Da Andrea Festa And the night flowers open è una collettiva dedicata ai paesaggi interiori, al mistero delle accensioni fluorescenti, alle creature notturne che, ululando in venerazione estatica, fanno tremare il chiarore lunare.
La selezione è eterogenea per provenienza, nonostante tutti gli artisti coinvolti condividano un contesto di crescita legato alla sfera culturale occidentale e siano nati orientativamente tra gli anni ottanta e novanta. Le loro opere pittoriche scivolano in un andirivieni tra figurazione e astrazione.

GLI ARTISTI
Silvia Giordani (nata in provincia di Vicenza nel 1992 e di base a Venezia) ci spiega il suo processo pittorico: “Pongo delle vasche ai bordi della tela sulla quale creo strati di colore – che rievocano la stratificazione geologica -. Poi, verso sulla superficie dell’acqua, facendola trasbordare o veicolandola verso le vasche laterali, cosicché parte del colore venga eroso. Mi interessa che qualcosa rimanga e qualcosa venga spazzato via, anche il lato tattile mi affascina. Tendo a dare una definizione più di luogo che di paesaggio: un luogo mentale, digitale. Mi interrogo su come l’azione umana modifichi ciò che ci circonda e crei ambiguità con la dimensione artificiale, tendendo verso una mescolanza di ciò che è reale con ciò che non lo è. I titoli stessi delle mie opere si rifanno a libri fantascientifici, ad autori come Philipp Dick o Stanisław Lem che, in Solaris, ci trasporta in un universo in cui un oceano dalla consistenza gelatinosa è senziente e vanta vita propria. Queste letture accompagnano la mia quotidianità, il micro e il macro si fondono, così come passato e futuro”.

L’artista messicano Yoab Vera (1985), per questa mostra, ha preferito quadri di minuta e media dimensione, pur confrontandosi solitamente con ampie superfici. Lavora con grande concentrazione, per gestire gli impasti di acrilico, cemento e olio che manipola usando i polpastrelli come pennelli. La rapidità con cui il cemento si asciuga va di pari passo con il palesarsi fumoso dei ricordi; i suoi soggetti sono infatti scorci urbani, luoghi della memoria e sensazioni che riaffiorano in una carezza…prima che scemino, Yoab li fa fermentare sulla tela. Così una città ne chiama alla mente un’altra, un tramonto rievoca la luce ambrata sulla superficie di una località marina: questa stratificazione è figlia di un nuovo modo di approcciarsi all’avventura della vita, come esseri cosmopoliti.
Forgiving di David Hanes (1987), canadese di base a Berlino, è una folgorazione di colori contrastanti. La materia è distribuita sulla superficie in spesse pennellate succulente che creano un irregolare tappeto tessile. Will Gabaldón(nato a Belen, New Mexico nel 1978, vive a Chicago) presenta paesaggi piatti e privi di dettagli ove è la pennellata concisa e asciutta, priva di fronzoli, a scandire il ritmo dei silenzi, nel tempo del risveglio mnemonico. La tavolozza è neutra.

Se Emily Weiner (nata a Brooklyn nel 1981) combina ceramica e pittura a olio per invitarci su un palcoscenico sgombro, illuminato dalla sfera lunare e definito solo dall’apertura laterale delle tende, Jonathan Ryan (nato nel 1989 a Buffalo, New York, vive in California) con olio, sabbia setacciata e granito decomposto propone su tela piattaforme labirintiche. Quest’ultime, più che i dedali sotterranei dimora del Minotauro e i percorsi rinascimentali dei giardini italiani, ricordano videogiochi digitali o i mini percorsi inclinati, con trappole e buche incluse, dove da piccoli – dopo aver inserito il gettone – facevamo scorrere le biglie, guidandole verso il traguardo finale.
