Nell’ambito di Quotidiana, la Quadriennale apre al pubblico l’ultimo appuntamento pre-estivo della serie di interventi espositivi che hanno segnato le stagioni fredde della scena capitolina. Questa volta è il turno di Luca Vitone (Genova, 1964) e Donato Piccolo (Roma, 1976), invitati dalla curatrice Gaia Bobò, per riflettere sulla fragile intersezione tra l’azione e il contatto tra elementi antropici e mondo naturale.
Disponibile per il pubblico fino al 3 settembre, la sala di Palazzo Braschi nella sua linearità si predispone a un allestimento essenziale, sono le opere esposte che gravano sull’occhio dello spettatore, ergendosi forti del loro brutale e, allo stesso tempo, essenziale minimalismo. Il pensiero su cui si erge la struttura concettuale dell’intervento prende piede dal tragico senso di inadeguatezza che l’individuo moderno ha imparato a conoscere al principio dell’era post atomica. Importante il riferimento a Günther Anders e al suo scritto del 1956 L’uomo è antiquato che la curatrice tiene a sottolineare nel suo saggio redatto in occasione dell’esposizione. L’essere umano, fautore potenziale delle sua stessa estinzione, osserva inebetito il discioglimento della sua volontà. Il suo stesso agire è artefice del suo disfacimento. La macchina è totale dominatrice del suo creatore.

courtesy Fondazione La Quadriennale di Roma, foto Carlo Romano
Come il fallimento della scienza può e deve determinare una nuova consapevolezza della dimensione naturale? L’artificio è davvero l’unico strumento di avanzamento che la nostra specie è in grado di cavalcare per dare luogo al suo progresso? Interrogativi che ammutoliscono la società contemporanea immersa oggi in uno scenario rivoluzionario che richiede un nuovo atteggiamento, tutt’altro che contemplativo. La scossa del cambiamento è sempre più necessaria eppure l’essere umano vive nel suo ammutolimento, non riuscendo più a dominare i suoi istinti, rimanendo incatenato dal timore. Scrive così Gustav Metzer nel 1992: «La natura era qualcosa a cui ci si rivolgeva per rassicurarsi del fatto che la vita sarebbe continuata. Questa reazione ereditaria nei confronti della natura non è più aperta. Quando oggi riflettiamo sulla natura, lo facciamo con notevole dubbio, esitazione e incertezza. Vi è anche una buona dose di paura».
È la dimensione interiore dell’individuo l’unico punto di contatto possibile con il mondo naturale. La precarietà esistenziale dell’essere umano si specchia con l’instabilità dei fenomeni naturali. L’imprevedibilità è la chiave dell’incontrollabile, nulla di impronosticabile può essere contenibile grazie all’ingegno o alla tecnologia. Eppure Donato Piccolo tenta l’impossibile: fattosi demiurgo del fenomeno naturale, nell’opera Il sogno di Turner (2012) , l’artista omaggia il pittore inglese e mette in campo un’operazione multifunzionale. Racchiuso in una teca di vetro viene generato in scala un vero e proprio tornado. La creazione artificiale stimola la suddetta immedesimazione ma aggiunge anche un ulteriore tassello al mosaico: «la ricostruzione sotto forma di artefatto umano apre all’uragano una strada per significare altro, divenire oggetto familiare, di prossimità. Nella poetica dell’artista, lo scarto tra il fenomeno e la sua creazione artificiale si conferma come uno degli snodi centrali: è infatti la premeditazione e l’intenzionalità a far decadere la funzione naturale del fenomeno, che ne appare svuotato, come pura forma, elemento scultoreo e plastico – spiega Gaia Bobò – le opere parlano di un sistema in trasformazione, costantemente spinto verso un punto di crisi».
La selezione di opere di Luca Vitone presentate dalla Quadriennale mette in evidenza invece la corrosione dell’essere umano dal punto di vista biologico quanto culturale. La prospettiva leopardiana da cui sembra venirci suggerito di analizzare la natura “matrigna” però vuole anche spingere l’essere umano a vivere conscio delle sue intrinseche limitazioni. La fragile condizione esistenziale dell’individuo è dovuta in particolar modo all’incombente esigenza di dover sopravvivere convivendo proprio con la fonte della sua paura. Nella serie Io, villa adriana Luca Vitone realizza la sua serie di autoritratti: muffa, polvere, pioggia e vento sono gli agenti in grado di comporre un profilo identitario non solo del loro autore ma del luogo che è stato prescelto per impersonarlo. Collocate dall’artista in diversi luoghi della Villa di Tivoli e lasciate per mesi in balia degli agenti atmosferici a cui è totalmente delegato il compito di produrre l’immagine, le grandi tele registrano sulla propria superficie il contatto con l’ambiente circostante e il passaggio del tempo atmosferico e cronologico, facendosi autoritratti di Villa Adriana. «La visualizzazione dell’instabilità del paesaggio e dell’architettura diviene il volto di una società in crisi, nonché di un’insostenibilità che è innanzitutto soggettiva, ma che, tuttavia, si fa duplice: l’artista, nel corso della sua esistenza, testimonia il disfacimento del mondo e il trascorrere del tempo, attraverso quasi vent’anni di produzione», conclude Gaia Bobò.

Lucia Cristiani, Maida, 2022. courtesy Fondazione La Quadriennale di Roma, foto Carlo Romano
Al progetto espositivo Paesaggio della Quadriennale, si accompagna anche la personale di Lucia Cristiani che porta a Palazzo Braschi la sua Maida una sintesi efficace che racchiude la sua intera ricerca, da sempre multiforme ma incentrata in particolare sul concetto di paesaggio, analizzato dal suo punto di vista personale, collettivo, storico, politico e sociale. L’opera, realizzata attraverso la tecnica della galvanizzazione di erbe, rami e fiorescenze raccolte in diversi campi d’Europa. Si attiva un’ideale rete di collegamenti che superano le limitazioni geografiche, vertono sull’evoluzione del concetto di nazionalità, dando respiro al pensiero secondo cui sia plausibile l’esistenza di un popolo europeo ibrido e sintetico e poliforme. La galvanizzazione infatti rende possibile la fusione tra elementi naturali che crescono in territori distanti, caratterizzati da condizioni ambientali differenti,. Nonostante questo però si rintraccia la volontà di adattamento, un processo stimolato dal desiderio di sopravvivenza. L’inospitale di oggi diverrà abitabile domani, come sull’arazzo metallico di Lucia Cristiani che vede crescere sulla sua fredda superficie gli ibridi fiori di un futuro all’insegna dell’adattamento.
Info: quadriennalediroma.org