Il posto era magnifico, ma il tipo non sembrava tanto simpatico, un po’ scontroso. Camminavamo tra viali di ghiaia e alberi. Ad un certo punto apparve un’opera, come un’epifania, lì, tra il verde e il cielo di quella bella giornata. E lui si accese. Cambiò completamente volto e sguardo. Cominciò a parlare di quell’opera, con passione e intelligenza.
Lui era Giuliano Gori, e quella era la mia prima visita in quel posto di rara bellezza che è la Fattoria di Celle, una villa settecentesca con un vastissimo parco che Giuliano Gori in quasi quarant’anni ha seminato, arricchito di opere straordinarie che sono diventate punto di riferimento per chiunque voglia occuparsi di Arte Ambientale e di Land Art.
E quella fu anche la prima volta che cominciai a capire che cosa vuol dire essere collezionisti. La normalità, a volte addirittura l’indifferenza per le cose di tutti i giorni, e poi la scintilla, il fuoco, quasi un fuoco sacro, che si accende al cospetto dell’arte.
Da allora, inizio anni ‘90, nonostante la differenza d’età, io e Giuliano a poco a poco siamo diventati amici. Penso che prima lui mi abbia un po’studiato, per capire chi ero, se si poteva fidare di me e poi mi ha accolto, facendomi partecipe della sua incredibile storia – molti conoscono la vita e le imprese del grande collezionista, ma una parte forse altrettanto affascinante è costituita dalla vita e dalle imprese del grande imprenditore – e introducendomi alla sua vasta famiglia: una genia di belle persone, arrivata oggi alla terza generazione di collezionisti, editori, artisti e studiosi d’arte alla quale sono molto legata.
Ho imparato molto da Giuliano, molte cose che poi si sono rivelate importanti per la mia vita professionale. A cominciare da quella sua frase, che oggi, nel momento in cui è mancato, viene ripetuta tante volte senza però svuotarla di significato: “I diritti dell’arte finiscono dove cominciano quelle della natura”.
Sì, così si può riassumere l’installazione site specific: prima il luogo, che l’artista deve capire, interpretare, rispettare e poi la sua opera, che non deve mai confliggere con quel luogo, tanto meno sovrapporsi, ma che anzi deve apparire come una diretta, quasi necessaria, continuazione di quello spazio naturale. Della sua morfologia e della sua vita.
Forse neanche nella inarrivabile Fattoria di Celle le cose sono andate sempre come voleva il committente, ma questa era l’impostazione, la legge alla quale l’artista doveva attenersi. E non sto qui a dire chi sia più riuscito tra Robert Morris, Beverly Pepper, Mauro Staccioli, Sol Lewitt, Magdalena Abakanovic o Daniel Buren. Tutti giganti ai quali se ne aggiungono altri e altri ancora. L’impresa rimane unica. E la bellezza è fatta di tutte le opere che si incontrano in quello stupefacente parco romantico contemporaneo. E dietro a tutto questo c’era Giuliano.
Che sarebbe facile immaginare presuntuoso – il fantastico mondo dell’arte ne abbonda – e quasi inavvicinabile. Poteva anche permetterselo uno che aveva creato un museo all’aperto che conta oggi circa 80 installazioni di Arte Ambientale dove per visitarlo arrivano da tutto il mondo, compresa la regina Beatrice di Olanda. A proposito: altra cosa che ho imparato sul campo, a Celle, è la distinzione tra Arte Ambientale, definizione pertinente per l’arte all’aperto che si realizza in Italia, in Europa, dove l’ambiente è radicalmente antropizzato e l’intervento artistico si conforma ad esso, e Land Art, rintracciabile negli Stati Uniti, dove la terra, la Land abbonda nella sua ancora, spesso, verginità. A Celle, forse, i veri esempi di Land Art sono quelli di Richard Serra e Dani Karavan. Ma Giuliano era tutt’altro. Semplice e generoso.
Molti anni fa, in quella che fu la mia prima partecipazione a una fiera, una piccola fiera che si svolse a Roma nel 2008, lo invitai a un talk e lui venne, disponibile, anche per una cosa tanto minore rispetto alla sua storia. Lo ritrovai, pochi anni dopo, tra il pubblico alla presentazione a Firenze del mio primo libro, che poi mi invitò a presentare a Celle, felice per la riuscita dell’evento per il quale aveva organizzato anche una piccola festa. E, in un momento particolarmente difficile della mia vita, mi fu accanto, con discrezione e molta, molta attenzione.
Quel tipo che mi era sembrato scontroso molti anni prima, si era rivelato una persona molto sensibile. E acuta. Poco prima della pandemia mi arrivò un libro con un suo testo dove metteva a confronto Piero della Francesca, Fontana e Burri. Tema: la visione e l’emozionante intuizione del taglio.
Ma Giuliano è stato generoso, cosa piuttosto rara, anche verso un altro grande collezionista: Giuseppe Panza di Biumo, spendendosi per concludere un accordo con la Regione Toscana per ospitare la sua ingente collezione in una residenza medicea. Ma la cosa andò in fumo e, come è noto, il meglio della Collezione Panza sta tra Los Angeles e New York. E poi c’è la sua ultima passione: la poesia. Per la quale ha ideato un premio che ogni due anni va a un poeta che, come gli artisti, vive per un tempo a Celle, ne respira l’aria, il profumo del bello. E poi compone.
L’unico vero rimpianto è che non ha mai accettato una proposta che gli ho fatto diverse volte: “Giuliano, ma tutte queste storie che ci racconti, ma perché non le vuoi raccogliere in un documentario, in un libro fatto solo delle tue storie con gli artisti. Ne hai conosciuti tanti, ci hai passato giorni, settimane insieme, perché non farlo?”. Niente, su questo, chissà perché, non ha mai mollato. Spero che i figli, in particolare Paolo, che è editore, siano riusciti a raccogliere questo preziosissimo materiale.
“Vienimi a trovare a Celle, con un po’ di calma. Ti aspetto”. L’ultima volta che sono andata a trovarlo è stata poco più di un anno fa, insieme al figlio Fabio, che tanto gli somiglia. Pranzammo, chiacchierammo, quel giorno mi raccontò soprattutto le incredibili gesta dell’imprenditore: i colpi di fortuna e i colpi di azzardo, una vita rocambolesca iniziata quasi dal nulla insieme alla inseparabile moglie Pina. Poi, alla fine, gli chiesi io un favore: “Fammi rivedere la collezione al chiuso”. Indicò le chiavi a Fabio e andammo. Per ovvie ragioni, non sto a dire qui quello che rividi, dopo una prima visita quasi trent’anni prima. Dico solo che fu fantastico riscoprire la bellezza dei saloni, rivedere le stanze monografiche degli artisti: de Maria, Paladino, Pistoletto e altri e poi entrare nelle stanze da letto, un tempo abitate da quella grande famiglia e oggi solo da opere, opere su opere e ricordi.
Grazie Giuliano di tutto. Che la terra ti sia lieve.