C’è fermento nella scena londinese, nonostante la Brexit

A pochi giorni dalla chiusura di Frieze, un bilancio della scena londinese tra gallerie e istituzioni pubbliche e private

È vero che la Brexit ha cambiato un po’ di cose, soprattutto rendendo più complicato lavorare in UK, se non sei britannico. Ma Londra è sempre swinging!

Nella settimana di Frieze (la fiera ha aperto mercoledì 11 per i collezionisti e ha chiuso domenica 15) e della fiera sorella Frieze masters (stesse date) musei e gallerie hanno dato il meglio di loro. Come sempre, del resto. Come si usa fare in una grande città che ospita una fiera importante, che diventa l’occasione per fare rete tra Istituzioni pubbliche e realtà private.

Sul podio è meritevolmente salita la Tate, nelle sue due articolazioni Tate Modern e Tate Britain. Cominciamo da quest’ultima. La mostra di Sarah Lucas mette a fuoco ancora una volta le raffinate intuizioni trash di questa cattiva ragazza. Che dopo circa 30 anni replica in bronzo alcuni dei suoi pezzi più celebri (personalmente continuo a preferire quelli degli inizi fatti con calze e objet trouvé).

Ma al di là delle singole opere, tutte riuscite se si apprezza il gusto sporco e lo sguardo dissacrante di Lucas, quello che fa di questa mostra un’offerta molto riuscita è l’allestimento (impeccabile), la scelta delle tante opere presenti e quindi il fatto che un’istituzione storica come la Tate Britain riservi un tale spazio, una tale cura a un’artista vivente. Da noi capita raramente.

Sempre alla Britain si ammira un intenso wall painting di Chris Ofili dedicato alle vittime dell’incendio che nel 2017 mandò in fiamme la Grenfell Tower, dove, tra gli altri, morì anche la sua amica nonché artista Khadjia Saye (presente anche nella collettiva sulla fotografia contemporanea africana di scena alla Tate Modern). E non basta. Material as message è una bella mostra con sei grandi interventi di altrettanti artisti che invita a riflettere sull’importanza dei materiali che invitano a guardare, ascoltare, riflettere.

Sul Southbank, dove si erge la Tate Modern, si può scoprire Yayoi Kusama, e non tanto immergendosi nei suoi infinity mirrors (ne sono stati ricostruiti due) soprattutto osservando le tante foto degli anni ’60 e ’70, quando lei arriva a New York, si scrolla di dosso la pesantezza censoria della famiglia e del Giappone e comincia a dipingere con i suoi dots decine di corpi nudi che, complici i tempi liberati e le droghe, si mischiano in happening e orge.

Ma c’è un’altra mostra che merita una menzione. Performer and participant mette in luce la coerenza e la caparbietà di alcuni artisti in condizioni avverse: la chiusura della galleria di appartenenza, il lockdown e quindi il digiuno espositivo, il mercato che gli volta le spalle e altri seri problemi. Ma, tra anni ’60 e i ’90, i nove artisti in mostra aprono nuovi spazi per condividere esperienze e soluzioni. È una mostra preziosa che fa riflettere come non sempre le collettive riescono a fare.

Oltre A world in common: Contemporary African photography, che propone alcuni artisti ancora poco noti, sono tante le iniziative, sia alla Tate che alla Britain, che mettono al centro artisti neri e problematiche di genere (tra altre: Women in revolt!: Art and activism in UK from 1970 to 1990 alla Tate Britain, museo che a primavera 2024 dedicherà una personale a Yoko Ono e una mostra alle artiste britanniche), e qui emerge il senso di colpa (che con queste azioni venga finalmente elaborato?) di un Paese che si è abbondantemente arricchito grazie allo sfruttamento del suo impero coloniale. Il risarcimento verso l’arte delle donne ignorata, se non addirittura osteggiata, riguarda invece tutti I Paesi. Eppure è impossibile non percepire un che di effetto moda e di maniera.

Ciò detto, il nostro tour per mostre e musei londinesi continua segnalando la seducente mostra di Hiroshi Sugimoto alla Hayward Gallery, Re/Sisters. A lens on gender and ecology al Barbican Center, la magia di Coco Chanel al V&A museum. E ovviamente standing ovation per Marina Abramovic, prima donna a conquistare la scena della Royal Academy of Arts.