Accademia di Francia a più voci, la mostra dei borsisti di Villa Medici

Curata dal collettivo romano IUNO, l’esposizione di Villa Medici è caratterizzata dalla diversità delle pratiche artistiche dei 16 borsisti

Si intitola A più voci la mostra collettiva che presenta i lavori dei sedici borsisti che hanno abitato Villa Medici nell’ultimo anno. Curata dal collettivo romano IUNO, diretto da Cecilia Canziani e Ilaria Gianni con il coordinamento di Giulia Gaibisso, l’esposizione, aperta al pubblico fino all’8 settembre, è caratterizzata dalla diversità delle pratiche artistiche rappresentate, dalla letteratura alla creazione sonora, alla scultura, al restauro del patrimonio, all’architettura, alla fotografia e al video. 

Che siano artisti, autori, architetti, ricercatori o teorici dell’arte, i borsisti sono legati dall’esperienza collettiva all’Accademia di Francia, che dà origine a sinergie e collaborazioni inaspettate. «Il titolo della mostra – racconta la Canziani – rispecchia l’idea di lavorare sulle suggestioni di tante individualità che si incontrano. Voci singole che cantano insieme. La possibilità di creare uno spartito composto da singolarità artistiche». Guardando ai diversi lavori realizzati, tra i temi che emergono con maggiore forza troviamo: il mondo vegetale; l’acqua; il corpo e le sue trasformazioni; le forme di resistenza; la dialettica tra esterno e interno, a cui si lega il rapporto degli artisti con la villa che li ospita, tra questo posto e il fuori. Non va dimenticata la figura di Roma, città reale e fantasticata, che da sempre ispira i borsisti che la vivono per qualche mese. 

KAPWANI KIWANGA, Alliés, 2024. Photo Daniele Molajoli

Durante questo anno nella capitale, i borsisti sono stati incoraggiati a vivere la residenza come un laboratorio di sperimentazione, che offre l’opportunità di condurre una ricerca a lungo termine, di esplorare nuove strade e di lasciarsi sorprendere e coinvolgere dai risultati degli incontri con altre pratiche artistiche e altre geografie. Alcuni artisti hanno collaborato tra di loro per creare i loro progetti. La mostra è il culmine di questa esperienza e l’occasione per ripensare al modo in cui i progetti non convenzionali vengono presentati al pubblico.  

L’esposizione inizia con Substruction, un lavoro di Ophélie Dozat, in cui propone una rilettura dei muri di contenimento di Roma. Sono muri che mostrano le impronte di chi li ha abitati, spazi sensibili e supporti di narrazioni e interazioni collettive. Il progetto punta ad appropriarsi di queste strutture, nel tentativo di qualificarli e reinscriverli nel campo dell’estetica. Il muro di contenimento va oltre la sua funzione tecnica iniziale e diviene opera d’arte, portatore di nuovi significati. «Ho lavorato sia con mattoni contemporanei che con quelli antichi – racconta la Dozat – con l’obiettivo di rendere visibile questo materiale e dargli nuova vita. Ho utilizzato tutto quello che ho trovato nelle mie passeggiate, soprattutto le pietre antiche».

MALI ARUN, Au creux du ventre, 2024. Photo Daniele Molajoli

Mali Arun si interroga ed esplora gli spazi ai margini, in movimento o in conflitto e lo fa a causa delle sue vicende personali: cresciuta in una famiglia divisa tra Francia, Germania, Turchia, Thailandia e Cina, tutti i membri della sua famiglia sono stati in esilio. Oggi vivono lontani dalle loro radici e hanno dovuto riscrivere la loro storia e reinventarsi. A Villa Medici, l’Arun scrive la sceneggiatura di un film che mescola realtà e finzione e in cui racconta la sua storia. Il lavoro si concentra anche sulla comunità cinese di Prato in Toscana, che incarna i temi di identità, migrazione e globalizzazione, come uno specchio della propria storia. «Ho voluto esplorare la comunità dall’interno – afferma l’artista – Trovate delle grotte sotterranee, ho condotto lì le ricerche. È come tornare alle radici, alla terra». Presenta in mostra anche alcune fotografie scattate nel corso della sua indagine: «Questi sono lunghi rifugio – continua – in cui il corpo può nascondersi, ma anche ricomparire».

HÉLÈNE BERTIN, ANNE BLANES, ALINE CADO, Albero, 2024.
Photo Daniele Molajoli

Nell’antica cisterna di Villa Medici, il luogo più acquoso dell’edificio, Alix Boillot approfondisce la sua ricerca sull’acqua e sui contenitori, naturali o artificiali, che ne definiscono la forma. Tre le opere che presenta: la fotografia di una delle 8 colonne di neve – questa realizzata in Abruzzo nel 2004 – per una serie a cui sta lavorando; il primo esperimento, raccolta e fusione delle monete della Fontana di Trevi, con il permesso l’associazione cattolica Caritas Roma; un video realizzato con un altro borsista, Ismaïl Bahri, «Abbiamo filmato contemporaneamente – racconta la Boillot – sottolineo questo perché lo ritengo un aspetto di sacralità. Ci siamo dati appuntamento il 13 maggio 2024. Io ero a Petrosino, in Sicilia e Ismail a Kerkouane, in Tunisia. Due luoghi posti uno difronte all’altro. Ci siamo poi incontrati a Roma per scambiarci i video e fare l’unione».

LAURE LIMONGI, Le Service des Panacées, 2023-24. Photo Daniele Molajoli

Spostandosi nella sala espositiva principale, si incontra Le Code Noir, l’opera di Hamedine Kane, una raccolta di materiali inediti che costituiscono un archivio sulle diaspore africane e sui loro discendenti. È un codice nel suo senso originario e morale, che include e reinterpreta libri e canzoni che hanno definito le prospettive globali del pensiero nero, documenti del Secondo Congresso Mondiale degli Scrittori e Artisti Neri (Roma, 1959), note biografiche e immagini: un alfabeto visivo, libero dai rapporti di forza impliciti nella scelta di una lingua o di un’altra. L’artista porta aventi un progetto di ricerca su tre grandi scrittori afroamericani esiliati a Parigi nella seconda metà degli anni Quaranta: Richard Wright, Chester Himes e James Baldwin.

MADISON BYCROFT, cloud pieces, 2024. Photo Daniele Molajoli

Ismaïl Bahri presenta Camera, un video in cui protagonista è una persiana di una finestra, abbassata, la quale separa chi è all’intero da un temporale esterno, di cui si sente il rumore. Il campo poi si allarga fino ad assumere le dimensioni ambientali e la finestra viene sostituita dalla parete che la contiene. «Nel mio lavoro – racconta l’artista – ricorro a cose semplici, a quello che si fa normalmente durate la propria vita. In questo caso ho filmato la tempesta attraverso la serranda e il filo conduttore è uno zoom lento che porta l’esterno all’interno e viceversa. La camera è uno spazio segreto, ma anche di apparizione in cui il fuori prende forma, si incarna».

ISMAÏL BAHRI, Camera, 2024. Photo Daniele Molajoli

Nella stessa stanza, si trova l’opera di Morad Montazami: una pila di manifesti che mettono in dialogo gli spazi di Villa Medici con una poesia di riferimento per il mondo arabo, che esorcizza le guerre nate dalla crisi petrolifera del 1973. Un testo anti-petrolio realizzato da poter portare a casa. L’artista mira ha portare a termine anche due libri: il primo è una panoramica di figure per le quali il petrolio diventa una matrice cosmogonica, legata tanto alla terra come giacimento naturale quanto alla politica attraverso colpi di Stato e altre rivoluzioni; il secondo è una panoramica di fotografi (contemporanei), videoartisti e operatori digitali che si occupano della transizione energetica, della sopravvivenza degli ecosistemi, della resistenza all’urbanesimo sfrenato o alla colonizzazione militare-industriale.

on the left: ALIX BOILLOT, Adieu Beauté
on the right: ISMAÏL BAHRI, ALIX BOILLOT, Kerkouane-Petrosino 2024
Photo Daniele Molajoli 
 

L’opera di Hélène Bertin è di grandi dimensioni ed è composta di legno, cotone, pane, fiori secchi e tinture vegetali realizzate con cipolle, noce, melograno e altri. Il progetto è dedicato alla figura del raccoglitore selvatico, attorno al quale si articolano tre approcci: i gesti dei raccoglitori nelle campagne romane; l’osservazione partecipante della Tammurriata, una danza tradizionale campana che l’artista ha appreso studiando le comunità che vivono attorno al Vesuvio, tentativo di liberazione del gesto; la propria raccolta di materiali per future sculture. La raccolta selvatica oggi assume una dimensione arcaica, anticonvenzionale e anarchica e costituisce una tenace resistenza al progresso.

MALI ARUN, Refuges, 2024. Photo Daniele Molajoli

Kapwani Kiwanga presenta Remédiations, un progetto che tratta il tema della tossicità e che è ancorato alla storia di Roma, dell’Italia e non solo. Le terre tossiche o contaminate possono essere curate, così come le abitudini tossiche delle persone possono essere modificate per essere più sane. L’opera mira quindi a denunciare la tossicità ambientale che caratterizza la nostra realtà attuale, ma anche altre forme di tossicità sociale e strutturale. «Espongo tre opere – afferma l’artista – che rappresentano il piombo, la bella donna e l’arsenico. Tre elementi chiave per realizzare il veleno Manna di San Nicola da Bari come indicato nelle preparazioni di Giulia Tofana, il quale consentiva alle donne di liberarsi del marito che non volevano più, così da poter condurre una vita libera». Resistenza e sfruttamento, poteri curatici e tossici, passato e presente si incontrano. 

PIERRE ADRIAN, JULIE HASCOËT, Carrara, 2024. Photo Daniele Molajoli

Céline Curiol è una scrittrice ha raccolto i racconti di persone di ogni estrazione sociale, i quali hanno risposto alla domanda: «Raccontami una storia d’amore su una pianta». L’obiettivo è costruire un archivio storico che mostri il rapporto dell’uomo con il mondo vegetale in Occidente nel XXI secolo. A Villa Medici la Curiol ha richiesto il contributo delle persone che si occupano dei giardini e di quelli che ci vivono. La diversità delle storie raccolte testimonia i molteplici ruoli che le piante svolgono nei nostri ecosistemi esistenziali.

on the left: LAURE CADOT, Esperienza fenomenologica, 2024
on the right: JUSTINIEN TRIBILLON, La perruque: premiers fils, 2024
Photo Daniele Molajoli 

Lungo la scalinata di Villa Medici, Jean-Charles de Quillacq posiziona dei manichini, privati di alcune parti del corpo, in piedi, sdraiati o semi accoppiati. Guardare forme familiari posizionate in questo modo e mancanti di alcuni pezzi, inducono nel visitatore un senso di straniamento, imbarazzo e disgusto. «Le mie sculture si interrogano sul corpo in modo ossessivo – racconta l’artista – Sono corpi ambivalenti, che non riusciamo a identificare, anche osceni. Esploro sia spazi relativi allo show ma anche quelli più intimi e difficili da definire».

OPHÉLIE DOZAT, Rome et ses murs de soutènement; Spolia and À la recherche des pierres. Photo Daniele Molajoli

«Ho sviluppato progetto panacea come rimedio a tutti i mali – dichiara l’artista Laure Limongi – È una performance individuale in cui ho proposto consultazioni come fossi un dottore: c’è un disturbo e io rispondo a questo consigliano di leggere dei libri di letteratura e fornisco la posologia, consapevole dell’effetto benefico della letteratura. Ho ricevuto, in anonimo, circa 70 persone nel corso dell’anno». La Limongi unisce lettura e cura in un progetto di biblioterapia curativa. All’Accademia di Francia è stato ricreato un piccolo studio medico, in cui si possono ascoltare i casi e scoprire i libri-rimedi prescritti. 

JUSTINIEN TRIBILLON, La perruque: premiers fils, 2024. Photo Daniele Molajoli

Madison Bycroft ha realizzato un video-saggio, creato durante l’anno da borsista, che fa parte di una ricerca più grande e dello sviluppo di un progetto cinematografico intitolato Cena Trimalchio, un adattamento dei frammenti 28-79 del Satyricon di Petronio. La parte proposta si concentra sulla figura dell’Augure, veggente dell’Antica Roma, noto per le sue capacità di interpretare eventi innaturali e mal funzionamenti. Questi presagi erano chiamati ‘’monstrum’’ una parola legata a “mostro”, da monstrare, che significa “dimostrare”, e monere, “avvertire”.

MORAD MONTAZAMI, Marée noire en hommage à Etel Adnan, 2023-24. Photo Daniele Molajoli

Séverine Ballon riunisce due ricerche che porta avanti da alcuni anni: una esamina il canto come memoria, materia e stato; la seconda si basa sull’incontro e la condivisione nel contesto dei laboratori musicali organizzati nei luoghi di accoglienza e di ospitalità per i più svantaggiati. Prima è stata a aprigi, poi quest’anno si è unita all’associazione di volontariato Refoodgees, al mercato Esquilino di Piazza Vittorio, a Roma, e ha registrato le persone presenti sia nel mercato che nella piazza, dove il sabato pomeriggio si distribuiscono i prodotti invenduti del mercato. I canti e i racconti raccolti durante questi workshop daranno vita a un affresco musicale che mette in discussione ciò che differenzia il canto dalla parola.

HAMEDINE KANE, Le Code Noir, 2023-24. Photo Daniele Molajoli

Laure Cadot prosegue la ricerca che porta avanti da vent’anni, relativa ai metodi di conservazione ed esposizione dei resti umani nei musei e come vengono trattati dagli studiosi. Adotta un approccio diacronico, che considera l’evoluzione e il cambiamento della sensibilità collettiva. Per la mostra propone un lavoro introspettivo: non potendo esporre resti reali, ha riprodotto in 3D il proprio cranio, segnando le domande, i pensieri e le impressioni che questo ha suscitato in lei e in che lo vede. 

Justinien Tribillon continua le sue ricerche sul tema del ‘’perruque’’, del ‘’parrucchino’’: termine che si riferisce agli oggetti realizzati dagli operai durante il loro orario di lavoro, con materiali e utensili dell’azienda. È un’attività nascosta alla direzione, ma molto diffusa anche se poco conosciuta e documentata: «Sono oggetti che vanno cercati in luoghi che non ci aspettiamo – dice l’artista – Non esiste una collezione. Punto a fare una mostra su questi. È un progetto a lungo termine». Quello di Tribillon è un lavoro che verrà aggiornato ogni settimana: l’installazione, composta di fogli A3, sarà modificata con nuove parti, nell’ottica di pubblicare un saggio sull’argomento entro l’estate. In mostra due teli di viscosa su cui sono stampate le “punizioni” subite e le ferite riportate a lavoro dal nonno dell’artista, manovale e “parrucchiere”. L’associazione sottolinea il violento contrasto tra le costrizioni subite dall’uno e la libertà dell’altro.

JEAN-CHARLES DE QUILLACQ, Coquillages d’oeufs, 2024. Photo Daniele Molajoli

Pierre Adrian cerca di scolpire un libro nel marmo di Carrara. Seguendo il percorso del marmo, soffermandosi sull’essenza stessa del minerale e sul suo sfruttamento da parte dell’uomo, vuole scrivere un romanzo in cui si intrecciano la storia dei luoghi, la lotta politica ed ecologica nel cuore di una montagna ferita, un paradiso diventato un inferno bianco. L’artista ha esplorato le cave, soprattutto quelle abbandonate, simbolo della massiccia estrazione degli ultimi anni. In mostra, oltre alle fotografie delle cave, è stata allestita la scrivania di Adrian, sulla quale sono posizionati il suo quaderno, gli appunti, una tazza di caffe, libri, opuscoli e così via. Diviene un emblema della sua ricerca.

In concomitanza con la mostra, Villa Medici pubblica un libro che presenta le ricerche e i progetti realizzati dai borsisti durante il loro anno di residenza a Roma, arricchito dai contributi di autori invitati a metterne il lavoro in prospettiva. 

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