Due recenti appuntamenti autunnali hanno concentrato a Milano la presenza di operatori e di appassionati della cultura e dell’arte digitale. Il primo, svoltosi in due giornate al Teatro Franco Parenti e alla Palazzina Bagni misteriosi, è stato in gran parte dedicato al Web3 e a tutte le varie applicazioni di progetti e infrastrutture che usano la blockchain. Il fascino del luogo, per il quale non poteva essere scelto un titolo più evocativo di quello riferito alla famosa opera metafisica e milanese di Giorgio De Chirico, appunto Bagni misteriosi, ha rappresentato un valore aggiunto non da poco, per un meeting dedicato al dominio dell’immateriale nelle transazioni finanziarie decentralizzate e nelle arti digitali.
Mentre negli ambienti intorno al teatro erano in corso incontri e conferenze con al centro il tema delle piattaforme, come Ethereum, e delle modalità per svolgere transazioni in criptovalute, nella palazzina dei Bagni misteriosi, sede dell’ETH Milan Creative hub, venivano presentate rassegne di arte digitale, con una preponderante declinazione in IA generativa, e distinte in due diversi contesti curatoriali: AIntropocene, affidato a Rebecca Pedrazzi e All art has been contemporary a Virginia Gazzoni. Nel primo la curatrice, in collaborazione con Alessia Cuccu, ha creato una sorta di ecosistema, nel quale l’esperienza multisensoriale era congiunta con un ambiente immersivo e interattivo, caratterizzato dall’IA.
Forse perché inaspettata per il contesto, la prima interazione sensoriale a coinvolgere il visitatore era quella olfattiva, stimolata da quattro essenze create per l’occasione da Italian Perfumery Institute, ispirandosi ad alcune specie floreali estinte o in via d’estinzione, oggetto di un intervento specifico realizzato da Debora Hirsch. L’artista ha presentato schede analitico-narrative di queste specie, relative alla provenienza, alle notizie botaniche e storiche che le riguardano, affiancando schermi in cui la loro riapparizione è visualizzata nell’incessante divenire metamorfico dell’IA.
Dall’immersione nella dimensione dell’odorato, si passava a quella tecnovisiva e interattiva dell’opera Golden Bees di Lino Strangis, che ponendo nelle mani del visitatore un fiore artificiale dotato di sensori, lo metteva nella condizione di poter guidare sugli schermi il volo e il rumore assordante di uno sciame gigantesco di api, con evoluzioni spaziali e correlati flussi di aggregazione, solo in parte corrispondenti ai movimenti del fiore artificiale, ma in realtà filtrati ed elaborati dagli algoritmi dell’IA. Docente alle Accademie di Belle arti di Torino e Venezia, ma romano d’adozione, Strangis ha realizzato una melissographia digitale, prendendo in prestito e moltiplicando le api del trigono Barberini, per sostituire alla rassicurante e statica iconografia dell’alveare, simbolo della laboriosità dei tanti nell’unità della Chiesa, quella di organismi viventi senza dimora, alla ricerca incessante di fiori sostitutivi di quelli scomparsi e nella turbolenza dell’habitat sconvolto dall’antropocene.
Di carattere antologico il contesto curatoriale di Virginia Gazzoni, che ha orchestrato una poderosa e serrata rassegna di arte digitale, articolata in dieci specifiche sezioni e concentrata soprattutto sugli autori emergenti più riconosciuti nello scenario del web3, che utilizzano la blockchain e gli NFT per diffondere e commercializzare le proprie opere. Di particolare interesse la sezione Glitch Art, uno specifico orientamento creativo caratterizzato dall’inserimento di elementi disturbanti il funzionamento degli algoritmi, affinché l’osservatore percepisca un effetto d’interruzione nell’apparire analogico, svelando il processo computazionale che lo sta generando.
Una modalità che in buona sostanza riformula in termini di IA generativa la prassi creativa usata negli anni ’60 del secolo scorso dai primi videoartisti americani, come la coreografa e ballerina Joan Jonas, che disturbavano la sintonia del segnale televisivo per inserire nel flusso elettromagnetico della trasmissione interruzioni e intervalli astratti dell’immagine analogica. Nel caso del performer uruguaiano Mauro Cosenza è l’IA generativa ad interrompere le sue acrobazie circensi, inframezzandole con le alterazioni dello sfondo naturalistico. Mentre Kevin Jaeger mostra l’intervento computazionale con pixel in rilievo sulla superficie di sculture ottenute dalla rielaborazione della stampa in 3D.
Heliodoro Santos, autore di Disassamble a digital body fa invece sparire in un progressivo dissolvimento pulviscolare una figura post umana, che David Cronenberg avrebbe potuto utilizzare come comparsa nel suo Crimes of the future. Nelle sezioni Almost Serious Art Gallery e Super rare, piattaforme tra le più accreditate per le transazioni di cryptoart in NFT, si sono poste in evidenza le opere dell’ironico dadaista digitale Federico Clapis, che ha presentato End of the phisical world, un video camuffato da fotografia, che ritrae un ambiente interno in totale disfacimento e abbandonato, con al centro la sua scultura Baby drone.
Tutto è fermo e senza più tempo, finché una mosca all’improvviso comincia a svolazzare intorno alla scultura, con le sue traiettorie caotiche, unica forma vivente sopravvissuta e rappresentante esemplare dell’esistenza post umana. Molti gli artisti italiani selezionati da Virginia Gazzoni, tra cui: Andrea Chiampo, Andrea Crespi, Jacopo Di Cera, Filippo Ghisleri, Hackatao, Matteo Mauro, Federica Rodella, Paolo Treni, Beatrice Vigoni. Pietro Vincenti, invece, è il giovane italiano che si è aggiudicato l’AI Creative Hackathon Futurberry, con l’opera Tracce nella griglia primordiale.
Molto più indietro nel tempo, rispetto al primordio dell’umanità, ha riportato i suoi osservatori l’animazione aBiogenesis, del londinese Markos Kay. L’opera è stata presentata nell’ambito della rassegna di arte e AI Artificial dreams, promossadal MEET, il Centro Internazionale per l’arte e la Cultura Digitale, fondato e diretto da Maria Grazia Mattei, in occasione di “Milano Digital Week”. Maestro riconosciuto dell’arte digitale IA, Kay dà visibilità alla simulazione modellizzata della ricerca scientifica, quando questa non può offrire nient’altro all’occhio umano. In aBiogenesi fa riemergere dall’Origine degli abissi oceanici le sacche lipidiche bilayer con dentro le protocellule sferiche, all’origine (forse) del bios sulla Terra, per porle sotto i nostri occhi come se ci apparissero all’oculare di un luminoso microscopio.
Sempre di Markos Kay, nella sala immersiva del MEET è stata proiettata l’opera Quantum Fluctuations, con la quale noi osservatori siamo invitati ad immaginare le entità della fisica quantistica subatomica e cosa accade nei “crash test” che avvengono tra protoni sparati alla velocità della luce all’interno del Large Hadron Collider, l’acceleratore del CERN che si estende ad anello per 27 chilometri e sotterrato a 100 metri di profondità nei pressi di Ginevra. La visibilità di queste immagini ci aiuta a comprendere la fisica quantistica? Nemmeno per sogno, ma ci aiuta a sognare: l’immensità che si trova tra il mondo fisico invisibile e l’astrazione degli algoritmi.
Tutt’altro che astratti hanno risuonato, sempre nella sala immersiva del MEET, i versi degli uccelli e i suoni della savana registrati e rielaborati da Andy Thomas, che si è affidato all’IA generativa per tradurli in segni e configurazioni visive vibranti e cangianti all’unisono, con un approccio sinestetico/multimodale che sarebbe piaciuto da impazzire ai Futuristi. Si ispira invece ad Arcimboldi, almeno per un osservatore occidentale, l’artista di Singapore che risponde allo pseudonimo di Niceaunties, presente alla rassegna con l’opera Auntlantis, trashyfriends, una favola ambientata in un ecosistema trash, un mare di rifiuti in plastica che si aggregano, al posto dei vegetali arcimboldeschi, per dar vita a pesci di dimensioni gigantesche, in simbiosi con un’umanità di infima rilevanza.
Grottesca e divertente anche l’immaginaria Atlantide scomparsa nei fondali marini e dominata da aunties-zie, interpreti di un matriarcato accomodante e benevolo, che sotto il pelo dell’acqua fluttua armonicamente con alghe, spugne e pesci-gatto sornioni. In quest’opera il processo creativo affidato all’AI si sviluppa per accumulazione bulimica di particolari, ognuno meritevole di essere individuato dallo sguardo, che si rileva incompatibile col flusso temporale dell’animazione e che invece richiama un’osservazione frame to frame. Un approccio ad accumulazione metaforica opposto a quello icastico adottatto da Federico Clapis, che stigmatizza la mutazione ambientale dell’antropocene con il semplice mostrare un acquario in cui la sua Tankfish in plastica guizza sul fondale come l’esemplare di una nuova specie ittica.
L’arte digitale tra blockchain e la social catena del suo apprezzamento: WEB 3 e smart city
Il mondo dell’informazione e il mercato tradizionale dell’arte si sono accorti di cosa fossero gli NFT e del nuovo paradigma dell’opera d’arte che essi rappresentano, quando nel marzo del 2021 Christie’s ha battuto all’asta per 69, 3 milioni di dollari l’opera digitale Everydays: the First 5000 Days di Beeple, nome d’arte di Myke Winkelmann, che ha realizzato un collage immateriale con 5.000 immagini digitali, corrispondenti ad altrettanti giorni di lavoro. Ora la domanda che sorge spontanea per un osservatore estraneo al mondo della criptoarte è: finita l’asta cosa si è portato a casa l’acquirente dell’opera?
La risposta è: una stringa di caratteri alfanumerici corrispondenti al codice del token (gettone) coniato per l’occasione su una specifica piattaforma digitale elaborata per generare e inscrivere questi codici crittografici in un registro informatico (blockchain) su cui sarà incatenato una volta per tutte e su cui cui nessuno potrà alterarlo o duplicarlo. Quindi ciò che Beeple ha venduto è il codice dell’unicità, della desiderabilità, dell’inalterabilità di un bene artistico immateriale, (simile allo spartito per la composizione musicale), che può essere reso in forma sensibile, (disponibile ai sensi), e che è anche ubiquo, perché lo si può esporre dovunque la tecnologia lo consenta, anche in una miriade di luoghi nello stesso istante, pagando le dovute royalties ad autore e proprietario. Inoltre la blockchain registrerà tutti i passaggi di proprietà dell’opera, che diventeranno di dominio pubblico (stop alle ricerche d’archivio per gli storici dell’arte digitale del futuro, basterà consultare il registro!).
I tre anni trascorsi da quando il poliedrico e creativo imprenditore indiano Vignesh Sundaresan ha acquistato la terza opera di arte contemporanea più quotata di un artista vivente, dopo Koons e Hackney, sembrano lontanissimi e propri di uno scenario del tutto tramontato, quello di una cieca commistione tra criptovalute e criptoarte, in cui gli NFT avevano acquisito un valore, non tanto in funzione della specifica qualità artistica del conio, che anzi poteva essere anche prossima allo zero (ad esempio, le apprezzatissime, dal mercato, scimmiette o cryptokitties), quanto per il valore tecnologico della blockchain, che garantisce la correlazione tra desiderabilità del token e la sua unicità-rarità.
Per comprendere meglio, si può far riferimento ad un esempio storico: la differenza tra il conio delle monete (che dall’antichità all’epoca moderna associa un valore convenzionale e di scambio alle dimensioni, alla lega metallica e alle iscrizioni con una o più immagini dell’oggetto fungibile), e il conio di medaglie, che invece non hanno un valore nominale di scambio e che vengono quanto più apprezzate e valorizzate per la loro rarità, per il valore intrinseco del metallo, perlopiù oro, argento, bronzo, per il significato simbolico-celebrativo connesso al conio, nonché per la qualità artistica della loro modellazione, che le contraddistinguono come bene paritetico culturale-commerciale.
Sulla base dell’esempio moneta/medaglia, si può sostenere che per alcuni anni e in virtù di un’evidente bolla speculativa, molti NFT di arte digitale sono equivalsi di fatto a monete, per la banalità e ripetitività dell’immagine che costituiva il token, pur essendo di fatto medaglie, per il motivo di non essere fungibili. Insomma, più che di medaglie si trattava di quelle che in romanesco si chiamano patacche. Tre anni dopo, a bolla speculativa conclusa, il radicale passaggio di fase ha determinato nel 2023 un fatturato complessivo degli NFT-arte digitale in asta pari a 13 milioni di dollari, rispetto ai 232 milioni del 2021.
È pur vero che, per meglio valutare questo dato, gli NFT di arte digitale sono oggetto di transazioni economiche in criptovaluta soprattutto sulle piattaforme dedicate, come OpenSea o Super Rare, concepite per essere accessibili anche sul Metaverso e per essere decentralizzate sul WEB 3 che, per le sue modalità di organizzazione e scambio delle informazioni, costituisce un nuovo orizzonte della rete e un vero e proprio ecosistema, di forte impronta democratica e peer to peer, quindi ideale incubatore per ricerche creative di arte e comunicazione digitale. Ma la fruizione in rete, anche quella che avviene nella modalità più immersiva della realtà virtuale su Metaverso, non può soddisfare lo scambio di socialità che costituisce il fattore energetico primario e irrinunciabile dell’arte digitale.
Come hanno indicato, su fronti diversi di osservazione, i due appuntamenti milanesi e, soprattutto, come ha ulteriormente espresso il contesto conclusivo di “Milano Digital week”, con i suoi 258 appuntamenti e oltre 500 relatori, la cultura e l’arte del digitale non possono fare a meno dello spazio pubblico e del loro apprezzamento in pubblico, in aziende, istituzioni, musei, scuole, università, sulle piazze, come quella milanese della stazione centrale, dove sono state proiettate le opere del concorso internazionale City Digital Skin Art selezionate dal MEET. L’arte digitale ha un bisogno congenito di spazi urbani e di città, sperando che in Italia non resti la sola Milano a saperlo soddisfare.