Arte Fiera? Bene ma non benissimo. Un bilancio a conclusione della rassegna bolognese

Una buona risposta da parte del pubblico, ma anche alcune esitazioni dal lato di un collezionismo per lo più nostrano, caratterizzano l’ultima edizione della fiera bolognese

Anche l’ultima edizione di Arte Fiera è giunta al suo epilogo. Un’edizione speciale, quella del cinquantennio, alle prese con la non facile esigenza – duplice – di unione tra proposte più attuali e l’orgoglio del primato storico. Al di là del lavoro d’archivio su quei settanta Mitici, anni di fervore incredibile e animati dal dinamismo di figure come Renato Barilli, Francesca Alinovi e Roberto Daolio – e rievocati in due approfondimenti tematici (uno stand, come anticipato, è stato dedicato alla descrizione delle prime cinque edizioni della fiera, un altro alle performance eseguite nel ’76) – l’obiettivo della rassegna bolognese, che per il secondo anno consecutivo ha voluto al timone l’accoppiata Simone Menegoi – Enea Righi, era innanzitutto quello di riconfermare gli elevati standard qualitativi raggiunti nella tappa precedente.

Per mantenere l’asticella su livelli molto alti, la Fiera ha essenzialmente fatto tesoro del precedente storico: dall’approntamento di strategie comunicative e promozionali mirate a una corretta, ampia e diversificata diffusione pubblicitaria, fino a una meticolosa attenzione nei riguardi dell’esperienza di visita – decisamente vincente è risultata, tra le altre cose, la scelta di valorizzare le eccellenze enogastronomiche del territorio – l’evento ha fatto registrare un buon successo tra il pubblico generalista, quello delle famiglie e dei gruppi di curiosi che hanno affollato i due padiglioni per tutta la durata del weekend. 

Leggermente diversa, e variegata, la percezione lato espositori: se da un lato anche gli oltre 170 spazi espositivi coinvolti hanno notato un generale incremento di pubblico rispetto, ad esempio, all’edizione del 2022 – un annus horribilis già opportunamente archiviato – dall’altro, spostando il focus sulla platea dei collezionisti, alcuni di loro hanno parlato di collezionismo a trazione nostrana. Nonostante la rassegna cittadina abbia sempre parlato prevalentemente italiano, con ogni probabilità la geografia ristretta dei compratori deve la sua ragion d’essere anche a moventi esterni, come per esempio la sovrapposizione con Art Rotterdam (1-4 febbraio).

La situazione, poi, ovviamente è diversa se si tiene in considerazione la profonda distanza tra l’offerta dei singoli padiglioni: se, pur con i dovuti distinguo, nel Padiglione 25 – quello tradizionalmente dedicato a un’offerta più attuale – l’atmosfera era quella di un generale ottimismo, un po’ meno entusiasmante è stata la risposta commerciale nell’ala riservata al moderno. Il Padiglione 25, che ospita prevalentemente lavori di artisti giovani, anche se affermati, è destinato ad un delta di compratori decisamente più ampio, e la logica delle trattative ne risulta ovviamente facilitata rispetto a un contesto, come quello del moderno, in cui la formalizzazione di una vendita segue un iter diverso e soprattutto si accompagna a contrattazioni di ben altro ordine economico, a rapporti prolungati e a chiusure ufficializzate nei giorni o nelle settimane seguenti. 

Al di fuori di comprensibili esitazioni da parte della fascia più alta degli acquirenti, il weekend bolognese è stato, come sempre, anche un weekend di premi e riconoscimenti. Il PREMIO ANGAMC, assegnato ogni anno come “riconoscimento alla storia e all’attività di un gallerista affiliato all’Associazione Nazionale Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea che, nel corso della sua carriera, abbia dimostrato un significativo impegno nel ruolo, ottenendo riscontri dal punto di vista artistico, umano e commerciale”, è stato vinto, per il 2023, dalla gallerista partenopea Lia Rumma. Stefania Galegati, presentata da Francesco Pantaleone Arte Contemporanea, e al suo lavoro The Island #49, parte del suo solo show dedicato all’Isola delle Femmine (The Island Project), va invece il primo Premio BPER: un progetto ambizioso, riconosciuto dalla giuria in quanto in grado di unire pratica artistica e azione collettiva.

Anche Sabrina Mezzaqui, vincitrice del Premio Collezione Righi, ha omaggiato la sua città d’origine, Bologna, con le trecento cartoline del ’98: Punti di vista (Bologna), opera esposta dalla Galleria Massimo Minimi, si è aggiudicata il premio proprio in virtù del suo rapporto intimo con il capoluogo emiliano. Formalmente affini, poi, le opere vincitrici del Premio Colophonarte e del neonato Premio Marval Collection: tanto Zerha Dogan (Prometeo Gallery) quanto Guilherme Almeida (Ribot Gallery) hanno infatti proposto delle sovrapposizioni grafiche su ritagli di giornale. Dogan, artista e giornalista curda, con il suo Untitled ha unito la lotta politica alla rivendicazione femminile, mescolando sul supporto tracce di sangue mestruale a interventi a penna.

Almeida, brasiliano, ha invece privato, pur in via parziale, alcune icone della cultura brasiliana (le gemelle Tasha e Tracie, il cantante Jorge Aragao) delle loro fattezze precise, dotandoli di un sorriso dorato legato indissolubilmente a un passato complesso, una storia di colonialismo e schiavitù. Il primo Premio Officina Arte Ducati è stato vinto, invece, dall’Ossicodone 2 di Alberto Tadiello (Galleria Umberto di Marino): “L’opera di Alberto Tadiello – recita il comunicato sul sito ufficiale della fiera – è in profonda connessione con il DNA di Ducati perché sintetizza l’idea di velocità, bellezza anche attraverso la rappresentazione del suono che incarna, con grande perizia tecnica e un’organizzata articolazione dell’intera superficie”. Il lavoro minimale di Claudio Coltorti, esposto dalla Galleria Acappella, e centrato sulla relazione tra solitudine e tecnologia, è stato invece selezionato per la prossimità con l’intimismo del mondo di Osvaldo Licini (Premio Osvaldo Licini by Fainplast). 

La raccolta dei premi continua poi con l’eleganza essenziale di Galleria Zero…, che porta a casa il Premio Rotary, e con il Premio Rotaract e il Premio Andrea Sapone, vinto da Beautiful things fading away, installazione cinetica di Daniele Di Girolamo (Traffic). Gli ultimi due riconoscimenti – il Premio Spada Partners e il Premio The Collectors.chain by Art Defender – sono stati assegnati, rispettivamente, a Ruth Beraha (Ncontemporary), che con gli otto occhi in ceramica di Visionarie ha portato alla luce il ruolo subalterno storicamente assegnato alla donna, definita in quanto oggetto e mai soggetto dello sguardo, e a Milli Gandini (MLB Maria Livia Brunelli), che grazie agli scatti della serie fotografica La mamma è uscita, realizzata nel 1975 e anch’essa rivolta a rivendicazioni femministe, ha saputo far collidere esigenze documentarie, indipendenza creativa e potenzialità politiche: “Le sue opere – viene scritto sul comunicato – segnano una tappa fondamentale dell’arte e della storia della seconda metà del Novecento, vale a dire l’utilizzo della fotografia come strumento di una battaglia, e di una presa di coscienza, che investe il ruolo della donna nella società, in una chiave esplicitamente femminista”. 

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