«Una nuova età dell’oro», dice Donald Trump al Paese dal Convention Center di Palm Beach nella notte dell’election day, il 5 novembre. Con la vittoria in pugno, il tycoon tornerà nello Studio Ovale da 47° presidente degli Stati Uniti a 78 anni e con condanne penali pendenti, sconfiggendo Kamala Harris anche nel voto popolare. “L’America ci rifà un 2016”, scrivono sul Corriere della Sera il 7 novembre, con l’esito delle elezioni ormai certo. In attesa di cambiamenti importanti negli equilibri globali, diamo uno sguardo alla reazione alla vittoria di Trump da parte del mondo dell’arte e alle prospettive che si profilano nel campo dei beni culturali sulla base dello scorso mandato.
Il mondo dell’arte con Kamala Harris
È stata “cupa, arrabbiata e preoccupata per il futuro della cultura statunitense” la risposta del mondo dell’arte all’esito delle elezioni. A riportarla è The Art Newspaper, che ha raccolto le reazioni a caldo di molti artisti e artiste. «Non ci sono parole. Questa è la mia risposta», ha dichiarato ad esempio l’artista Deborah Kass. «Non so cosa dire in modo coerente», ha dichiarato invece Lyndon Barrois, artista che ha sostenuto Kamala Harris insieme alla moglie Janine Sherman Barrois, scrittrice e produttrice televisiva. In più, Barrois aggiunge di sperare che «il mondo delle arti e della cultura possa continuare a raccontare storie di verità senza censure o verità e culture alternative. C’è molto di questo che è più grande del mondo dell’arte, ma si spera che sia ancora il modo più efficace per continuare a raccontare questa storia».
Sono state numerose le figure del mondo dell’arte e della cultura che hanno attivamente sostenuto la candidata democratica nella corsa alla Casa Bianca. Tra gli altri ascoltati da The Art Newspaper, anche infatti la scrittrice, artista e regista Tanya Selvaratnam, che ha lavorato con altri artisti per sostenere la campagna elettorale di Harris. «Per me – ha dichiarato – la cosa più importante è che la maggior parte degli americani che hanno votato non erano pronti a votare per una donna nera». O, ancora, l’artista Lita Albuquerque, che ha creato un manifesto elettorale per Harris, si è detta preoccupata sul destino della comunità creativa in vista del secondo mandato di Trump. «La libertà di esplorare, di guardare al mondo in modo critico, la libertà di dissentire sono le libertà che l’arte deve avere per evolversi», ha affermato l’artista. «Mi preoccupa – ha aggiunto – la nostra libertà di esprimerci».
Trump e l’arte: uno sguardo ai precedenti
Che a Trump l’arte non sia mai piaciuta è ormai un dato di fatto. Si pensi anche solo al fatto che, in vista della costruzione della Trump Tower a New York, il tycoon non si preoccupò del fatto che nell’area scelta si trovava il Bonwit Teller Building,un edificio del 1929 la cui facciata ospitava alcuni fregi e sculture che costituivano importanti testimonianze del liberty newyorchese. L’intento era sì quello di donarle al Metropolitan Museum, ma l’operazione avrebbe causato dei ritardi nei lavori: le sculture vennero allora demolite.
O, ancora, nel 1999 – lo raccontava nel 2016 Finestre sull’arte – Trump si scagliava contro quella che definiva “arte degenerata” in occasione di una mostra al Brooklyn Museum in cui era presente anche The Holy Mary Virgin, opera realizzata da uno dei massimi esponenti degli Young British Artists, Chris Ofili. Per supportare il sindaco di New York Rudolph Giuliani, Trump affermava: «Non è arte, è uno schifo, è roba degenerata e non dovrebbe essere finanziata dal governo». «Se fossi Presidente – aggiungeva – farei in modo che il National Endowment of the Arts non accordasse sostegno a operazioni di questo tipo».
I tagli alla cultura nel mandato precedente
Proprio National Endowment for the Arts (Nea), al National Endowment for the Humanities (Neh), all’Institute of Museum and Library Services (Imls) e alla Corporation for Public Broadcasting Donald Trump, in qualità di 45° presidente degli USA, tagliava i fondi. Era il 2018 quando – come riportava Il Giornale dell’Arte – nel budget proposto per l’anno successivo, si proponeva uno «shut down». Tra le ragioni, « il considerevole sostegno dei privati e di altre fonti pubbliche e perché l’Amministrazione non considera le loro attività tra le principali responsabilità federali».
Stando ai numeri, l’intento di Trump era quello di tagliare il budget del Nea da 150 a 20 milioni di dollari, quello del Neh da 150 a 42 milioni, quello dell’Imls da 231 a 23 milioni e quello della televisione pubblica da 495 ad appena 15 milioni. Un programma simile, proposto nel 2017 dallo stesso Trump, non aveva avuto seguito, grazie all’opposizione bipartisan dei politici. «Nonostante il discorso sullo stato dell’Unione in cui il presidente affermava che “gli americani riempiranno il mondo di arte e musica” – spiegava Robert Lynch, presidente e amministratore delegato del gruppo di sostegno Americans for the Arts – sembra esserci una disconnessione sul bisogno di investire nel sostegno futuro alle arti del nostro Paese e all’educazione all’arte. Il supporto federale all’arte aiuta a rafforzare l’economia creativa negli Stati Uniti».
Tornando ad oggi, con la vittoria di Trump alle presidenziali, dichiarava all’Ansa a poche settimane dall’election day il coreografo statunitense David Parsons, «ci sarebbe una forte riduzione dei finanziamenti per l’arte». Resta da chiedersi se sarà questa la linea politica nei confronti dell’arte e della cultura.