“Non puoi rendere il suono duro e solido; ma puoi farlo sembrare fermo, come se fosse sospeso sul posto, in modo da poter camminare all’interno delle sue strutture acustiche”. In un breve saggio del 1998, Michael Brewster riconosce al suono proprietà plastiche e dati caratteri morfologici: alla stregua di una scultura, il suono ha consistenza fisica; come questa, trova collocazione spaziale. Se l’esperienza della scultura tradizionale è subordinata alla sua natura oggettuale e antagonista (il latino obiectum indica “ciò che si pone avanti” al soggetto), una scultura sonora permette l’ingresso del corpo come elemento alleato nel campo di forze in azione. Simili premesse risultano utili per introdurre la pratica di Friedrich Andreoni.
Sin dall’infanzia, l’artista italo-tedesco ha coltivato la passione per la musica: «La dimensione musicale ha sempre avuto un ruolo importante nella mia vita. Ho collaborato con l’etichetta tedesca Raster-Noton, esibendomi anche live, ma, arrivato a un certo punto, ho compreso di essere interessato più alla dimensione concettuale, scultorea e psicologica del suono. Penso al suono davvero come materiale scultoreo». L’elemento sonoro, ad esempio, si “fisicizza” se traslato in diagramma, tradotto in immagine: con I was so wrong (2021), Andreoni posiziona due file di bandiere, sulle quali stampa lo spettrogramma della frase “I am so wrong”. Un’araldica dell’errore, un trionfo della colpa che gli vale l’Academy Award del Ducato Prize nel 2023.
La concettualità esplorata da Andreoni è poi connessa ai principi di psicogeografia e di dreamspace. Se «la psicogeografia – così nel suo elaborato finale in Accademia – descrive l’influenza dell’ambiente architettonico o geografico sulla nostra percezione, sulla nostra esperienza fisica e sul nostro comportamento», il dreamspace è un luogo magico, un teatro di epifanie e proiezioni che necessitano, per essere attivate, della predisposizione di ecosistemi esterni. Gli ambienti ricreati dall’artista sono habitat tutt’altro che naturali; qui il dispositivo tecnologico, l’artefatto meccanico, viene meno al suo obiettivo, sconfessando le promesse positivistiche del progresso infinito.
In Parallele Prozesse, del 2020, due eliche nautiche, collegate a motori e fissate su piedistalli, producono un suono intercettato da microfoni: «I microfoni – commenta l’artista – tentano di fare l’opposto di ciò per cui sono ideati, ovvero catturare lo spostamento d’aria. Con questo lavoro, voglio investigare il limite della tecnica, o téchne, heideggeriana». Nello spazio del vuoto, i due suoni convergono, dando vita a un ritmo ulteriore, una melodia povera e quasi tribale. Lo stato di sonno, di semi-veglia, è raggiunto per mezzo della ripetizione martellante di un motivo.
Nel saggio dedicato ai lavori di Andreoni a Chicago, Michael J. Golec rintraccia nell’artista l’attitudine del tecnico, l’abilità di testare i limiti della macchina, di scomporne gli ingranaggi e le logiche interne esibendo, di contro, il ballet mécanique, il moto senza scopo di attrezzi e infrastrutture. Con SHIFT, del 2021 – opera in due versioni, preceduta da uno studio preliminare su una barra di un passaggio a livello – Andreoni posiziona un telefono cellulare su un ponte levatoio che, in una gestualità quasi medievale, si innalza, su decisione del sindaco, a separare le opposte rive del fiume Chicago in occasione delle proteste avvenute in seguito all’omicidio di George Floyd. Scrive Golec: «Mentre i video tracciano l’arco dell’apparato, si liberano dagli automatismi infrastrutturalmente imposti della vita quotidiana».
Altre volte, come in I’m ready, il rumore meccanico, la gestualità automatizzata, si fa mantra e diventa voce. In questo caso, è una frase brevissima, fulminea, a fornire l’ingrediente di base per una riflessione sul pattern e sul concetto di sistema: «I’m ready – spiega l’artista – è una frase occidentale, anglofona, ma internazionale; è un simbolo comprensibile a chiunque. L’opera è un pattern, un sistema chiuso, e la ripetizione è il modo per arrivare all’astrazione, alla sublimazione». Una ricerca della cellula serializzata, della cifra modulare, che conduce all’arco ogivale di tradizione gotica, una costante presente sin dagli esordi: «L’arco è un sistema chiuso, una regola, una forma perfetta e un codice che, privato di un dato elemento, è destinato a non funzionare più».
Incontrato negli anni d’infanzia, nei ripetuti soggiorni in Medio Oriente, l’arco è svincolato dalla funzione originaria, portante, e approcciato nella fisionomia disegnativa. Il suo tracciato lineare incarna la deviazione dal percorso netto, la curvatura improvvisa e controllata, e si ritrova tanto nelle sculture in ferro, siano esse fisse – come nel caso di Arcate, del 2020, opera realizzata in occasione del BRACT (Breve Residenza Artistica di Comunità e Territorio) a Tricase Porto, in Salento e omaggiata di una menzione speciale al Premio delle Accademie Pontificie del 2022 – quanto in quelle mobili (è il caso di lavori come Begehbare Bewegungen, 2018, o TEST, del 2019) o addirittura performative (in Fall, del 2021, Andreoni inarca la schiena poggiata su una cancellata domestica a imitare un arco; in Drawing arches while skipping ropes, del 2020, l’arco è la traccia risultante dal contatto tra corda e asfalto).
Interessato alla dimensione sovrumana e mitica del portale, contro l’idea di porta e di misura umana cara a Kounellis, Andreoni sfrutta l’arco come punto di soglia e varco di attraversamento: dallo spazio della fisica esatta, verso i luoghi dell’immaginazione.
Ultimi progetti
Il 26 aprile, Friedrich Andreoni ha presentato Arco, Arché, Archetipo, un intervento a cura di Caterina Angelucci, nel quartiere Santa Veneranda di Pesaro, nell’ambito della programmazione di Pesaro Capitale Italiana della Cultura 2024. Il progetto di Andreoni comprende tre installazioni site-specific, concepite come possibilità di relazione con la storia, con la memoria e con la tradizione popolare del territorio. È altresì incluso nella prima edizione della residenza WONDERFUL! Art Research Program 2024 al Museo Novecento di Firenze. A settembre, infine, la Galerie Met di Berlino ospiterà, fino all’ottobre successivo, la sua personale Oblivion.
Chi è Friedrich Andreoni
1995 – Nasce il 6 ottobre a Pesaro
2020 – Ottiene il diploma alla Weißensee Academy of Art di Berlino
2022 – Conclude la sua attività biennale di ricerca al dipartimento Sound alla School of the Art Institute di Chicago e il suo lavoro SHIFT viene presentato nel programma di The Available City, quarta Biennale di Architettura di Chicago
2023 – Vince con l’opera I was so wrong l’Academy Award del Ducato Art Prize
2024 – Viene selezionato come parte del programma ufficiale di residenza al Museo Novecento di Firenze