogeni che attaccano le viscere della pianta e ne divorano l’anima dall’interno. Il calco in cemento restituisce quello che la natura ha tolto a se stessa, tramite il lavoro dell’uomo che si presenta come il sostituto nell’assenza. L’impronta di cemento è anche capace di rappresentare il veleno stesso che toglie il respiro alla pianta, come l’urbanizzazione ha esasperato la natura che tenacemente ha provato a opporsi alla brama di imposizione dell’uomo, come padrone assoluto del tutto.

Stefano Canto
Galleria Materia, Carie 2021, Photo Roberto Apa. © Materia

Gli ultimi progetti

Lo sviluppo edilizio e il suo dialogo con il territorio circostante ricorre nelle opere di Stefano Canto come un suono di sottofondo. La convivenza dell’uomo con la natura è ciò che viene analizzato con una sensibilità capace di rivelarsi scandaglio del mondo. La traccia che l’umanità lascia dopo il proprio passaggio mutano attraverso lo scorrere delle epoche ma rimane inalterato il sentimento di contrasto, che tra le pareti del suo studio, ma anche all’esterno, Stefano Canto cerca ostinatamente di sintetizzare.

Nei mesi più recenti Stefano Canto a prende parte all’ultima edizione del progetto curato da Giuliana Benassi, There is not Place like home/Rome, imponente collettiva che ha visto decine di artisti romani di origine, o attivi sul territorio capitolino, prendere possesso per 72 ore consecutive di un ex palestra di pugilato in via del Mandrione 347. In questa occasione Stefano Canto realizza un’installazione in progress che nell’arco delle tre giornate di esposizione muta, lasciando la sua traccia nel terreno. Costituita da ghiaccio, polvere e cemento, l’opera necessita di tre fasi di realizzazione: quella iniziale in cui gli elementi vengono posizionati, la fase intermedia in cui avviene l’interazione tra le diverse parti e quindi lo scioglimento del ghiaccio e il consolidamento del cemento; infine l’ultima in cui si puliscono gli eccessi di materia. Un’archeologia dell’effimero, come lo stesso Canto ama definirla, in cui il segno non è veicolo di perenne trasmissione della memoria ma anzi fragile e temporaneo cenno, destinato inesorabilmente a sparire.

Info: http://www.stefanocanto.com/

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