Tra Lecco e il mondo: la retrospettiva di Pablo Atchugarry al Palazzo delle Paure

A 45 anni dalla sua prima monografica lecchese, Atchugarry torna al Palazzo delle Paure con una mostra che ripercorre tutta la sua poetica

Fino al prossimo 12 novembre sarà possibile visitare la mostra Pablo Atchugarry. Una vita tra Lecco e il mondo presso Palazzo delle Paure a Lecco – l’ex sede dell’Intendenza di Finanza della città – edificato a inizio Novecento e attualmente adibito a spazio espositivo. Nulla di cui avere paura dunque, anzi: la mostra – curata dall’artista stesso con l’architetto Alessio Gilardi – espone opere scultoree, pittoriche e disegni a matita e china, svolgendo una ampia panoramica della carriera dell’artista dal 1978 al 2023.

Nato in Uruguay nel 1954, inizia a dedicarsi all’arte – alla pittura, in particolare – già da bambino per poi interessarsi alla scultura a partire dal 1971. Negli anni ’70 comincia a viaggiare per l’Europa, visitando la Spagna, la Francia e soprattutto l’Italia, che diviene presto la sua seconda casa. Carrara, con le sue cave di marmo, è uno dei suoi luoghi prediletti ma è Lecco a diventare la sua città d’elezione, dove svolge una mostra monografica già nel 1978, presso la Galleria Visconti, e dove vive e lavora dal 1982 (dividendosi tra Italia e Uruguay).

È lo stesso Atchugarry a spiegare ai visitatori il suo forte legame con il territorio lecchese, scegliendo di aprire la mostra con un pannello recante queste parole: «A Lecco ci sono luoghi che mi trasmettono emozioni e mi danno tanta energia. Prima di tutto la montagna che si erge davanti alla mia abitazione: il Medale, l’elemento naturale che vedo appena mi affaccio alla finestra e lo sento come una grande scultura che sicuramente mi accompagna, verticale».

“Verticalità” infatti è – assieme a multimatericità e astrazione – la parola chiave per descrivere la sua produzione artistica, scultorea ma non solo. Ma andiamo per gradi.

Fin dagli esordi, Atchugarry dimostra un forte interesse per la sperimentazione con media artistici e materiali differenti: pittura ad olio, china su carta, cemento, alabastro, legno, bronzo smaltato e – naturalmente – l’amatissimo marmo (non solo quello bianco di Carrara ma anche quello rosa di Portogallo) sono i veri e propri protagonisti della sua arte.

Non meri mezzi, funzionali alla rappresentazione di una idea, ma – al contrario – le sue guide, i suoi maestri, come lui stesso ci spiega in una delle sue tante citazioni sparse per l’esposizione: «Il marmo ha una voce sottile e delicata però, se noi siamo attenti e abbiamo la pazienza di ascoltarla, ci racconta diversi segreti che potrebbero essere dei suggerimenti su come lavorarlo o fin dove poter arrivare e quali sono i suoi limiti».

La maggior parte delle sue opere sono Untitled, senza titolo: quello che conta non è infatti il soggetto – cosa esse rappresentino veramente – bensì la sensazione, l’emozione, il sentimento, l’aspirazione che l’artista esprime con la sua arte, assecondando il materiale che di volta in volta sceglie di usare. E tale aspirazione è una sorta di anelito verso l’alto, uno slancio verticale che caratterizza la stragrande maggioranza delle sue opere, Untitled ma non solo: bronzi smaltati che sembrano enormi origami fatti con l’incarto luccicante e colorato dei cioccolatini sono affiancati da sculture in marmo candido a metà tra il pilastro di un’architettura e il panneggio soffice di una tenda, svettando nelle sale espositive con una grazia e una sinuosità tali da far dubitare per un momento lo spettatore che ciò che ha di fronte fosse, un tempo, un blocco di marmo.

Ci sono poi Le grand oiseauGrand oiseau blanc e pitture a olio come Aspettando il soleCampo de girasolesTierra, trigo, sol y cielo: alcune delle – poche – opere dell’artista a non essere “untitled”. Ecco quindi che la spinta verso l’alto, l’anelito a elevarsi verso l’immensità, divengono ancora più espliciti: due uccelli (uno in legno e l’altro in marmo di Carrara) pronti a spiccare il volo verso il cielo azzurro di Lecco, desiderosi – come Icaro – di avvicinarsi al sole splendente.

Tutto sembra puntare in alto poiché, ci spiega Atchugarry, «la verticalità è sempre presente nelle mie opere, significa aspirazione verso l’ideale che non si realizza ma urge. Non c’è mai, come in ogni aspirazione verso l’alto, un tetto, un limite, ma queste punte per me significano orizzonti infiniti». Una verticalità che non caratterizza solo le sue opere scultoree – estremamente sinuose e slanciate come delle guglie gotiche – ma anche i suoi disegni a china come Ritratto di Alejandro AtchugarryRitratto di Pedro Atchugarry o Volto umano.

In essi, Atchugarry sembra modellare la china sulla carta quasi come se fosse un materiale fittile, cosicché la tridimensionalità data ai visi dei soggetti e la loro costruzione lungo una linea verticale, slanciata e sinuosa, conferiscono loro un carattere estremamente scultoreo, al pari delle opere in marmo e bronzo presenti nelle sale vicine.

C’è un quid estremamente poetico nell’arte di Pablo Atchugarry in cui tutto – figura umana, animali, paesaggio naturale – sembra essere trattato allo stesso modo, poiché tutti gli elementi sono accomunati da una spinta invincibile verso l’infinito del cielo e la sua luce. Quante volte ci è capitato di alzare gli occhi e desiderare di trovarci sospesi su una nuvola ammirando il mondo da lassù: Atchugarry ci aiuta, per qualche istante, a esaudire questo desiderio catapultandoci con le sue opere (le sue “nuvole” di marmo, così solide ma anche così delicate) verso l’alto, verso il sole. Per un momento siamo davvero come Icaro ma con una differenza: le nostre ali non sono di cera. Sono di marmo.

Pablo Atchugarry. Una vita tra Lecco e il mondo
a cura di Pablo Atchugarry con Alessio Gilardi
fino al 12 novembre 2023
Palazzo delle Paure – Piazza XX Settembre 22, Lecco

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