In un momento storico attraversato da profonde trasformazioni sociali, economiche e geopolitiche, l’arte contemporanea si conferma uno spazio privilegiato di riflessione, racconto e dialogo. Lo testimonia il successo di The Art Symposium, evento ideato e promosso da Inside Art in collaborazione con la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, che nasce con l’obiettivo di dare voce a questa complessità, creando un confronto aperto e trasversale tra artisti, istituzioni, collezionisti, critici ed esperti del settore. In questa intervista, Guido Talarico, direttore ed editore di Inside Art, offre una lettura lucida dello stato dell’arte in Italia: un panorama ricco di creatività e visione, alimentato da una generazione di giovani artisti di qualità ma ancora frenato da debolezze strutturali e da un mercato meno dinamico rispetto a quello di altri Paesi. Dal sostegno alle nuove generazioni al ruolo sempre più complesso delle gallerie, fino al peso crescente del soft power culturale in contesti di crisi e conflitto, il dialogo si apre a questioni cruciali come il rapporto tra arte e identità, il valore della memoria, la funzione pubblica delle istituzioni. Temi che sono stati approfonditi nel corso di questa seconda edizione del simposio che, il 19 maggio, è stata un’occasione per riflettere sul presente e sul futuro dell’arte in Italia, e su come la cultura possa continuare a essere uno strumento attivo di comprensione, coesione e trasformazione della realtà.

Come nasce l’idea di The Art Symposium e qual è lo stato di salute dell’arte contemporanea in Italia, sia dal punto di vista della creatività dei suoi artisti che da quello della vitalità del mercato?
L’idea di The Art Symposium nasce dall’esigenza di creare un momento di confronto strutturato, profondo e trasversale su ciò che l’arte contemporanea rappresenta oggi a livello culturale, economico e sociale. Viviamo in un’epoca in cui l’arte è chiamata a interpretare le tensioni del presente, a riflettere le contraddizioni del nostro tempo. Da qui la necessità di dare voce a esperti, artisti, collezionisti, istituzioni e operatori di settore, in un contesto che favorisca lo scambio di visioni.
Per quanto riguarda lo stato di salute dell’arte contemporanea in Italia, direi che sul piano creativo i nostri artisti godono di grande vitalità. Organizzando un premio dedicato ai giovani, The Talent Prize, da 18 anni noi vediamo bene il talento e la qualità che caratterizza la nostra scena artistica. C’è una generazione di giovani che lavora con consapevolezza, visione internazionale e forte radicamento culturale. Tuttavia, il mercato resta meno dinamico rispetto ad altri paesi. Mancano ancora politiche di sistema e un ecosistema economico che accompagni e sostenga la crescita del settore in maniera strutturale.

Cosa cercano gli investitori? Su quali opere o periodi si sta concentrando il mercato?
Gli investitori oggi cercano opere che abbiano una doppia valenza: culturale e patrimoniale. C’è attenzione verso gli artisti storicizzati del Novecento, italiani e internazionali, ma cresce anche l’interesse per l’arte emergente, purché supportata da un contesto critico solido e da una visibilità internazionale. Il mercato tende a privilegiare opere che raccontano la complessità del nostro tempo, che affrontano temi come identità, ambiente, tecnologia. Le fiere, le biennali, i premi ma anche le piattaforme digitali stanno orientando le scelte, spesso influenzando più delle gallerie stesse.
Lei è promotore di un premio importante per giovani artisti. Qual è il canale attraverso cui oggi un giovane artista può farsi conoscere? Le gallerie hanno la forza per orientare il mercato? E giornalismo e critica d’arte sono in grado di incidere?
Il Talent Prize che promuoviamo, attraverso Inside Art, nasce proprio con l’intento di creare opportunità concrete per i giovani artisti, offrendo visibilità, contatti e occasioni espositive. Oggi un giovane artista può farsi conoscere in molti modi: attraverso i social, le residenze artistiche, i premi, le accademie, ma soprattutto grazie a gallerie coraggiose che scommettono su di loro. Le gallerie hanno ancora un ruolo importante, ma faticano a tenere il passo con le dinamiche del mercato globale. Quanto a giornalismo e critica, la loro influenza è ancora fondamentale, ma serve maggiore indipendenza, profondità analitica e capacità di intercettare le trasformazioni del linguaggio visivo contemporaneo.
Quanto è conosciuta e riconosciuta l’arte contemporanea italiana nel mondo? Conserva un ruolo e una influenza o è irrilevante? E musei e fondazioni sono disposti a rischiare?
L’arte contemporanea italiana è conosciuta e apprezzata, ma certamente non ha il peso che meriterebbe. Abbiamo una storia e una tradizione che spesso schiacciano il presente, mentre altrove — penso alla Francia, alla Germania, al Regno Unito, agli Emirati ma anche alla Corea del Sud — si investe sul contemporaneo come asset strategico. Alcuni artisti italiani sono molto quotati all’estero, ma manca una narrazione coerente, sostenuta da istituzioni forti. Musei e fondazioni in Italia cominciano a rischiare di più, ma serve una politica culturale più incisiva, capace di legare cultura, industria e innovazione.
Il legame dell’Italia con l’arte va di pari passo con la sua storia e oggi questo retaggio e questa cultura artistica è ospitata nei musei Italiani. I numeri del sistema museale sono ottimi. Questo boom è soprattutto legato ai flussi turistici oppure il rapporto degli italiani con i musei si è consolidato? Quante persone, in Italia, sono coscienti del patrimonio artistico del proprio territorio?
È indubbio che i flussi turistici internazionali abbiano contribuito in modo determinante alla crescita dei visitatori nei musei italiani. Tuttavia, stiamo assistendo anche a un rinnovato interesse da parte del pubblico nazionale, in particolare delle nuove generazioni. L’esperienza museale sta cambiando: è più inclusiva, più digitale, più interattiva. Detto ciò, la consapevolezza diffusa del valore del nostro patrimonio resta ancora insufficiente. Molti italiani vivono accanto a tesori che non conoscono o che danno per scontati. Serve più educazione artistica, a partire dalla scuola, e serve più comunicazione sul territorio.

Nel corso di The Art Symposium è stato analizzato il valore del soft power in un’epoca di tensioni internazionali. In un momento così delicato la cultura può davvero incidere sugli equilibri internazionali e aiutare a stemperare conflitti o aprire canali di dialogo?
Credo fermamente nel potere trasformativo della cultura. Il soft power non è un concetto astratto: è la capacità di costruire ponti, di creare legami laddove le diplomazie falliscono. L’arte, in particolare, ha la forza di toccare corde profonde, di suscitare empatia, di trasmettere messaggi che superano le barriere linguistiche o ideologiche. In tempi di conflitto, la cultura può offrire spazi di dialogo, può tenere viva la memoria, può alimentare un senso di comunità globale. Per questo The Art Symposium, che organizziamo grazie al contributo decisivo della direttrice Cristina Mazzantini e della Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea, vuole essere anche un laboratorio di riflessione su questi temi.

The Art Symposium ha ospitato anche il direttore della Karel Komárek Family Foundation della Repubblica Ceca che ha lanciato un progetto per preservare il patrimonio artistico dell’Ucraina ferita. Esiste il pericolo di cancellare la storia e l’anima dell’Ucraina? Cosa può fare la comunità internazionale?
Il rischio è concreto, e la guerra in Ucraina ci ricorda come i conflitti non distruggano solo vite umane, ma anche identità, memoria, cultura. Colpire il patrimonio artistico di un Paese significa tentare di cancellarne l’anima. In questo contesto, iniziative come quella della Karel Komárek Family Foundation sono fondamentali: non solo per salvare opere d’arte, ma per affermare un principio universale, quello del diritto alla memoria. La comunità internazionale deve mobilitarsi non solo con fondi e competenze, ma anche con una chiara volontà politica. Proteggere l’arte è proteggere l’umanità.