Un cammino tanto affascinante quanto inquietante, con l’autore – nel doppio ruolo di sceneggiatore e illustratore – che prima quasi ci avvolge di una pece nerissima e putrida, e dopo, attraverso le allucinazioni narrative di cui è portavoce, ci offre un minimo barlume di speranza. Un percorso visivo, questo, che può essere intrapreso solo con la mente sgombera da costruzioni e sovrastrutture; un racconto dove viene inneggiata la natura infantile della fantasia, ma non ci sono né il candore né la purezza dello stupore fanciullesco. Qui l’infanzia è dura, e la quotidianità minaccia non soltanto la realtà ma anche i sogni (incubi?).
Nuova pubblicazione sorta dalla collaborazione tra il collettivo progetto Stigma ed Eris edizioni, Il viaggio (brossurato, bianco e nero, 176 pagine, 23 euro) è un graphic novel thriller nel quale Marco Corona – che ha alle spalle un’intesa carriera artistica per i maggiori editori nazionali e non – rende ben vivida, per quanto oscura, tutta la sua poetica. È un flusso narrativo che scorre al pari di un fiume dalle acque torbide quello di Il viaggio, che (privo di indizi) prende il là da un’antica dimora abbandonata, un tempo festosa, frequentata da tossici oppure bimbi in cerca di avventure. Proprio lì il figlio del conte Levis sparì molti anni addietro senza lasciare tracce, e oggi lo spettro del suo fratellino flirta amichevole con i pargoli del posto, rivelando loro un universo di meraviglie e terrore.
In molti film horror è proprio “la casa” al centro del racconto (nessuna chiesa al centro del villaggio, qui); in questo caso, invece, la villa – che Pupi Avanti non disprezzerebbe, tutt’altro – ha il fascino di un luogo ancestrale e in rovina, magari frutto di un’immaginazione da cui è meglio tenersi lontani, che potrebbe accogliere gli spiriti erranti oppure ospitare una delle porte infernali. Ma come nasce tutto ciò? «Dai ricordi di noi bambini, che andavamo a giocare nel parco inselvatichito e nei saloni e nelle stanze vuote dell’antica villa del Settecento che un tempo era abitata dall’artista Giuseppe Augusto Levis, che l’aveva ereditata e dove, per diletto oppure vera passione, dipingeva e scolpiva, del tutto isolato dal mondo, in quella campagna coltivata a granturco».

Ma Il viaggio è soprattutto «il ricordo di un filmino amatoriale girato quarant’anni fa in super 8 da una ragazza di vent’anni, Luciana Ghigliano». Scritto e disegnato in piena pandemia – «ma non riuscirei nemmeno se lo volessi a darti dei tempi di lavoro, perché non sono stati regolari, ho usato tutti gli avanzi del giorno e della notte. Un anno» – questo graphic novel thriller nasce grazie al disegno in digitale. «In questo modo è stato come scrollarsi di dosso l’aspetto materiale e fisico che comporta il disegno manuale.
Il “digitale” mi ha fatto sentire più sicuro nel disegnare quello che volevo nel modo in cui lo immaginavo, senza pensieri ma attentissimo alla resa finale», spiega Corona, che ammette di essere stato «sfrontato e arrogante. Ogni sbavatura di segno e retino è voluta. Sulla scrittura ci devo ancora lavorare però mi ritengo abbastanza soddisfatto del risultato raggiunto».
Nel volume non mancano le citazioni musicali – dai Black Sabbath a Franco Battiato – ma quali sono stati gli artisti che, quasi a livello “spiritico”, ti hanno guidato? «Sintetizzando: Edgar Allan Poe per il suo modo di descrivere edifici fatiscenti e di evocare fantasmi; Francisco Goya quale maestro di luci, prima, e di ombre, poi. Ancora, Arnold Böcklin per aver messo i personaggi principali di spalle di fronte all’infinito; Guy De Maupassant per un racconto», replica Corona, riconoscendo che «il divertimento più grande, in ogni caso, è stato disegnare cazzi sui muri della villa».
Info: www.erisedizioni.org