“Labirinti”, un nuovo graphic novel di Charles Burns. Un capolavoro che sonda gli abissi dell’animo umano

Chi pensa che i graphic novel siano scritti (e/o disegnati) solo da giovani nerd oppure da nostalgici che non hanno trovato il proprio posto nel mondo – magari sull’impronta del “simpsoniano” Uomo dei fumetti – con Charles Burns può solo soprassedere. E, speriamo, ricredersi. Non è l’unico autore di caratura internazionale, sia chiaro, che ogni tanto fa capolino in Italia con pubblicazioni di livello. Ma di certo, è unico ed inimitabile nel suo flirtare con l’inquietudine e il perturbante; nel danzare, strumenti alla mano, con tutto quanto risulti, in qualche modo, mostruoso e deforme (freak, in una parola). Aborrendo ogni richiamo al glitterato e rigettando eventuali lustrini nell’indifferenziata, l’artista di Seattle – che ha avuto i suoi natali negli anni Settanta – torna a scandagliare gli abissi dell’animo umano, palombaro dell’oscuro, con Labirinti (il primo volume della sua nuova trilogia). Edito ancora una volta da Coconino press-Fandango (che in Italia ha già pubblicato l’ottimo Black hole), il graphic novel – cartonato, 64 pagine a colori, 20 euro – racconta la storia di due teenager americani: Brian e Laurie. Introverso e solitario, letteralmente ossessionato dalla passione per il disegno (“ci metto un po’ a capirlo, ma a un certo punto mi accorgo che sto disegnando un autoritratto. Sono un alieno deformato”), ma anche per le pellicole horror e di fantascienza (davvero convincente l’omaggio a “L’invasione degli ultracorpi”, film fondante del genere, diretto da Don Siegel nel 1956), Brian conosce Laurie – splendida, sensibile e sfuggente ragazza dai capelli rossi – ad una festa (“ha detto che è venuta con Jimmy. Ma lui dove cazzo l’ha conosciuta?”). E anche lei, seppur in apparenza pragmatica (“ma perché sei fissato con tutta questa roba di fantascienza?”) diviene parte dei suoi sogni ad occhi aperti, accedendo ad un mondo sui generis di forme organiche aliene, attraverso dimensioni attraenti e inesplicabili.

La domanda è: in una dimensione onirica, dove chiosa l’immaginazione e la realtà trova il suo incipit? Narrazione ancora una volta psichedelica, quella che il maestro del fumetto americano porta avanti. In una sorta di continuità con Black hole – vincitore dei premi Eisner, Harvey e Ignatz ed etichettato dal Washington post «tra i migliori graphic novel di sempre» – Burns (che oggi vive a Philadelphia con la moglie e due figlie) continua a scavare, imperterrito, nelle angosce legate all’adolescenza, ai mutamenti del fisico e alla scoperta del desiderio; abile nel tratteggiare atmosfere che, prendendo il là dall’ordinaria – se non noiosa – “American way of life” (il compendio di idee e movimenti che supportano l’incidenza del concetto di identità nazionale), divengono nel proseguo della lettura sempre più indecifrabili, sottilmente angoscianti, fascinose e, in parallelo, spaventose. Forte di uno stile raffinato ed elegante, all’apparenza quasi asettico, con forti richiami vintage (il richiamo della pop art è più che un mero accenno) Burns non tradisce le aspettative.

Il protagonista di Labirinti, Brian, si lascia andare – nudo come un verme e in procinto di cadere nell’abisso – ad una considerazione: “Non ricordo come sono arrivato qui. Scendevo per un sentiero ripido e mi sono perso strada facendo. Ho perso tutto, ma ora non è più importante”. È un po’ lo stesso stato del lettore di Burns, non di rado disorientato, anche per via di una narrazione non sempre lineare (ma pregna di dettagli). In un costante sali e scendi che non offre punti di riferimento. Ma è una giostra dalla quale, una volta saliti, si fatica a scendere.

Info: www.coconinopress.it

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