I cabinet de curiosités, letteralmente gabinetto delle curiosità o camera delle curiosità, sono l’equivalente francese delle Wunderkammer tedesche: stanze o mobili specifici in cui, tra il XVI e XVII secolo, in cui collezionisti raccoglievano oggetti rari, insoliti e straordinari, tra cui opere d’arte e manufatti, che sfidavano la comprensione convenzionale e suscitavano meraviglia e curiosità. Ed è proprio un cabinet de curiosités quello che è stato allestito alla galleria Tornabuoni Arte Roma per la mostra Alighiero Boetti: Cabinet de Curiosités: attingendo dai numerosi documenti raccolti da Agata Boetti, la figlia del maestro, e dagli scatti di Giorgio Colombo, amico di lunga data, questa esposizione dà la possibilità di guardare al mondo attraverso lo sguardo di Boetti.
Le sue opere più intime sono presentate accanto ai suoi documenti inediti, appunti, schizzi, cartoline, progetti, lettere, schizzi e ricordi, permettendo al pubblico romano di apprezzare in modo del tutto inedito uno degli artisti più amati dalla città, e che lo ha ospitato dal 1972 fino al 1994, prima a Trastevere, poi vicino al Pantheon. Certi suoi bozzetti di fine anni ’60 fanno intravedere le sue ricerche sullo spazio o sulla matematica.
Le cartoline raccontano i rapporti di amicizia attraverso i loro scambi professionali o la scelta dei francobolli. Oppure gli inviti, come quello con la poesia di Sandro Penna, che diventerà anche una frase di un piccolo ricamo, diverse inscrizioni in opere su carta e che ci svela la sua passione per questo poeta di cui leggeva le poesie quando era a casa. Le foto del tavolo di lavoro nel 1974 di Mulas mostrano loro la diversità dei materiali che coabitavano alla perfezione in studio. Una esplosione emozionate, in cui vita e arte sono legati indissolubilmente, un’occasione per rendere omaggio a Boetti a trent’anni dalla sua scomparsa.
Boetti, la persona: “Non si butta mai nulla”
«Boetti rifletteva scrivendo e disegnando: prendeva appunti, realizzava studi e schizzi; provava a quadrare nomi e frasi; stilava elenchi di parole, frasi e concetti mischiandoli alle liste del quotidiano di spese, telefonate e cose da fare. Teneva tutto. Quando gli piaceva qualcosa, la metteva nella cassettiera nel suo studio – racconta Agata Boetti – “Non si butta mai nulla”. Non c’era una gerarchia tra gli oggetti, nessun ordine: un bozzetto, una foto, un invito, una cartolina, un articolo, una sagoma, un biglietto».
Ad accogliere il visitatore, facendogli capire fin da subito che quello che vedrà non è il personaggio Boetti ma è la persona, sono la proiezione del video Giovedì ventiquattro settembre 1970 e i venti scatti fatti a Boetti da Giorgio Colombo tra il 1966 e il 1993, pubblicate nel volume Vita di Alighiero Boetti (edito da Forma Edizioni), che lo ritraggono in momenti e con protagonisti con i quali Boetti hanno condiviso parte della sua vita e della storia dell’arte. Frammenti di intimità che consentono di accedere alla parte più profonda del maestro.
Una mostra non gerarchica
Il corpus di documenti, disposto sulle pareti secondo quell’idea di “caso” propriamente boettiana, quella non-gerarchia attraverso cui Boetti amava il mondo, propone tra gli altri gli studi per Cimento dell’armonia e dell’invenzione e per Lavoro Postale, entrambi del 1969, l’unico bozzetto esistente per le Mappe del 1970, e appunti anche scherzosi come una cartolina inviata alla moglie Annemarie a cui scrive: I love you baby, Frank Sinatra.
Questi fogli liberi, come i taccuini, sono chiavi di lettura del processo creativo che ha dato origine alle sue opere tra cui Piano Inclinato (1981), Aerei (1977-78) e San Bernardino (Uno uno due due tre tre…), esposte in mostra. Come dice Agata Boetti: «nessun ordine, nessuna gerarchia. Un bozzetto, una foto, un invito, una cartolina, un ricamo. Solo cose belle di Boetti e su Boetti, per capire forse meglio il suo lavoro e il suo pensiero».
Dal “Muro” allo “Zoo”
Sulla parete di fondo della galleria un mosaico di lavori cattura lo sguardo: si tratta di Muro, opera privata, in costante evoluzione tra il 1972 e il 1993, in cui sono presenti disegni di Agata, una tasca di una giacca, i primi Aerei, una tasca di una giacca, i suoi primissimi Aerei, un disegno a quattro mani con Lewitt o un insieme di francobolli comprati perché belli erano tutti sullo stesso livello.
Iniziato nel 1972, la forma attuale del Muro composta da 75 elementi è stata raggiunta solo alla morte dell’artista nel 1994. Incorniciate e appese una accanto all’altra, ogni immagine è trattata con la stessa importanza senza che si creino gerarchie di sorta. Come ha spiegato Annemarie Sauzeau Boetti, Il Muro progressivo era nato non come un’opera d’arte, ma come una iconostasi privata della sua esistenza e del suo dialetto, nonché come taccuino di appunti, di progetti da sviluppare.
Una stanza è dedicata a Zoo, realizzata nell’autunno del 1979 da Agata, Matteo e Alighiero Boetti, iniziata per gioco e divenuta un’opera, grazie a uno scatto di Giorgio Colombo e e pubblicato su Casa Vogue: safari domestico, “fortuita e senza fine, ordinata quanto disordinata” (Annemarie Sauzeau Boetti). L’installazione è accompagnata dalla fotografia galeotta e dalla lettera dattiloscritta da Agata, Matteo e Alighiero Boetti.
Boetti: i libri
Due teche espongono I Quindici libri rossi – 111 (1993-1994), che vengono ideati a partire dal volume unico 111 realizzato per la mostra a Bonn La Sincronicità come principio non-casuale di eventi nel 1992 e sono una serie di diari fotografici d’archivio in cui Boetti raccoglie fotocopie in bianco e nero di articoli, schizzi, telegrammi, cartoline e mappe, e quattro Libri annuali (due del 1984, 1986, 1988), che traspongono in “opere tascabili” e più accessibili le grandi opere su carta Copertine, sottolineando ulteriormente il sempre maggiore interesse per l’idea di “diffusione”; due menabò ad essi legati, ma opere uniche e a sé stanti.
Una terza teca espone Classifying, the thousand longest rivers in the world, pubblicato nel 1977, in cui Boetti raccoglie la classificazione compiuta dal 1970 al 1973 insieme ad Annemarie Sauzeau Boetti dei 1000 fiumi più lunghi al mondo. Qui viene mostrato nella sua completa genesi: l’insieme della documentazione e corrispondenze che la realizzazione del libro ha necessitato, il menabò e due esemplari, uno con la con la copertina ricamata e uno in tela rossa.
La mostra, aperta al pubblico fino al 22 febbraio, consente di parlare di Boetti andando oltre le sue opere; è un’occasione per scoprire il genio e la complessità d’un artista, lasciarsi affascinare da dettagli meno noti, partecipare a un dialogo con l’eredità di Boetti, un dialogo che invita a vedere oltre le apparenze e a interrogarsi sulla natura stessa della creazione e della conoscenza.