«A me bastava che i dadi toccassero terra, anche per pochi secondi. Poi, come quasi in tutti i blitz, sarebbe arrivata la polizia, mi avrebbero fermato. Per giunta eravamo a piazza del Quirinale, a pochi metri dalla presidenza della Repubblica, e quindi lo stop era molto prevedibile».
Due grandi dadi toccarono effettivamente terra, rotolarono qualche secondo sotto lo sguardo che Castore e Polluce rivolgono con indifferenza verso il destino di Roma, in quel momento un pessimo destino, non di Roma ma dell’Italia tutta, per via dello stallo politico all’indomani delle elezioni del 2013. Subito dopo arrivò un corpulento carabiniere dall’aspetto bonario che, chissà, quasi quasi si divertiva con quella storia di dadi, di affidarsi alla sorte, alla Madonna, a qualunque cosa pur di uscire da quella patetica impasse dove eravamo finiti. E il blitz di Iginio De Luca ebbe fine. Titolo: ca Maronn c’accumpgn. Anno 2013.
Dieci anni dopo, oggi, 2023, quel blitz prende di nuovo vita, ma in una forma diversa e inconsueta. Diventa un quadro, un grande quadro dipinto con meticolosa attenzione ai dettagli, senza tradirne nessuno. Per cui il carabiniere mantiene la sua aria bonaria mentre intima all’artista di finirla con quell’irriverente auspicio, l’artista continua ad indossare quel curioso grembiule bianco, mentre altri due componenti della squadra rimuovono (in realtà continuando a far rotolare) uno dei due dadi, in lontananza si intravedono altri due carabinieri e, osservando bene la scena, notiamo che le finestre del Quirinale sono chiuse con degli scuri (almeno quelle del primo piano), che il cielo di Roma non splende come a volte riesce a stupire e che, guarda caso, i sanpietrini a terra sono perfettamente allineati, senza neanche uno un po’ storto, sollevato o divelto.
Tutto questo lo apprendiamo dal quadro che ora viene presentato alla galleria Blocco 13 di Roma e che Iginio De Luca ha dipinto, fermando quella scena in un tempo diverso, quale è il tempo lungo, paziente della pittura.
E qui si apre un nuovo capitolo della storia dell’artista, conosciuto per lo più per i suoi blitz, per quelle azioni dal morso situazionista, consumate nell’unità di tempo, luogo e azione, vivificate da quei sottili ma decisivi e spesso irresistibili, slittamenti linguistici, per cui Forza Italia, in una manifestazione di Forzisti, diventa paradossalmente Farsa Italia, con tanto di bandiere mischiate nel corteo, o, più in sordina, la lapide che annuncia Villa Sciarra, si trasforma in Villa Sciatta – memento e metafora di tanti altri insigni, e degradati, luoghi romani – e così via politicamente criticando a suon di ficcanti detournement.
Ma, come lui stesso racconta, Iginio De Luca ha sempre dipinto, pur con «un pudore eccessivo verso la pittura», andando e tornando sulla stessa composizione infinte volte – come si conviene al work in progress, non infiammato dall’istinto gestuale, della pittura – ma non l’ha quasi mai esposta.
«Ho impiegato dieci anni a fare questo quadro, mi piace che sia un ponte tra il blitz del 2013 e il lavoro statico, contemplativo, quasi accademico di oggi. Io nasco figurativo, la mia natura è pittorica e ho un desiderio di pittura molto intenso, perché la pittura ha una profondità enorme mentre la foto è piatta e anche nei miei blitz c’è una figurazione molto forte, un’attenzione ai colori, ma non ho mai mostrato questo lato del mio lavoro. Quindi, in un certo senso questo quadro diventa un blitz con me stesso», racconta De Luca.
Per un artista che ha agito la critica politica con azioni rapide e aggressive, tornare su un’opera del passato con un linguaggio tradizionale, qual è quello della pittura, significa rivedere il proprio lavoro, sfidandolo con una tecnica nuova. Ma, in un certo senso, significa anche rivedere se stessi. Interrogarsi rispetto a quello che si era e confrontarsi con quello che si è oggi.
Sfidarsi quindi, non conoscendone, forse, tutte le conseguenze. Ma senza rinunciare alla cifra più distintiva del suo lavoro. «La critica politica è sempre drammaticamente attuale, nel mio caso fare pittura non denota una scelta estetica, ma diventa un fare politico perché le motivazioni del blitz di allora rimangono attuali. La pittura si contamina, ribadisce che la politica è impotente a gestire i problemi reali delle persone e io denuncio questa realtà con questo quadro. Fermare il tempo, far durare dieci anni quella manciata di secondi, per me significa confermare, in altro modo, la mia posizione di dieci anni fa», afferma De Luca. Che aggiunge: «Ho scelto proprio quel blitz perché non aveva nessun rapporto con la pittura. Presentare oggi solo questo lavoro, con il quale il pubblico dovrà confrontarsi, significa anche riattivare quel blitz. Mi piace pensare che tutto si può trasformare».
Fermiamoci un istante su questa operazione che, a mio parere, non è solo il reenactment di un lavoro precedente, dove la pittura esprime in maniera più poetica la protesta civile di Iginio De Luca. Il quadro che ripropone il blitz ca Maronn c’accumpgn ci mette di fronte a qualcosa che c’è (o che c’è stato, ma il tempo è ininfluente: i dadi che hanno toccato terra per un istante) e a qualcosa che non c’è – il resto del blitz, il prima e il dopo di quel momento specifico, che è semplicemente evocato e che noi, pubblico, siamo chiamati ad immaginare. Anche l’auspicio si colloca su questo crinale: si evoca e s’invoca il futuro, qualcosa che dovrebbe avvenire. Lo sguardo, quindi, è a qualcosa che non c’è.
A ben vedere, tutto il lavoro di Iginio De Luca, pur così apparentemente esplicito, dichiarato, così manifesto anche in virtù della sua valenza politica, si compone sempre di una parte espressa, visibile e di una parte che rimane celata, che è solo evocata. Così è nel suo penultimo lavoro, Tevere Expo, dove De Luca ha fotografato gli oggetti che il Tevere lascia riaffiorare, facendoci immaginare un mondo che rimane nascosto, ma che esiste nella profondità melmosa del fiume. Così è stato per i “gommoni” che Silvio ci ha rotto, per la proiezione Lavami sulla cupola di San Pietro, di cui riconosciamo la grafia delle scritte Lavami (che non vediamo) sulle macchine impolverate.
Alcune volte la parte mancante è addirittura la più importante. Quando De Luca afferma che gli “bastava che i dadi toccassero terra”, ci suggerisce che tutta l’azione, l’intero blitz con il quale l’artista si sarebbe appropriato, anche per un solo istante, di un luogo altamente istituzionale e sorvegliatissimo (vero reenactment situazionista!) era la parte più importante del lavoro, che non avremmo mai visto, ma che possiamo immaginare.
Da questo punto di vista, direi che il lavoro di Iginio De Luca sia da sempre molto poetico, in quanto invito all’immaginazione, a completare la sua opera, ad accompagnare il gesto dell’artista.
Facendo diventare anche noi, non solo complici, ma un po’ situazionisti. almeno con la fantasia.