Riabbracciare le dolci colline maremmane. Gaetano Pompa (Forenza, 1933 – Ansedonia 1998) è stato un artista mai convenzionale del secondo Novecento italiano: pittore, incisore e scultore di origini lucane, ha interpretato le istanze di un mezzo secolo concitato attraverso le lenti di una cultura filosofica, religiosa e letteraria in antitesi al mito del contemporaneo frenetico e asciutto. Già segnato dall’infanzia trascorsa nella culla etrusca di Tarquinia, Gaetano Pompa ha vissuto, per oltre due decenni fino alla sua scomparsa, nel placido limbo di Ansedonia, un luogo sospeso fra terra e mare.
L’atto di riconciliazione fra l’artista e la sua terra amata si deve ad Hypermaremma, associazione fondata e promossa dai galleristi Carlo Pratis, Giorgio Galotti e del collezionista e manager Matteo d’Aloja, che per l’occasione ha realizzato una mostra dedicata al maestro italiano in collaborazione con l’Archivio Gaetano Pompa, ospitati nella splendida cornice della foresta del Diaccialone, società agricola di Pescia Fiorentina (GR).
L’evento temporaneo, della durata di sole ventiquattro ore, è stato una piccola anticipazione della più lunga esposizione che si terrà nel medesimo luogo in estate.
MB:La storia, non solo artistica, di tuo padre è segnata da un lungo peregrinate: l’infanzia nella Tuscia, l’arrivo a Roma, la leva fra Orvieto e Sulmona, poi di nuovo Roma. Nella capitale avvia prima i suoi studi accademici e, dal 1957, anche la sua carriera espositiva con la Galleria L’Obelisco di Irene Brin e Gaspero Del Corso. Non pago del clima culturale romano, si trasferisce per un triennio a Monaco di Baviera, dove conosce e sposa Dorothea Leendertz. I molti viaggi che seguono il ritorno a Roma continuano a nutrire il suo animo itinerante. A cosa si deve l’inversione di rotta del 1974, anno in cui Gaetano Pompa si stabilisce ad Ansedonia per rimanere fino al 1998, anno della sua scomparsa?
AGP: In realtà Gaetano Pompa non vi si trasferì del tutto ma la elesse Ansedonia, e quindi la Maremma, a luogo di mare e di campagna per sè e la sua famiglia. Di lì in poi la Maremma acquisì per lui il valore di una vera e propria Heimat.
Abbiamo opere e documenti in archivio che testimoniano una approfondita conoscenza del territorio, come ad esempio i “poggetti di Capalbio” o per la città di Cosa ad Ansedonia, citati nelle sue opere durante tutto il percorso artistico, dai primi anni Sessanta fino alle ultimissime opere prodotte alla fine degli anni Novanta. Quindi non ci fu un’inversione di rotta, bensì una crescita di importanza della Maremma, nello spazio di vita e di ispirazione di Gaetano Pompa; d’altra parte, questi luoghi hanno avuto lo stesso ruolo non solo per tantissimi artisti, letterati, intellettuali e politici ma anche per tante altre persone.
MB: Che rapporto si instaura fra il lavoro di tuo padre e la Maremma, e come rientra nell’orizzonte internazionale di ricerca del quale il lavoro di tuo padre è totalmente intriso?
AGP: Entrambe le risposte vanno ricollegate al luogo di nascita di Gaetano Pompa, dove egli trascorre anche gli anni della guerra. In primis la Lucania ai piedi del Vulture e un paese, Forenza, che assomiglia molto a Capalbio. Il Vulture è anche uno degli ultimi luoghi ad avere un forte legame tra magia, esoterismo e cattolicesimo, probabilmente sopravvissuti come un “insieme” grazie alla commistione tra un’ambiente naturale-paesaggistico esuberante e l’isolamento dal progresso delle comunità. La Maremma, forse anche non sorprendentemente, è il punto di raccordo tra molte esperienze: la scuola senese, i Della Robbia, i Giurisdavidici dell’Amiata – il nostro monte Fuji –, il Medioevo mistico e i condottieri italiani; uno di questi era il Bochicchio che, vuole la leggenda, diede il nome alla famiglia materna di Gaetano Pompa.
In secondo luogo, la vocazione mitteleuropea che si unisce a quella mediterranea ha geograficamente origine tra la Puglia e la Lucania, a due Passi dai castelli di Lagopesole e Castel del Monte. Questi luoghi sono stati territorio di Federico II di Svevia, considerato primo rappresentante universale del mondo moderno.
Ma non basta. Il caso volle che la tragedia della Guerra mondiale e la crisi della cultura occidentale si materializzassero proprio a Forenza: quando i coniugi Pollack – noti editori e collezionisti d’Arte ebreo-tedeschi – vennero arrestati nel tentativo di fuga verso la Svizzera furono mandati al confino in Lucania. Qui vennero salvati dalle SS dalla famiglia di Gaetano Pompa, diventando poi veri e propri “parenti” della sua famiglia e trasferendosi a Roma nel dopoguerra. In una frase dell’artista, ritrovata in un ritratto di Ernst Pollack del 1964, si racchiude e si schiude il mondo (mittel)europeo dal quale Pompa attinge:
«Ritratto dell’antico amico Ernst Pollack, che conobbe Klee, Kandinsky, Korinth, il collezionista Gurlitt Wolfgang e tutti quelli della Bauhaus: e che mi ha conosciuto quando avevo circa 7 anni».
MB: La cosa che più mi colpisce del percorso artistico di Gaetano Pompa è l’integrità che ha pervaso l’approccio stilistico. I milieuche ha frequentato, così come le amicizie più illustri – da Mario Schifano, Mimmo Rotella e Tano Festa fino a Domenico Gnoli, Emilio Greco e il mondo culturale dell’Accademia Tedesca di Villa Massimo – sembrano aver arricchito un bagaglio figurativo che non ha, però, mai vacillato di fronte alle richieste di schiettezza tipiche del sistema-arte nella seconda metà del secolo Novecento. A cosa si deve questa ortodossia stilistico-tematica?
AGP: Probabilmente perché è stato un’artista “costretto” a fare ciò che gli imponeva l’opera d’arte stessa. Tutto il resto è avvenuto, anche se consciamente, all’esterno del rapporto tra lui e l’opera d’arte. Erano tutti a Piazza del Popolo, o a Monaco Schwabing o a Villa Massimo… e poi ognuno ha intrapreso il proprio percorso particolare.
MB: In occasione di questa esposizione, insieme ad Hypermaremma, l’Archivio Gaetano Pompa ha realizzato un’edizione di acqueforti direttamente proveniente dalle originali matrici del maestro le cui serie, iniziate intorno al 1972, non furono mai portate a compimento. Qual è il valore, storico ma soprattutto artistico e affettivo, di una simile operazione?
AGP: Uno dei maestri stampatori di quel vulcano che fu Roma tra gli anni Sessanta e Ottanta, Angelo Gabbanini, finita “l’eruzione” e venduto il suo armamentario, si trasferì, a fine carriera, alle spalle al Vesuvio, tra l’Irpinia ed il Sannio, a Frigento.
Quando siamo andati a trovarlo, prima che ci lasciasse, ci ha raccontato tanti aneddoti; uno di questi riguardava la – per noi – mitica serie delle incisioni/calcografie su Ezra Pound in Bianco su Bianco, che non fu finita di stampare al tempo per motivi economici. Insieme alla Litografia Bulla e Carlo Pratis abbiamo ritrovato quasi tutto: dalla carta ed il timbro originale, alle tinte e alle pressioni e siamo riusciti a concludere la tiratura.
Il valore è immenso, poiché la grafica di Gaetano Pompa rappresenta il vero e proprio “archivio nell’archivio” della sua produzione artistica. Ogni importante momento del suo dipingere o scolpire, e quindi della sua vita, è stato accompagnato da una serie grafica che ne testimoniasse l’esistenza. Questo vale anche per i bronzi girevoli esposti nel bosco del Diaccialone e dedicati a Ezra Pound. Nella serie delle incisioni Bianco su Bianco, egli fa rivivere i suoi bronzi sulla carta con una tecnica sorprendente e innovativa, non lontano da quelle utilizzate da Enrico Castellani o Günther Uecker, seppur figurativa.
MB: Esiste certamente una connessione quasi spirituale fra questo boschetto appartenente al Diaccialone e le opere di tuo padre. Se, da un lato, il luogo respira un’atmosfera mistica, dall’altro le opere toccano molti temi storico-filosofici legati al mondo onirico: da Ezra Pound alla mitologia romana, per arrivare a Giuliano l’Apostata e perfino ai culti orientali. Quale dialogo si instaura fra i lavori di Gaetano Pompa e il bosco?
AGP: Agli inizi degli anni Ottanta, Diana e Marcello Pallini gli commissionarono un quadro ed egli spese un inverno al Diaccialone per dipingerlo. Alcuni dischi di bronzo esposti nel bosco si compongono di parti di aratri recuperate dai Mazzieri, allora fattori dei Pallini. Non potrebbe esserci un legame più forte.
I personaggi di Gaetano Pompa sono in realtà parti di se stesso che egli fa rivivere attraverso di loro; oppure al contrario sono amici, anime gemelle, fatte rivivere attraverso il filtro di se stesso. È uno scacchiere in cui tutto è collegato, il rap (Rythm and Poetry) sono i Cantos di Pound, le Mutmassungen (congetture), il lavoro psicologico e fisico di Gaetano Pompa attorno ai personaggi stessi, il bosco, ma anche il campo, un luogo dove tutto ciò può accadere.