Verso Arte Fiera 2024, intervista a Simone Menegoi: «Squadra che vince non si cambia»

Tra storia e innovazione, la kermesse bolognese festeggia i cinquant'anni dalla prima edizione. A raccontare il prossimo appuntamento è Simone Menegoi, direttore artistico di Arte Fiera dal 2019

A cinquant’anni dalla prima edizione, Arte Fiera torna dal 2 al 4 febbraio con uno sguardo rivolto alla propria storia. Ma la kermesse bolognese, che ha anticipato di molto le altre fiere nazionali, da Artissima (1994) a miart (1995), continua a proiettarsi nel futuro, anche in un’edizione che richiede un bilancio. Primo complice dello slancio degli ultimi anni, Simone Menegoi, critico d’arte e curatore alla direzione artistica di Arte Fiera dal 2019, che ha raccontato in una conversazione i tratti principali dell’edizione in arrivo, dal radicamento nel territorio alla valorizzazione del collezionismo straniero, dalle mostre celebrative dei primi anni della fiera – gli anni settanta bolognesi – al nuovo spazio riservato alla performance.

Quest’anno Arte Fiera raggiunge un traguardo importante. Quali sono i punti di forza che hanno reso la fiera così longeva?
«Il fattore propulsivo fondamentale è stato il fatto di essere la prima (e, per molti anni, l’unica) fiera di arte moderna e contemporanea in Italia, e addirittura una fra le prime in Europa. L’audacia, da parte dell’ente fieristico bolognese, di proporre in Italia la formula della “mostra-mercato”, allora relativamente nuova, diede quasi immediatamente alla kermesse una visibilità internazionale. L’edizione pilota del 1974, ospitata all’interno di quella che si chiamava “Fiera Campionaria”, contava appena 10 gallerie, la maggior parte di Bologna; due anni dopo, nel 1976, gli espositori erano quasi 300, e fra loro c’erano eccellenti gallerie inglesi, francesi, tedesche, americane, messicane… Fu un successo straordinario.

L’altra carta vincente della manifestazione è stata la dimensione culturale, presente fin dal principio e mai venuta meno: dalla fondamentale Settimana Internazionale della Performance del 1977 alla collaborazione fra Bill Viola e Arvo Pärt andata in scena all’ex Chiesa di Santa Lucia nel 2010, dalla proiezione di River of Fundament di Matthew Barney del 2016 alle edizioni di Art City che si sono succedute negli ultimi anni, Arte Fiera è sempre stata accompagnata da eventi collaterali di rilievo internazionale. Infine, vorrei citare un terzo fattore di successo, non meno importante: il carattere divulgativo, quasi didattico di Arte Fiera, che la rende tuttora molto amata dal grande pubblico che vuole accostarsi all’arte contemporanea».

Sono previsti eventi celebrativi per il vostro cinquantesimo anniversario?
«Invece di cercare di coprire a tutti i costi mezzo secolo di storia abbiamo preferito concentrarci sulle origini della fiera, sulle sue prime, pionieristiche edizioni. Proponiamo due piccole, sofisticate mostre di studio che riveleranno aspetti inediti perfino ai più preparati, e che celebrano, ognuna a suo modo, il ruolo fondamentale delle gallerie nella nascita e nell’affermazione della fiera. La prima mostra, realizzata in collaborazione con ANGAMC, è dedicata al catalogo dell’edizione pilota di Arte Fiera e, a partire da quel quaderno con la rilegatura a spirale, allo sviluppo della fiera dal ’74 al ’79 (Numero zero. Il primo catalogo di Arte Fiera, a cura di Clarissa Ricci). La seconda mostra, frutto di una partnership con il MAMbo, esplora invece lo spettacolare programma di performance che animò l’edizione del 1976 grazie all’iniziativa di un pugno di espositori lungimiranti. (“Praticamente nulla da vendere”. La performance ad Arte Fiera nel 1976, a cura di Uliana Zanetti).

Si lega in qualche modo a queste origini, al clima della Bologna anni Settanta, anche la prossima edizione di Opus Novum, la commissione di un’opera inedita a un artista italiano affermato. L’artista che ne è protagonista, Luisa Lambri, ha scelto infatti di lavorare su due edifici che sono fra i simboli dell’architettura a Bologna in quella stagione: la Chiesa di Santa Maria Assunta di Alvar Aalto a Riola di Vergato (1978) e il Padiglione de L’Esprit Nouveau (1977), replica conforme di un’architettura effimera di Le Corbusier degli anni Venti».

L’edizione 2024 riserverà molto spazio alla performance. Qual è la visione che unisce iniziative come la mostra a cura di Uliana Zanetti e l’intervento dell’artista Daniela Ortiz per la collaborazione, ormai stabile, con Fondazione Furla?
«La mostra curata da Uliana Zanetti dimostra in modo inconfutabile che la performance era di casa ad Arte Fiera fin dalle origini; l’esplosione della performance nell’edizione del 1976 precede (e prepara) la Settimana Internazionale della Performance e consacra Arte Fiera come luogo di sperimentazione per le azioni artistiche dal vivo. Un ruolo che la fiera non ha mai cessato di avere, e che risorge ciclicamente: dove, se non nei padiglioni di Arte Fiera, installò il suo Stand abusivo (1991) il giovane Maurizio Cattelan, che nel 2024 sarà di nuovo presente a Bologna con un progetto speciale realizzato da Mutina? Da parte mia, fin dalla primissima edizione come direttore artistico ho cercato di riannodare il filo di questa storia attraverso un programma di performance in fiera incisivo e ambizioso, prima attraverso la collaborazione con Silvia Fanti / Xing, ora grazie alla partnership con Fondazione Furla e la sua Direttrice artistica, Bruna Roccasalva».    

La sezione Multipli quest’anno è a cura di Alberto Salvadori. Quali saranno le novità?
«Rispetto all’edizione d’esordio, Salvadori ha equilibrato la presenza del libro d’artista con quella di altre forme di arte moltiplicata: la grafica, l’oggetto in edizione, il design d’autore, eccetera, offrendo una panoramica del concetto di “multiplo”. Anche in questo caso, stiamo riannodando un filo che ci collega alle origini della fiera: nelle prime edizioni, la grafica e le opere moltiplicate erano largamente presenti, nella prospettiva – secondo me, tuttora valida – di incoraggiare una forma di collezionismo democratico e diffuso».  

Arte Fiera vanta un rapporto stretto con il territorio e con la città di Bologna. Come si esprimerà questa vocazione nell’edizione 2024?
«Questi anni hanno visto crescere l’intesa e la collaborazione fra Arte Fiera e il MAMbo, il cui direttore, Lorenzo Balbi, è anche il curatore di Art City, il programma di eventi in città durante Arte Fiera. Fra i risultati di questa collaborazione, vorrei ricordare la creazione del Trust per l’Arte Contemporanea, uno dei cui compiti è quello di ampliare le collezioni del MAMbo attraverso degli acquisti mirati ad Arte Fiera, e la collaborazione istituzionale fra la fiera e il museo che ha permesso a Uliana Zanetti, curatrice delle collezioni del MAMbo, di realizzare “Praticamente nulla da vendere”, la mostra sulla performance ad Arte Fiera nel 1976; un lavoro che va ad ampliare la meritoria indagine del museo sulla storia della performance a Bologna. Ma forse il risultato più evidente del rapporto fra la fiera, il sistema museale e la città in questi anni è la costruzione di un’Art Week bolognese a cui tutte le istituzioni per l’arte contemporanea in città partecipano, e in cui tutte trovano il loro momento di visibilità».

L’approccio curatoriale, la novità della sezione Multipli e la figura di Enea Righi come Managing Director della fiera sono stati la chiave, lo scorso anno, per un bilancio finale positivo. La previsione è che lo saranno anche per la prossima edizione o metterete in campo nuove strategie di mercato?
«Aggiungerei almeno un altro fattore che ha reso positivo il bilancio del 2023: il rilancio della fiera presso il collezionismo straniero grazie all’ingaggio di figure specializzate, puntando sull’italianità della manifestazione come elemento positivo, qualificante e tipico. I risultati della strategia sono stati incoraggianti, sicché per il 2024 abbiamo moltiplicato gli sforzi in questa direzione. E lo stesso vale per gli altri aspetti citati: squadra che vince non si cambia, semmai si rafforza».

Arte Fiera
dal 2 al 4 febbraio 2024
info: artefiera.it

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