La paternità secondo Manuele Cerutti in mostra alla Collezione Maramotti

Le opere biografiche dell’artista mostrano la condizione dell’uomo di ‘’generatore di vita’’ tra sacro e sacrilego

Il tempo e le sue mutevoli forme ritornano protagonisti nella Pattern Room della Collezione Maramotti di Reggio Emilia, con l’ultima mostra Quem genuit adoravit dell’artista Manuele Cerutti, inaugurata il 10 marzo ed in corso fino al 28 luglio. Il corpus di dipinti su tela e opere su carta dell’artista torinese ripercorre gli ultimi anni di lavoro e la sua ricerca grafica sul rapporto tra identità, ruolo e funzione. Il concept dell’intera mostra nasce da un incontro, quello di Cerutti ed il dipinto della Madonna di Ghiara, sotto il quale è incisa la frase che da il titolo alla mostra: “quem genuit adoravit”, tradotto in “adorò colui che generò”. L’ambiguità insita nella frase ha portato l’artista a chiedersi: “chi è l’adorante e chi l’adorato?” Domandandosi da dove provenisse la distinzione dei due ruoli. La risposta che dà Cerutti è da rintracciare nelle vicende biografiche personali, la sopraggiunta paternità e il suo rapporto con la vita.

L’intero corpo espositivo è un dialogo interiore tra l’uomo che era e l’uomo che è diventato dopo la nascita del figlio, in un progetto narrativo dai molteplici riferimenti culturali che spaziano dalle icone sacre degli antichi greci ad alcuni testi umanisti. Le opere in esposizione ritraggono oggetti quotidiani usurati a rappresentare il passaggio del tempo, ma sopratutto esseri mutanti dalle sembianze umane nelle quali si incontrano le prime due età dell’uomo: quella fanciullesca e quella adulta. La mostruosità della figura umana in Cerutti è dovuta all’eccezionalità degli eventi della vita, che lui stesso definisce come “autonomi”, dove il protagonista è l’uomo e la sua condizione.

Una delle opere simbolo della mostra si intitola Emergenza (movimento prima) e raffigura un uomo sulla cui gamba vi si trova un fanciullo con le sembianze del figlio dell’artista, che nasce da una ferita. Una ferita dall’origine sconosciuta ma da dove germina misteriosamente la vita, proprio come espresso dalla pratica botanica della margotta, alla quale fa riferimento l’artista in diverse opere rappresentando un velo di plastica nero. «Il mio protagonista non sta cercando a tutti i costi una nascita, la sua ferita è il simbolo della fragilità umana ma al contempo della possibilità dell’uomo di mutare forma e ruolo», spiega Manuele Cerutti che attribuisce alla nascita del figlio la svolta nella sua vita e nella sua ricerca artistica.

«Fare il padre a tempo pieno è diventato tema di studio, ho cominciato a disegnare e ho capito che il progetto aveva preso forma già da tempo. Il soggetto di questa narrazione vive in solitudine e arriva a questa genesi quasi a sua insaputa, mettendo in atto i suoi saperi. Il mio vissuto si nasconde dietro, e non è che il principio di una narrazione allegorica che spiega la nascita della vita ed il suo mutare in un tempo proprio». Uno storytelling autobiografico che però vuole fare della propria esperienza uno spunto di riflessione per il pubblico, che diviene spettatore adorante, proprio come in origine l’artista in visita alla Madonna di Ghiera. In aggiunta al progetto espositivo vi è uno editoriale, che vede la pubblicazione di un libro con contribuito del sociologo Gian Antonio Gilli, dello scrittore Valerio Magrelli, e della curatrice e conservatrice della GAM-Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino Elena Volpato.

Manuele Cerutti, Quem genuit adoravit
fino al 28 luglio
Collezione Maramotti – via Fratelli Cervi 66, Reggio Emilia
info: www.collezionemaramotti.org

Articoli correlati