Sudari, Luigi Grassi

l progetto di Luigi Grassi sarebbe una serie insignificante, seppur bellissima, di fotografie, se non fosse per il suo titolo: Sudari. Materializzazione in bianco e nero di una figura retorica che riscatta l’immagine, i lavori rappresentano strutture coperte da ponteggi, avvolte da teli. Quelle che si presentano come fotografie cambiano campo e assumono il sistema di un testo poetico, letteralmente poetico: non sono più quello che descrivono, diventano metafore. Passano in secondo piano le studiate composizioni geometriche disumanizzate e l’opera è il titolo: azione interpretativa del reale, eco del ready made. Eppure l’immagine c’è e la fotografia trova la sua ispirazione più vicina in Gabriele Basilico: «Avevo sempre un suo libro – confessa Grassi – mentre lavoravo al progetto». Scatti digitali, ex analogici perché troppo imprecisi se lo scopo è l’oggettività, immagini calcolate senza distrazioni, dove lo sguardo coatto dell’osservatore è imposto dal fotografo. La luce non produce ombre e non sottolinea niente se non la volontà di Grassi e il suo desiderio di imparzialità. Fotografie che nascondono un’idea temporale dove fanno la loro comparsa il passato, invisibile ma presente sotto i teli dei ponteggi; il presente, chiaro nei veli stessi; e il futuro, imprevedibile nel risultato dei lavori quando verranno scoperti. Di nuovo una metafora, la seconda, a rimarcare l’esigenza di superare il piano dell’immagine bidimensionale per approdare in quello astratto del concetto. Assolverebbero una qualsiasi funzione decorativa, appese a un chiodo domestico, eppure i Sudari di Grassi non sono solo fotografie. Info: www.luigigrassi.com