Ombra, un’immagine che non ti abbandona mai

Mario Ceroli si racconta in un’intervista realizzata nel corso delle riprese per il film a lui dedicato, scritto e diretto per Rai Cultura

Ha il talento dei grandi autori e l’acutezza delle menti superiori. Forse per questo dice con saggezza socratica di non sapere fare niente. Eppure è uno dei rari artisti che i propri lavori li fa da sé, lavorando con le sue mani i materiali che lo hanno reso celebre: l’adorato legno su tutti.  Ed è uno dei rari contemporanei la cui monumentale produzione pur restando concettuale ha un alto valore estetico. A Mario Ceroli ho dedicato il mio ultimo film che ho scritto e diretto per Rai Cultura e prodotto insieme alla mia amica Simona Garibaldi. Quello che segue è uno estratto dell’intervista fatta per il film.

Abbiamo parlato del tuo rapporto con il mito, con la classicità che affonda nella parte più intima di Roma.
Sì, affonda. Ha un trascorso pazzesco Roma, è una ragazza che suggerisce moltissimo. Chi viene a Roma si innamora di Roma, perché è una bellissima città ed è un peccato di Dio che noi che l’abitiamo la trascuriamo un po’.
Di nascita sei abruzzese, ti ricordi com’era quando ci sei arrivato?
È stato subito dopo la guerra, mia madre lavorava all’istituto nazionale dei ciechi di guerra a piazza Istria e mio padre faceva il muratore da quelle parti. Noi eravamo in quattro e ogni sera bisognava rientrare da una finestrella a tre metri da terra. Oggi a distanza di più di 70 anni posso raccontarla come privilegiato, perché ho vissuto una grande avventura, la cosa più bella del mondo, l’arte. 
Erano gli anni di Pasolini…
Sono arrivato a Roma con mia madre e mio padre a Piazza Bologna, poi siamo andati ad abitare alla Magliana e da lì abbiamo comprato un terreno a Torpignattara alla Marranella. Lì ho conosciuto Pasolini, il primo Pasolini.
Come te lo ricordi?
Sai, ero piccolo. Ero piuttosto schivo. Preferivo andare all’istituto d’arte, da Leoncillo, da Mazzullo, da Colla ad aiutare. 
Quando è cominciata per te la stagione dell’arte?
Praticamente subito. Frequentavo l’istituto d’arte e sono finito ad aiutare Leoncillo, che nel 1954 vinse il premio per la Partigiana Veneta a Venezia, ai Giardini della Biennale e io l’ho aiutato a fare la Partigiana Veneta (avevo 16 anni).
E il periodo di Cinecittà?
Questo lo facevo il sabato e la domenica, per avere soldi. Andavo lì per fare le comparse. Cinecittà era una grande sensazione, un’immagine che ti invogliava molto, era pieno di laboratori, una vera e propria fucina. Io ho vissuto Torpignattara in maniera diversa, non ho vissuto il quartiere san Saba, il Pigneto, ho vissuto il quartiere nella maniera bella, non in quella violenta. Non sono interessato ai discorsi demagogici di Pasolini, io ho conosciuto Pasolini, ho fatto con lui Orgia nel 1969. Ero entusiasta di averlo re-incontrato, mi chiamò proprio lui una volta alle due di notte. Roma è stata una grande invenzione: se si pensa a cosa è successo nell’arte contemporanea a Roma, un signore che si chiama Plinio De Martiis si è inventato una galleria da perdere la testa. Tutti i giorni a piazza del Popolo arrivavano tutti. Plinio ha dato all’arte la spettacolarità, ogni sera faceva una inaugurazione e mi dispiace che nessuno a Roma si sia mai preoccupato di rendergli omaggio e spero che Cristina Mazzantini lo omaggi ora che è alla direzione della GNAM, perché è stato davvero un precursore, sono tutti approdati lì, persino Leo Castelli e Ileana Sonnabend volevano la sua galleria, La Tartaruga.


E da lì poi comincia una grande avventura.
Una grande avventura. Cy Twombly ha detto a Plinio di andare a vedere Mario Ceroli a via della Stelletta.
Come hai vissuto il periodo formativo a Roma?
Io ho fatto l’istituto d’arte, dopo mi sono iscritto all’Accademia ma non potevo frequentarla perché dovevo lavorare. Lì c’era un grande maestro, Scialoja, che faceva delle lezioni davvero belle sull’arte americana e su dove sono nati Kounellis, Pascali. Fuori c’erano Perilli, Novelli, con la galleria Schneider. A Roma c’era veramente una bellissima storia, fatta di persone molto capaci.
Roma ma anche New York…
Io sono sempre rimasto affezionato a La Tartaruga e a Plinio De Martiis. I miei due anni a New York sono stati belli, avevo vinto la Biennale, ho fatto una mostra alla galleria Betty Parsons di New York, ma la mia città è Roma. Ho provato due anni a lavorare in America ma non è facile: bisogna essere americani, newyorkesi e qualcos’altro.
La Biennale è arrivata giovanissimo.
Sì, la mia Biennale è stata nel 1966, avevo 26 anni. Una grande emozione. Ora la gente è compassata. Li fu un’esplosione di gioia… 
Una volta, parlando del passaggio alla sagoma, hai detto: Celant mi ha avvicinato all’arte povera perché usava materiali poveri, io usavo materie povere perché costavano poco… Come nasce questa idea che ha molto caratterizzato la tua produzione.
Nasce dall’ombra, una immagine che non ti abbandona mai. Puoi costruire l’ombra con la carta è vero, ma fatta con il legno è una cosa diversa perché si materializza, rimane. Il legno è diverso, come l’ombra della foresta che è qualcosa che fa bene alla foresta.
Dici sempre che il legno è vivo. 
È vivo, non muore facilmente.
Ci racconti questa cosa dell’ombra viva?
Io non so disegnare, non so fare niente.  Il lavoro manuale è stato senza dubbio la macchina portante del mio lavoro, il materiale ha aiutato molto questo. L’ombra con il legno è qualcosa che rimane, diventa la foresta, diventano le radici. L’ombra in questo caso, che ho fatto con le mie sagome, sono state le radici della frequenza del lavoro che è venuto dopo.


C’è in questa tua produzione articolata e complessa delle cose che ti appartengono di più, a cui sei più affezionato?
È il concetto della meraviglia. Io credo che tu quando sei arrivato qui hai provato meraviglia. Qui sono venuti genitori con i figli, e ho visto i bambini veramente meravigliarsi. La prima volta che sono stato ad Assisi mi ricordo la meraviglia che ho provato: qualcosa che ti sazia, che fa bene al cuore e agli occhi.
Questo concetto della bellezza sembra un po’ la guida della tua vita. Quanto conta per te la bellezza?
Io credo che la bellezza sia la bellezza d’animo, non è la bellezza fisica: è la bellezza degli occhi, delle cose che fai, quando tocchi il pane. La bellezza è come tu ti presenti alla bellezza. Io credo che tu in queste due ore almeno 20 minuti ti sia divertito. I miei pezzi di legno oggi sono una verità per il mio paese, per la mia città. A me dispiace andarmene via e lasciarli, le cose belle rimangono, le cose brutte no. Il bello fa bene, il male, il brutto, fa male. Si può sopportare è vero, ma c’è male e male. Io sono sicuro che se mi fossi tagliato le mani alla sega sarei ancora qui a lavorare. Ma non è accaduto, perché ho voluto bene a quello che facevo e a questi pezzi di legno. Io gli ho voluto davvero bene e ci credo ancora oggi all’età di 86 anni. La cosa bella è che mi diverto ancora come un pazzo.

Mario Ceroli – Le forme della meraviglie

Mario Ceroli – Le forme della meraviglie è un documentario scritto e diretto da Guido Talarico e coprodotto per Rai Cultura da FAD e da Lilium Distribution. Il film svela la potenza creativa e l’innovazione di un’artista straordinario. La narrazione inizia con un’immersione nell’atmosfera quasi incantata del suo studio, situato nella campagna romana, che accoglie più di 500 opere, alcune di proporzioni monumentali. Le telecamere seguono Ceroli nell’atelier, mostrando la meticolosa gestione dello spazio, che riflette l’evoluzione della sua arte attraverso decenni. Il documentario mette in luce come Ceroli abbia sempre privilegiato il valore estetico, pur essendo un protagonista di avanguardia nell’ambito dell’Arte Povera e un pioniere nell’uso di materiali umili come il legno.

La narrazione si arricchisce delle testimonianze di personalità influenti, come la direttrice della GNAM Cristina Mazzantini, il direttore della Pinacoteca di Brera, Angelo Crespi, e il curatore Gabriele Simongini, offrendo uno sguardo approfondito sia sull’artista che sull’uomo Ceroli. Si ripercorre così la sua vita, dall’infanzia in Abruzzo all’approdo a Roma, dove studia presso l’Accademia di Belle Arti e inizia a sperimentare con materiali come la ceramica prima di rivolgersi al legno, che lo porterà a vittorie significative come il premio per la giovane scultura italiana nel 1958. Il film è disponibile su Raiplay.

*L’articolo è stato pubblicato sul numero #131 di Inside Art.