A Roma il Distretto del Contemporaneo propone una nuova Forma Urbis

Scorci di modernità nella città dell’antico: una conversazione con l'architetto Andrea Bruschi sugli sviluppi del Distretto del Contemporaneo a Roma

«Roma lineare, Roma stellare, qual è la forma di Roma? È un pulviscolo, una nebulosa in espansione», afferma Andrea Bruschi, docente del Dipartimento di Architettura e Progetto all’Università La Sapienza. Con alle spalle un filone di ricerca su Roma, Bruschi è attualmente coinvolto in prima linea nel progetto del Distretto del contemporaneo, un’iniziativa che riconosce nel quadrante urbano racchiuso tra Foro Italico, Farnesina e quartiere Flaminio, la più concreta sperimentazione della città moderna e contemporanea nella Capitale.

Da un’idea dell’ambasciatore Umberto Vattani, la lente del distretto ha come obiettivo quello di illuminare una porzione di Roma rimasta sostanzialmente opaca, complice anche la damnatio memoriae caduta sulle espressioni architettoniche del Ventennio. Ma a queste si somma una costellazione di opere realizzate dal secondo dopoguerra fino ai nostri giorni lasciate in disparte dall’equazione esclusiva tra Roma e antichità. Erede dei tentativi di sbrigliare le potenzialità organiche di questo spicchio urbano, a fronte della distonia cronica di Roma, il Distretto del contemporaneo si propone oggi di valorizzare il volto moderno della Capitale, di costruirne le relazioni necessarie, rilanciando Roma sul piano internazionale.

Raccolto intorno all’ansa Nord del Tevere, il distretto convoglia le interpretazioni architettoniche romane tra il fascismo e la Repubblica. «A Roma – spiega Bruschi – l’architettura moderna ha avuto diverse declinazioni. Da una parte si collocano il Foro Italico e la Casa delle Armi, oltre al palazzo della Farnesina, costruita tra le due fasi. Le espressioni della città repubblicana distinguono invece due momenti importanti. Il primo inaugura una tradizione romana, e cioè la crescita della Capitale con i grandi eventi: sono state le Olimpiadi del 1960 a portare in quest’area le opere di Pier Luigi Nervi come il Palazzetto dello Sport e lo Stadio Flaminio, oltre al Villaggio Olimpico e al Viadotto di Corso Francia. Si riconosce poi la fase del contemporaneo legata alle strutture culturali, dall’Auditorium di Renzo Piano al MAXXI di Zaha Hadid, dal Ponte della Musica al futuro Museo della Scienza».

Perché Distretto del contemporaneo? «Da una parte, qui si concentrano oggetti architettonici importanti, ma questi, come avviene nella città moderna, entrano continuamente in relazione con un ambiente naturale, che li permea», chiarisce Bruschi, riferendosi alla riserva naturale di Monte Mario e alla collina di Villa Glori che cingono l’area, come pure alle sponde del Tevere, che l’attraversano. «Il distretto – continua – è il solo ambito a Roma, insieme alla Sapienza, l’Eur e Ostia, in cui la città moderna ha avuto una sua declinazione. Il modello è quello inaugurato dalle avanguardie degli anni Venti, e cioè la città giardino: dal rifiuto della città tradizionale, dominio del costruito, sono stati elaborati progetti visionari, che immaginavano una città in cui si recuperava, utopisticamente, il rapporto con la natura».

Perno dell’area il Ponte della Musica, che oltre a sancire la dimensione distrettuale evidenzia come una relazione felice tra architettura e ambiente non sia solo potenziale. «Al di là della sua qualità architettonica – spiega Bruschi – il Ponte della Musica completa quella connessione che era originaria già nel Piano del 1909 e poi ripresa da Enrico Del Debbio per il Foro Mussolini negli anni Trenta: mettere in relazione due elementi naturali importanti, Monte Mario e Villa Glori». In più, il Ponte della Musica assolve ancora un’altra funzione: congiungendo il Foro Italico e la Casa delle Armi con le istituzioni culturali del distretto, MAXXI e Auditorium, l’infrastruttura restituisce quel triplice rapporto alla base delle visioni più contemporanee della città, unendo l’ambiente con lo sport e la cultura.

Ma a Roma il valore della città moderna e la relativa portata sociale non hanno avuto, finora, molta fortuna. Situata al di fuori delle antiche Mura Aureliane in una città policentrica che investe per gran parte nelle glorie del suo passato, l’area a cui si riferisce il Distretto del contemporaneo è stata relegata nelle periferie dell’immaginario. Da qui, architetture significative dei tempi più recenti sono state trascurate, ma, soprattutto, «non si è investito nel rafforzamento del collante tra le parti che conferisce a questo settore urbano la sua modernità», aggiunge Bruschi.

Oltre alla percezione locale e internazionale di Roma, il distretto pone un tema di relazioni, tanto al suo interno quanto con il resto della città. Una messa a fuoco, questa, che genera una riflessione sulla forma della Capitale e sulle sue logiche, sul rapporto tra le parti in un ambiente urbano policentrico, tratto che complica le interpretazioni del divario tra centro e periferia. Una nevralgia di ‘questioni romane’, insomma, che il progetto ripropone su scala locale.

Il sovrapporsi di continuità e discontinuità ha un ruolo determinante nella tessitura dei rapporti urbani. «Roma corre su due binari paralleli. Su di uno si colloca la città pianificata, sull’altro quella reale. Generalmente, in occasione dei grandi eventi ai programmi di sviluppo organizzati se ne affiancano di nuovi che portano la città a evolversi in modi diversi da quelli previsti», spiega. Da qui, il profilo indefinito della Capitale, quantomeno secondo le categorie tradizionali.

Di fronte a una distribuzione incerta delle forme di continuità in un sistema sostanzialmente discontinuo, il Distretto del contemporaneo tenta una strada nel groviglio urbano della Capitale ponendosi sulla scia di un progetto rimasto inconcluso, quello delle centralità metropolitane, rivendicando la propria specificità. Riconoscendo che «la città è in un certo senso, già costruita», la frontiera consisterà allora, come nel programma arenato, nell’implementare le potenzialità organiche delle varie parti. In altre parole, creare connessioni, ma anche un nuovo progetto urbano che risolva problemi ancora aperti.

Auspicando una nuova armonia per il territorio, il distretto rappresenta una duplice occasione: da un lato, offre un contributo allo sviluppo urbanistico della Capitale, il cui Piano regolatore, spiega Bruschi, «individua nell’asse Flaminio-Fori Imperiali-Eur uno dei suoi ambiti strategici ma dall’altro può proiettare il settore sul piano internazionale ponendolo alla pari di tutte le aree di città contemporanea delle grandi capitali europee».

Tanta parte dell’impegno del progetto consiste nell’innescare una presa di coscienza collettiva, nel costruire un immaginario romano che vada oltre la Roma dei Papi. Ma il distretto pone anche una questione di fruibilità. «Il vero problema a Roma sono i diritti, le disparità, gli squilibri», commenta Bruschi; da qui, l’imperativo di «porre in relazione le strutture dell’area con le infrastrutture della mobilità, creando e semplificando le connessioni con i territori metropolitani periferici, portando a una maggiore diffusione dei diritti». Tra i vari cantieri aperti, Bruschi si riferisce alla metro C e ai suoi sviluppi futuri, che prevedono una stazione all’Auditorium e una alla Farnesina. «La strategia – conclude – è quella di portare l’asse della cultura del quartiere Flaminio, che fa da contraltare al sistema museale dell’Eur, alla portata di tutti: più si semplificano le connessioni, più i diritti aumentano».

Puntando i riflettori su uno spazio esteso quanto il centro storico, il Distretto del contemporaneo manifesta con fermezza come Roma possa guardare avanti. E, nel porre un tema di connessioni, esprime l’urgenza per la Capitale di interpretare al meglio il senso della città: essere un luogo di opportunità.

L’articolo è stato pubblicato su Inside Art #130.

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