Teatro Alla Scala e Arabia Saudita, una polemica ipocrita

Milano

C’è tutta l’ipocrisia italiana e occidentale nell’ affaire che vede coinvolti il Teatro Alla Scala e l’Arabia Saudita. La polemica nasce perché un considerevole gruppo di benpensanti si oppone all’ingresso nel Cda del più famoso teatro italiano di un rappresentante di Riad o della società petrolifera Saudi Aramco. Poltrona che verrebbe accordata in cambio di una sponsorizzazione da 15 milioni di euro. Bollare come ipocrita questa levata di scudi non è una considerazione personale ma un fatto oggettivo. In Italia, e un po’ in tutto l’Occidente, ci si indigna a corrente alternata. Soprattutto quando i soldi sono pochi e quando il contesto mediatico favorisce il clamore della protesta. Tra l’Arabia Saudita e l’Italia ci sono scambi commerciali per circa quattro miliardi l’anno con un saldo attivo per l’Italia di circa un miliardo.

Prima di oggi avete sentito qualcuno protestare? Avete mai registrato polemiche contro questa storica e per noi proficua relazione commerciale che va avanti da decenni? Niente, tutti in silenzio. Ora che il più famoso teatro lirico del mondo sta per firmare un accordo che porta buona finanza e opportunità di valorizzazione del brand e di sviluppo commerciale, il partito degli indignati torna invece a strillare. A questi signori non importa nulla del fatto che il Sovrintendente Alexander Pereira e che perfino i sindacati dicano che questo accordo oltre che essere legittimo rappresenti per la Scala una buona occasione di crescita. L’indignato speciale italiano si fa sentire soltanto quando l’impatto economico è basso, i rischi pochissimi e la cassa di risonanza alta. In questi casi strilla e ulula agitando gli ideali più alti: temi a presa sicura come la democrazia, i diritti umani, la libertà d’informazione. Quando le imprese italiane e lo Stato lucrano nei rapporti di scambio (anche di armamenti) con l’Arabia Saudita tutti zitti. Ma questo problema dell’indignazione strabica non riguarda soltanto l’Arabia Saudita. Niente affatto. In realtà riguarda mezzo mondo. La Cina del partito unico è un esempio di grande democrazia? E la Russia di Putin o l’Egitto di Al Sisi sono paesi campioni nel rispetto dei diritti umani? Con questi e tanti altri paesi facciamo affari d’oro e nessuno dice niente. Quando gli interessi sono tanti e riguardano l’economia reale l’ufficio indignazione rimane chiuso. Ed è giusto che sia così. In tutto il mondo sono pochi i paesi che hanno culture, situazioni geopolitiche ed economiche uguali alle nostre. E ancora meno sono quelli con i quali possiamo vantare condivisione di valori. A guardare bene in realtà tra i paesi occidentali registriamo differenze importanti: gli Stati Uniti di Trump non sono la Germania della Merkel, la Francia di Macron non è l’Austria di Kurz. Le diversità sono profonde ed è giusto discutere e lottare affinché ciascuno migliori.

In un mondo iperconnesso e globalizzato è sacrosanto che vi sia un impegno costante di tutti per il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo e per la crescita democratica e pacifica delle nazioni. Ma tutto va fatto nelle sedi giuste, con gli strumenti adeguati e appunto senza ipocrisia. La cultura è lo strumento più efficace che abbiamo per favorire la crescita dell’umanità e per la lotta alle diseguaglianze e ai soprusi. Sostenere la lirica, sostenere l’arte contemporanea, sostenere la ricerca significa dare linfa alle componenti migliori della società. Significa sostenere il cambiamento partendo dalla parte decisiva e più profonda di ciascuno di noi che è la coscienza. L’Italia nelle ultime decadi ha perso terreno in tantissimi ambiti, anche nella cultura, settore che per millenni ci ha visto primeggiare. Per la Scala di Milano avere un partner come l’Arabia Saudita è un’occasione importante che va ben al di là dei 15milioni di euro. Questo accordo ha infatti un valore strategico quasi come per il Louvre aprire negli Emirati. Significa aumentare la notorietà e dunque il valore globale del primo gioiello culturale di Milano. Antoine de Saint-Exupery diceva che ”Fare dono della cultura è fare dono della sete. Il resto sarà una conseguenza”. Ecco, lasciamo che la Scala riceva questo dono e che la cultura faccia il suo cammino.