Rwanda, i giorni dell’oblio

Un graphic novel che porta il lettore indietro nel tempo, precisamente ai cento giorni di orrore – tra il 6 aprile e il 16 luglio 1994 – in cui quasi un intero popolo venne sterminato (ricorrendo, in particolare, a con machete, asce, lance e bastoni chiodati) in un piccolo stato dell’Africa.

Pubblicato da Round Robin editrice, scritto da Martina Di Pirro e disegnato da Francesca Ferrara, il graphic novel Rwanda, i giorni dell’oblio (105 pagine, 16 euro) – colorazione di Stefano Orsetti – racconta di un genocidio le cui responsabilità pesano, come un macigno, sul mondo occidentale, incapace di mettere un punto alle violenze e, subito dopo, di fare luce sull’intera vicenda. Di recente, lo stesso presidente della Francia, Emmanuel Macron, in visita in Ruanda, ha rilevato che il proprio paese «non è stato complice, ma ha fatto prevalere il silenzio sull’esame della verità». Fu una vera e propria mattanza: il genocidio dei tutsi e degli hutu moderati per mano dell’esercito regolare e delle milizie paramilitari, provocò 1.074.017 morti. Numeri ancora più freddi: 10.000 morti al giorno, 400 ogni ora, 7 al minuto. Le donne vittime di violenza sessuale furono circa 250.000, e le sopravvissute per il 70% dei casi contrassero l’Aids. Ben 2.000.000 di ruandesi cercarono riparo nei paesi confinanti. Con prefazione di Daniele Scaglione, formatore e consulente, il volume a fumetti narra tutto questo. Ma come nasce quest’opera? Risponde Di Pirro: «L’idea risale a seguito del mio viaggio in Ruanda, nel 2018. Ero rimasta colpita dalla capacità di un paese con una lacerazione così grande a tal punto di ricordare e di esercitare la memoria in ogni momento della vita quotidiana». Spiega ancora: «Il genocidio del 1994 è stato definito un “genocidio dimenticato”: per il resto del mondo, certo, ma non per i ruandesi. Ed un evento del genere non può cadere nel dimenticatoio neanche per l’occidente, che è stato spettatore immobile di quei giorni di violenza e responsabile di non aver fatto nulla per evitare quei massacri». Un graphic novel («è un mezzo potente il fumetto, che sfugge alle sue sedi e non appartiene alle sue cerchie di appassionati», concordano le autrici) la cui gestazione è durata oltre due anni, «con un’attenzione quasi maniacale all’uso delle parole», precisa Di Pirro, giornalista freelance con focus in comunicazione nell’ambito delle relazioni internazionali. E proprio sui tempi di lavoro, Ferrara – sceneggiatrice e disegnatrice, i temi delle sue storie tendono soprattutto al sociale, con una marcata preferenza per i racconti di emarginazione – interviene: «C’è stata una fase iniziale di attento studio della storia del genocidio, finalizzato a commettere meno errori possibili nella trasposizione degli eventi, utile a selezionare le cose da raccontare e a stabilire da che punto di vista raccontarlo. In questi casi si dice che abbiamo “lavorato di sottrazione” nella scrittura per cucire addosso a pochi personaggi tante storie e responsabilità». Ripercorrere il genocidio ruandese attraverso un racconto a fumetti. Quali sono state le difficoltà che, in particolare, avete incontrato? Prosegue Ferrara (che da oltre dieci anni collabora con riviste a fumetti indipendenti e autoprodotte): «In merito al disegno, il fronte più complesso è stato risalire ad alcuni dettagli per le ambientazioni; il compito però mi è stato facilitato dai racconti di Martina che, oltre ad offrirmi foto e racconti descrittivi dei luoghi, mi ha trasmesso una narrazione emozionale, permettendomi di acquisire consapevolezza di posti in cui non sono stata». Di certo è stato coinvolgente lavorare con determinati racconti e immagini impressi nella mente. E sul piano emotivo, Di Pirro – ha scritto per il Manifesto, l’Espresso, Linkiesta e Left – circoscrive: «Durante questo lavoro spesso mi sono sentita come se non fossi titolata a parlare di un evento tanto complesso, poiché certi dolori sono talmente difficili da raccontare e da rendere che probabilmente il silenzio è molto più rispettoso». Per fortuna, però, la decisione è stata di proseguire. «Con Francesca abbiamo fatto la scelta consapevole di essere umili, ascoltare le storie, studiare e coinvolgere altri colleghi che già avevano parlato e scritto sul tema. Oggi ci stanno contattando anche per fare altri progetti sul Ruanda e stiamo cercando di tradurre il libro in altre lingue», conclude.

Info: www.roundrobineditrice.it

Articoli correlati