Leonardo e Leonardo Petrucci: quello che vediamo e quello che non vediamo

Ultimamente Leonardo Petrucci è spesso in viaggio ed è appena ritornato dalla Finlandia…. Tra i giovani artisti della scena italiana e romana, più precisamente, è nato e cresciuto in Toscana, terra in cui ha assorbito molto di quello che oggi vediamo nei suoi lavori che ci portano indietro nel tempo, andando al futuro. A lui interessa riformulare qualcosa che è sempre stato poco dichiarato esplicitamente in natura, dall’oggetto ad un’idea. E ”riformulare”: sì, riformulare. Credo sia questo il verbo più adatto alla sua ricerca; legata al mondo dell’alchimia è fatta di formule, formule che di volta in volta costituiscono o scompongono qualcosa.

Sei nato a Grosseto e rimasto per un po’ di tempo in Toscana, prima di venire a Roma per studiare all’Accademia di Belle Arti.  Quanta ”Toscana” ti è rimasta dentro? Ho studiato storia dell’arte a Firenze ed è stato un periodo molto intenso che ha modellato – per alcuni versi anche radicalmente – il mio modo di pensare, di vedere, di guardare, e di ripensare. Ricordo ancora benissimo i miei primi mesi a Roma, mi sentivo in ”un altro mondo”. Avevo studiato arte medievale e moderna e l’impatto con la contemporanea non è stato facile. Sai, entrare in nuovi  meccanismi di pensiero… E, quando ho visto per la prima volta il tuo lavoro mi è piaciuto perché l’ho riconosciuto. Raccontami ”le tue immagini” quelle che ti hanno fatto iniziare.

Ho quasi 33 anni e mi sono trasferito a Roma all’età di 19, più vado avanti e più mi avvicino al momento in cui potrò dire di aver passato metà della mia vita in Toscana e metà nella città eterna. Ad oggi prevale ancora ”il tempo grossetano” e per questo l’influenza che la mia origine geografico-culturale esercita sul mio lavoro è ancora molto presente. La Toscana, in una visione scolastica, ha sempre avuto il ruolo della madre e patria del disegno e della prospettiva, ovviamente credo che questa sia una visione riduttiva rispetto al reale valore artistico della regione, ma allo stesso momento credo che chi l’ha abitata e vissuta abbia colto anche inconsapevolmente una diversità geografica tale da sentirsi catapultati direttamente in una dimensione altra. Ricordo sempre con grande piacere una riflessione che la storica dell’arte Giovanna Dalla Chiesa fece a proposito della visione del cielo toscano, come una sorta di grande volta, una cupola talmente estesa da poter percepire le deformazioni prospettiche degli elementi posti all’orizzonte fino al punto più alto nel cielo. Da questo romantico pensiero si evince che la maggiore apertura dell’angolo visivo ha influito e continua ad influire sulla visione di ciò che ci circonda, si parla di estensione orizzontale. Tutt’altra direzione si ha a Roma, una città basata sulla verticalità. Mi piace pensare di collocarmi, e collocare il mio lavoro, esattamente a metà di queste due direzioni.

 

L’alchimia è una componente fondamentale della tua ricerca. Perché? Mi interessa sapere se c’è stato qualcosa in particolare che ti ha attratto e che ti ha portato a volerla approfondire. Ripenso al titolo della tua tesi, ”Arte dell’Alchimia e Alchimia dell’Arte”: quindi la tua è una visione circolare, fluida. Quasi senza separazione degli argomenti. In una tua vecchia intervista hai affermato: ”Occultare una forma o un pensiero non significa privare chiunque della lettura dell’opera, ma responsabilizzare l’osservatore, metterlo in una posizione di libera ma difficile azione di movimento in uno spazio inesplorato”.

La visione circolare e fluida che riguarda chi si approccia in maniera consapevole all’alchimia è solo una chiave che serve ad aprire porte che mettono in comunicazione stanze apparentemente lontane tra loro. Se parlassi di accoppiamento di insetti e nello stesso discorso inserissi informazioni scientifiche legate al moto dei pianeti attorno al Sole, potrei sembrare folle, ma con una visione circolare – propria del linguaggio alchemico – tutto acquisterebbe un senso. Porre tutto sotto il velo dell’alchimia potrebbe risultare rischioso, facendola sembrare una nuova forma di religione o una disciplina per pochi eletti, quando in realtà la vera chiave non è altro che la curiosità che ci spinge a confrontarci e aprirci verso ciò che normalmente ignoriamo. Il mio interesse verso questo tipo di studio nasce dal grande stupore che provo quando mi trovo di fronte ad una rivelazione, che sia essa di natura artistica, scientifica o altro. Sin da bambino ero molto attratto dal mondo delle illusioni ottiche e dei messaggi subliminali, ma solo durante il periodo accademico ho potuto racchiudere tutto all’interno della ricerca alchemica.

Leonardo Da Vinci. Leonardo Da Vinci è uno tra i tuoi maestri, e non lo dico soltanto per la tua opera che gioca con un suo lavoro, ma in generale per il suo pensiero ultramoderno che è di forte ispirazione per la tua ricerca. Così moderno che è arrivato a noi oggi come contemporaneo. In questo periodo festeggiamo i suoi 500 anni e la sua potenza, perché tutto quello che Leonardo ha pensato e fatto sembra di ieri, di oggi e di domani. “La natura è piena d’infinite ragioni che non furon mai in isperienza”, aveva scritto lui stesso. Leonardo ci faceva vedere misteri e lo faceva attraverso altri misteri. Se andiamo oltre alle sue opere arriviamo ad avere di fronte degli enigmi così ben nascosti che, non a caso, hanno attraversato secoli senza che ce ne accorgessimo. Ecco, le tue strutture più nascoste….

Penso a Leonardo Da Vinci come al più grande artista di tutti i tempi e quasi mai come ad un alchimista. Oggi lo immaginiamo come una figura legata all’occultismo o all’ermetismo, ma credo che sia frutto di molte speculazioni e che ciò avvenga solo perché la sua dinamicità nell’affrontare diverse tematiche, che spaziavano dall’anatomia all’ingegneria bellica, dalla botanica all’astronomia, sono ancora oggi per noi impossibili e irraggiungibili. La settorialità che contraddistingue l’uomo moderno da quello arcaico ha creato uno scollamento dei saperi. Oggi possiamo essere i massimi esperti di un argomento e allo stesso tempo i più grandi ignoranti di un altro, per Leonardo non era possibile questa distanza e per questo ancora oggi fatichiamo a comprenderlo, facendolo sembrare un alchimista. Leonardo era ed è stata la persona più curiosa dell’umanità e questa curiosità l’ha spinto fino ai limiti del suo tempo. Il mio lavoro è tutt’altra storia, purtroppo…

L’impatto con Roma. Vivi qui dal 2012. Immagino sia stato forte anche per te. Quali sono stati i tuoi primi lavori qui e come senti sia cambiata la tua ricerca. Hai lo studio al Pastificio e stare lì in qualche modo ti porta a ricevere molti stimoli. Penso anche al rapporto con altri artisti. Racconta un po’ del tuo inizio nella metropoli.

Il primo vero contatto con questa città, nel 2005, è stato traumatico. Roma sa essere molto spietata. Fortunatamente dopo un brevissimo capitolo berlinese, nel 2011 scelsi di tornare a Roma bussando alla porta di Bruno Ceccobelli (al Pastificio Cerere), il quale mi donò per 2 mesi una parte del suo studio e in pochissimo tempo lo affiancai in una mostra: la mia prima vera mostra a Roma, nella galleria di Pino Casagrande. Successivamente affiancai Pietro Ruffo in una collaborazione durata quasi 8 anni, durante i quali mi sono guadagnato uno studio al Pastificio nel quale lavoro ancora oggi.

 

 

Antropofagia Simbiotica: un titolo che dichiara. Strano, ci porti immediatamente ad immaginare nel particolare qualcosa. Un’opera che si allontana da qualcosa d’inarrivabile aprendoci all’enigma. Da questo lavoro ad oggi.

Antropofagia Simbiotica è stato un capitolo fondamentale della mia carriera, la prima vera sfida contro qualcosa che pareva insuperabile. Oggi è per me il passato, un ricordo felice e allo stesso tempo malinconico. Tante cose sono cambiate da quella mostra, per fortuna!