Rappresentare la violenza di genere nell’arte e nel cinema contemporaneo permette di sensibilizzare il pubblico attraverso linguaggi artistici differenti. In occasione del 25 novembre, Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza sulle Donne, è interessante analizzare come il cinema e la performance art rappresentino tale fenomeno attraverso approcci pressoché opposti. La performance art, per sua natura in relazione diretta con il pubblico, provoca reazioni forti e immediate. Il cinema, più legato a logiche commerciali, si rivolge invece a un’audience ampia e diversificata attraverso un linguaggio tendenzialmente più accessibile. I registri comunicativi di questi due media sono quindi molto diversi, come diversi ne sono i limiti.
La violenza di genere al cinema
Nel caso del cinema, il recente film It Ends With Us, tratto dall’omonimo bestseller, racconta di Lily (Blake Lively) e Ryle (Justin Baldoni) e dello sviluppo del loro rapporto tossico durante il quale Ryle abusa psicologicamente e fisicamente di Lily. Se però tale film, nonostante le polemiche legate alla campagna promozionale, giudicata non appropriata al contesto, è riuscito ad avvicinare il grande pubblico al tema della violenza domestica, ha rischiato anche di romanticizzarla. La discussione della presenza strutturale di tale problema sociale nella società contemporanea, infatti, viene tralasciata per dare spazio a una storia in cui prevalgono cliché narrativi su problemi complessi come quello della denuncia, ad esempio.
Queste incertezze sollevano un quesito sulla rappresentazione della violenza: è più efficace un linguaggio accessibile, che sensibilizzi un grande pubblico tramite un approccio più edulcorato al problema, o uno più diretto ma potenzialmente respingente, che però non banalizza il tema?
Il racconto della violenza con la performance
Diversamente dal cinema più mainstream, molte artiste di performance art hanno presentato in maniera esplicita e severa la violenza sulle donne. Marina Abramović, Valie Export o Ana Mendieta attraverso performance provocatorie con protagonista il proprio corpo hanno espresso tramite l’urgenza di questa forma d’arte la loro denuncia. Per i suoi recenti lavori sul tema si può ricordare nello specifico anche Regina José Galindo, che condanna tramite le sue performance l’uso sistematico della violenza sessuale e i femminicidi in Guatemala.
La sua opera contrasta la normalizzazione dell’abuso e della discriminazione di genere nel proprio paese e nella società contemporanea e mostra sul suo corpo la sofferenza delle donne attraverso performance viscerali e schiette, sconvolgendo il pubblico. In una delle sue ultime opere, Aparición (dal 2020), Galindo mette gli spettatori di fronte a corpi femminili che appaiono coperti in spazi urbani di grandi città per segnalare fisicamente i numeri della violenza di genere. In questo caso lo spettatore viene posto di fronte alla realtà dell’abuso.
La performance art, per definizione effimera e provocatoria, ha un’urgenza comunicativa che ne rende più complessa la diffusione e replicabilità. Il grande schermo ha invece la possibilità di raggiungere un’audience ampia, con il rischio di attenuare la forza del suo messaggio. La molteplicità delle voci è in ogni caso fondamentale per tenere vivo il dibattito rispetto a questo tema e per promuovere un’educazione per uomini e donne rispetto alla violenza di genere, che necessita infatti di essere discussa, raccontata e denunciata sempre per una cittadinanza consapevole, e non solo il 25 novembre.