È il paradosso di tanta arte contemporanea: un’opera critica il sistema ma ci finisce inesorabilmente dentro scivolando su una buccia di banana. È successo ai grandi movimenti, non è esclusa l’Arte Povera, ed è successo ai migliori artisti, a partire da Andy Warhol. Non può evitarlo, tante volte non ha neanche scelta e molte volte è quello che vuole.
Certo, se un artista lo fa per sostenersi è una cosa, diverso è se sei Maurizio Cattelan e probabilmente le tue azioni sono più orientate a mandare un messaggio al pubblico, a esprimere un concetto piuttosto che ad avere un ritorno meramente economico.
Tuttavia l’operazione di mercato da poco conclusasi tra le mura di una delle più grandi case d’asta internazionali manda un messaggio non molto diverso da quello che filtra ogni giorno dalle mura della politica: a comandare sono sempre i soldi, a fare la differenza sono sempre in pochi. Banalità quasi quanto Comedian, la banana che Cattelan ha appeso al muro con lo scotch, un concetto che puzza di vecchio ancora di più dell’orinatoio d’oro firmato dall’artista qualche anno fa.
Irriverente, lo definiscono, paraculo, aggettivo molto più calzante. O meglio commediante, come lo stesso Cattelan suggerisce con il titolo della sua opera. E vaglielo a spiegare quanto serva nell’arte un po’ di paraculaggine a quel bengalese che per circa 30 centesimi ha venduto la banana al funzionario di Sotheby’s e con solo una piccolissima parte dell’incasso avrebbe svoltato la sua vita.
Non si tratta di buonismo, gli scherzi irriverenti nell’arte sono sempre piaciuti, i gesti rivoluzionari che hanno segnato la storia dell’arte non sono mai troppi ma questo non è di certo l’esempio che più ci sconvolge. Sconvolgente è quella cifra che ci ronza in testa da quando Justin Sun, 34 anni, cinese, fondatore di Tron, ha rivelato al mondo di potersi permettere 6 milioni di dollari per mangiarsi quella banana che vale più soldi di quanto ognuno di noi comuni mortali potrà mai permettersi. Lo stesso Cattelan aveva commentato nel lontano 2019 dopo che l’opera era stata presentata per la prima volta ad Art Basel Miami: «Ma perché non sono riuscito a ricomprarla?!»
Per molti la colpa è solo del mercato, Cattelan non c’entra niente: «Purtroppo ormai il mondo dell’arte si concentra esclusivamente sul valore economico delle opere – ha commentato il critico Francesco Bonami – mentre ci sono opere che hanno un valore che non è economico soltanto».
Certamente: la banana di Cattelan entrerà nella storia, questa vicenda sarà studiata nei libri. Poco importa se nel 1968 un tale Giovanni Anselmo aveva già presentato l’opera Scultura che mangia, un lavoro destinato al deperimento: protagonista una foglia da sostituire all’occorrenza. Proprio come la banana. Poco importa se nel 1960 Piero Manzoni distribuì un buffet di 150 uova sode con impressa la sua impronta digitale, invitando il pubblico a mangiare le sue creazioni, coinvolgendolo in questo modo direttamente nell’opera. Proprio come il gesto di David Datuna, il performer che nel 2019 mangiò la banana contribuendo alla commedia di Cattelan.
La questione è che nell’era del narcisismo si fa a gara per mangiare quella banana e poterlo condividere sui social. Si fa a gara per un morso di celebrità, effimera come la banana.
«È il mercato che ha deciso di prendere sul serio una banana attaccata al muro – ha commentato l’artista – Se il sistema è così fragile da cadere su una buccia di banana, forse era già scivoloso di suo». Forse è vero, Cattelan non c’entra niente. Ma di sicuro un grande artista come lui avrebbe potuto trovare un altro grande gesto rivoluzionario per dare uno schiaffo al capitalismo, avrebbe potuto trovare un’altra strada per criticare il mercato e non essere divorato e digerito anche lui dal sistema.
Forse gli sarebbe convenuto meno ma di sicuro avrebbe portato una ventata di freschezza al posto dell’odore di banana marcia che continua a farci annusare.